La Nuova Bussola quotidiana 10 ottobre 2015
di Alfredo Mantovano
Due cose imbarazzano in queste ore chi nel Pd è consapevole del danno che al nostro ordinamento causerà il ddl Cirinnà. La prima è l’ansia con la quale si sta tentando di portarla in Aula al Senato il prima possibile: senza concludere l’esame in Commissione Giustizia, senza relatore, senza affrontare nella sede tecnica più adeguata nodi delicati e complessi, che la confusione dell’Aula impedisce di valutare con attenzione. La seconda è la certezza che l’inserimento della stepchild adoption sia nell’articolato originario sia nella sua riscrittura conduce in breve tempo all’adozione gay. La prima è una forzatura di metodo, la seconda di merito.
L’imbarazzo sul primo fronte è accentuato dalla scelta del senatore Giovanardi, e dei pochi altri che in Commissione avevano presentato migliaia di emendamenti, di ridurre le proposte di modifica a poche decine: è una scelta che pone i sostenitori della legge con le spalle al muro. Non si potrà continuare a spingere per l’incardinamento in Aula col pretesto che in Commissione gli emendamenti sono tanti e impediscono di andare avanti: adesso la loro quantità è fisiologica, simile a quella cui va incontro qualsiasi disegno di legge impegnativo. Continuare a battere i pugni per non attendere la chiusura dell’esame in Commissione rende evidente che l’obiettivo è piantare la bandiera ideologica il prima possibile e nonostante tutto.
L’imbarazzo sul secondo fronte ha fatto avanzare al senatore Lepri – qualche settimana fa coautore dell’emendamento che qualifica l’unione civile “specifica formazione sociale” – la proposta di sostituire lastepchild adoption con l’affido. Così spiega l’esponente del Pd nell’intervista ad Avvenire di ieri, 9 ottobre: «in una unione civile omosessuale dove una delle due parti ha un bambino, l’altro può diventare genitore affidatario»; ciò in vista del «pubblico riconoscimento da parte del tribunale e della società di una piena potestà genitoriale».
La soluzione è soddisfacente? Per rispondere, giova ricordare che da quando esistono gli istituti dell’affido e dell’adozione, essi hanno risposto a logiche completamente diverse e hanno perseguito obiettivi non sovrapponibili: l’affido ha la struttura e il carattere della provvisorietà, e in tal senso fa mantenere i rapporti con la famiglia di origine, punta al rientro in essa, non cambia il legame giuridico del minore con i genitori, che restano tali a tutti gli effetti. L’adozione conduce invece all’interruzione dei rapporti con la famiglia originale, tanto che il minore acquisisce il cognome dei genitori adottivi, e per questo presuppone requisiti più rigorosi rispetto a quelli previsti per gli affidatari.
Ciò accade perché l’affido mira a far superare al minore una situazione di temporaneo disagio rispetto alla propria famiglia, mentre l’adozione rende definitivo l’ingresso nella nuova famiglia. In entrambi i casi il punto di riferimento della costruzione normativa è l’interesse del minore, che varia e conosce risposte differenti a seconda della situazione di partenza. In particolare, nell’affido la generosità della famiglia che accoglie è ancora più esaltata: ci si trova di fronte a un aiuto e a un sostegno tesi a garantire al minore – in una fase di particolare disagio suo e della famiglia di origine – il diritto a vivere in un ambiente che soddisfi le sue esigenze educative e affettive, nella prospettiva di oltrepassare la condizione difficile, senza poter vantare alcuna pretesa in ordine alla permanenza a tempo indefinito nel nucleo familiare che sta provvedendo a lui.
Nella mediazione che il senatore Lepri propone allo scopo di approvare all’unanimità il ddl Cirinnà, l’affido cambia natura e obiettivo: diventa una adozione light, rispetto alla quale il decorso del tempo – quasi il minore fosse un oggetto da usucapire – può far giungere a una sistemazione definitiva nella famiglia di destinazione. In linea con i principi affermati dalla Consulta nella sentenza sulla fecondazione eterologa della primavera 2014, il «diritto all’autodeterminazione in ordine al figlio» troverebbe così concretizzazione anche per le coppie dello stesso sesso.
Il prezzo è di considerare il bambino o l’adolescente come un oggetto, e non un soggetto da tutelare; come qualcosa che soddisfa il desiderio del figlio di una coppia same sex e non come una persona la cui situazione esige aiuto. É una mediazione in linea con l’assetto dell’intero ddl Cirinnà: come in essa si parla di unione civile ma lo sostanza è quella del matrimonio gay, così si dice affido ma la sostanza è l’adozione. La si può anche qualificare mediazione: essendo consapevoli che, oltre a non sfiorare l’aspetto più critico del ddl, avrebbe come effetto di snaturare senza rimedio l’istituto dell’affido. La via della distruzione della famiglia è lunga e variegata.