(titolo originale: “Laicità, federalismo, democrazia: i valori politici dell’Europa e le loro radici cristiane) “http://www.mantovano.org/intervento“
Intervento del Sottosegretario all’Interno on. Alfredo Mantovano alla giornata di studio della Pontificia Università Lateranense
Molto prima ancora che i cristiani posassero il piede sul suolo europeo, l’Europa attendeva – spesso in modo implicito, ma non per questo meno reale – il sorgere del Sole vero, quello che è venuto al mondo in coincidenza del solstizio di inverno di 2004 anni fa: al punto da collegare al solstizio d’inverno, nei suoi angoli più remoti, la speranza in una vita oltre la morte.
E, se ci spostiamo dalla periferia al centro dell’Europa precristiana, e ci avviciniamo al più famoso dei solstizi di inverno (quello a partire dal quale contiamo gli anni), è difficile dimenticare l’Aracoeli sul Campidoglio, fatta erigere da Augusto per il figlio di Dio; e questo mentre Virgilio parla di un puer e di una virgo nella sua IV Egloga.
Non c’è angolo di Europa nel quale non si respiri cristianesimo; non c’è grande opera artistica o letteraria europea che riesca a prescinderne, anche solo per contrastarlo. Possono cambiare gli stili: nel giro di pochi chilometri ci si può ritrovare dal romanico al rococò. Non cambia la sostanza, perché è identica la radice.Il Progetto di trattato istitutivo della Costituzione europea è stato il teatro giuridico di uno scontro culturale, prima ancora che politico.
Lo scontro ha avuto come oggetto principale le radici cristiane dell’Europa: non si è trattato di un dato accidentale, che è politicamente corretto non enfatizzare per non correre rischi di divisione. Credo che sia obbligatorio porsi una domanda: al di là dei motivi contingenti, quale è stata (e quale è, dal momento che il discorso non è terminato) la ragione reale e ultima del rifiuto opposto all’inserimento delle radici cristiane dell’UE nel preambolo e nell’art. 2 del Trattato (quello relativo ai valori dell’Unione)?
Ritengo che la si possa rintracciare in quel passaggio della Esortazione apostolica Ecclesia in Europa, nel quale il Pontefice parla di «apostasia silenziosa [1]» della cultura europea: una apostasia frutto non di una decisione improvvisata, occasionale, o legata a schieramenti politici momentanei, bensì conseguenza di un plurisecolare processo di secolarizzazione.
Questo rifiuto testimonia un atteggiamento – anche in tal caso culturale, prima ancora che politico – radicalmente ipocrita. Se si parla di radici, si evoca l’immagine di un albero; se l’Europa viene disegnata come un albero (oggi più o meno rigoglioso), non riesco a individuare una logica nell’atteggiamento di chi gli si avvicina, si ripara alla sua ombra, ne stacca i frutti, ne gusta il sapore, ma, mentre fa tutto questo, disprezza ciò che consente a quella stessa pianta di stare in piedi e di reggersi. Si dice sì ai rami, sì alle foglie, sì ai frutti, e no alle radici. E’ coerente tutto questo?
L’Europa non esisterebbe se si eliminassero le sue radici. E le sue radici sono cristiane. Dire questo non significa fare una scelta di tipo religioso o ideologico, ma individuare un dato storico determinante per capire da dove veniamo. Non ho bisogno di amare la lingua latina per riconoscere che molte delle lingue che oggi sono in uso in Europa derivano dal latino. Non ho bisogno di essere cristiano per vedere nelle migliaia di chiese, di cattedrali, di edifici civili, di croci, di edicole che sorgono ai lati delle nostre strade, che il cristianesimo ha segnato profondamente la nostra storia. Senza dimenticare che ogni nazione europea, dalla Polonia all’Irlanda, dalla Francia al Portogallo, è stata fondata da un santo, o deve a un santo la sua identità; e senza dimenticare, oltre i confini delle singole nazioni, ciò che l’Europa nel suo insieme deve nella sua parte occidentale a San Benedetto, e nella sua parte orientale ai Santi Cirillo e Metodio.
Ma c’è di più, e di più profondo. Pensiamo al concetto di “persona”, cioè all’individuazione dell’uomo quale fonte e quale soggetto di diritti direttamente riconducibili alla sua dignità di animale razionale. Il rispetto della persona ha trovato larga attuazione nel continente europeo dallo sforzo dei Padri della Chiesa: S. Benedetto e i suoi monaci aravano e seminavano contemporaneamente i campi e le coscienze dei popoli europei. Come ci si può dire difensori dei “diritti umani”, e negare le radici di tali conquiste, che sono state consolidate al prezzo di sacrifici durati per secoli?
Ma non basta. Subito dopo le migrazioni barbariche l’Europa è diventata la fucina di una civiltà. Diverse culture si sono dapprima scontrate, poi amalgamate sempre di più, fino ad assumere una fisionomia nuova ed omogenea. Questo non sarebbe accaduto se la Chiesa non fosse intervenuta in tale processo.
Solo la Chiesa ha potuto ricoprire questo ruolo essenziale, perché annunciatrice di una fede, ma non portatrice di una propria specifica cultura. L’opera di inculturazione ha permesso alle diverse culture di entrare in relazione – purificandosi – con la medesima fede, convergendo fra di loro verso questo centro unificante. Se il Cristianesimo non avesse svolto questo lavoro in Europa, l’Europa sarebbe stata un’appendice dell’Asia, perché non ha né l’estensione territoriale né l’omogeneità etnica di un continente.
La giornata di studi chiama in causa la democrazia; e anche in questo, già dagli esperimenti democratici realizzati durante l’Umanesimo e il Rinascimento, vi è un debito con l’esperienza della vita ecclesiale: penso, fra gli altri, ai meccanismi decisionali tipici dei capitoli degli ordini religiosi. Ma, poiché la Costituzione europea è un documento di natura giuridica, non è fuori luogo richiamare le radici cristiane del patrimonio giuridico europeo. In un recente studio, il card.
Pompedda ricordava che uno dei frutti più importanti delle radici cristiane dell’Europa è lo ius commune, inteso come comprensione unitaria del diritto nella sua forma universale; è universale poiché deriva dallo ius naturale, e quindi è idoneo ad applicarsi ad ogni fattispecie, travalicando i confini degli Stati ed evitando pericolose fratture geoculturali. Lo ius commune non è scomparso; sopravvive ancora nella dottrina dei diritti umani e nei “generali princìpi del diritto”, ai quali si rivolgono gli ordinamenti civili in presenza di lacunae iuris [2].
Per concludere. Se sono gradevoli i frutti quindi, è perché vanno bene le radici. Radici che non vanno soltanto ricordate come se fossero un mero fatto storico, come si registra una data di nascita: l’orizzonte è più ampio. E’ ovvio che parlare di radici cristiane non significa ledere la vera laicità dello stato, né tanto meno comprimere la libertà religiosa.
La distinzione fra potere temporale e autorità religiosa, messa in evidenza nel “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” è una profonda novità, culturale e politica, rispetto al mondo ebraico, ma anche rispetto alle principali civiltà pre-esistenti e co-esistenti, nelle quali tale distinzione era praticamente assente (ricordiamo l’attribuzione di caratteristiche divine ai vertici politici). Per quanto paradossale possa apparire, il mantenimento di una sana laicità della comunità politica passa ancora adesso attraverso la predicazione della Chiesa secondo cui non tutto è riconducibile a Cesare, dal momento che esistono ambiti sottratti al potere politico.
Sempre a proposito di laicità, leggo nella recente Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, della Congregazione per la Dottrina della Fede: “Per la dottrina morale cattolica la laicità intesa come autonomia della sfera civile e politica da quella religiosa ed ecclesiastica – ma non da quella morale – è un valore acquisito […]. Giovanni Paolo II ha più volte messo in guardia contro i pericoli derivanti da qualsiasi confusione tra la sfera religiosa e la sfera politica. […]” E ancora: “Questione completamente diversa è il diritto-dovere dei cittadini […] di […] promuovere e difendere con mezzi leciti le verità morali riguardanti la vita sociale, la giustizia, la libertà, il rispetto della vita e degli altri diritti della persona. Il fatto che alcune di queste verità siano anche insegnate dalla Chiesa non diminuisce la legittimità civile e la “laicità” dell’impegno di coloro che in esse si riconoscono […]”. E’ evidente che la laicità intesa in questi termini è profondamente diversa da ogni intollerante laicismo.
Negli USA la separazione fra Chiesa e Stato fu concepita fin dall’inizio della Confederazione per proteggere le religioni dallo Stato. La laicité dei nostri cugini d’Oltralpe è invece costantemente evocata con il pretesto di proteggere lo Stato dalle religioni. Ne costituisce significativa conferma la legge sulla libertà religiosa di recente approvata dal Parlamento francese: chiara espressione di fondamentalismo laicista, questa legge impegna coloro che devono applicarla a prendere le misure dei crocifissi e dei foulard e a discernere fra la bandana religiosa, da vietare, e la bandana agnostica, da consentire.
Come ha osservato Massimo Introvigne, in base a questa legge, che riflette evidentemente una storia e una cultura, la religione è tollerata solo se è in modica quantità (altrimenti si è settari), per uso personale (se la si mostra in pubblico si è fondamentalisti), e in particolare per uso personale non terapeutico (le religioni al cui interno avvengono guarigioni sono accusate di lesa medicina).
Quella che sto tentando di fare potrebbe apparire fino a questo punto una riflessione astratta, svincolata dalla politica: aggiungo allora, prima di concludere, che il richiamo alle radici cristiane non deve essere statico, bensì dinamico. L’Europa ha bisogno di un solido fondamento comune; prima ancora di stabilire quale sia, va detto che il fondamento comune è necessario. Fra i problemi dell’ora presente vi è quello dell’immigrazione.
La risposta profonda al problema dell’immigrazione si chiama integrazione; ma l’integrazione vera si ha “in” una realtà data. Non ci si integra nel nulla. Bene, anche in tale prospettiva l’Europa ha il dovere di mostrare serenamente la propria identità, radicata nelle radici cristiane: solo così coloro che scelgono di immigrare nel nostro continente possono integrarvisi compiutamente, tanto più se se sono portatori di culture “forti”; in questo quadro la chiave interpretativa non è l’esclusione, ma l’inclusione. E quale è il punto di riferimento ultimo di una reale integrazione?
Un relativismo accettato di fatto, se non teorizzato, per evitare rischi di divisione? E’ evidente che il punto di riferimento non può essere un dato confessionale; è piuttosto un dato pre-confessionale: questo fondamento non può essere che il diritto naturale; la storia insegna che il diritto naturale è stato concretamente e compiutamente rispettato solo all’ombra del Cristianesimo. La piena consapevolezza della propria fisionomia culturale si accompagna in tal modo al rispetto delle culture altrui, nella misura in cui queste siano rispettose del diritto naturale
Concludo richiamando – dopo aver accennato alla laicità e alla democrazia – il terzo “valore” citato nel titolo dell’odierno incontro, e cioè il federalismo. Mi rifaccio all’insegnamento di un pensatore cattolico svizzero, scomparso nel 1970, Gonzague de Reynold. Questi, esaminando il principio del federalismo, si chiedeva “Come si definisce il federalismo? Ogni federazione è anzitutto un’associazione. L’associazione, ecco dunque il principio primo del federalismo. Questo principio possiede un valore, una forza che supera la federazione politica fra […] Stati […], per diventare una concezione della vita sociale e, di conseguenza, dell’uomo stesso. […] Il federalismo è dunque un elemento di unione, è un legame, il legame federale.” [3]
E’ questo il dato sul quale convenire: attorno a che cosa associarci. La sfida è capire fino a che punto il diritto naturale, frutto di una pianta che trae linfa dalle sue radici cristiane, possa essere il fondamento felice dell’Unione che si vuole progettare. Ogni europeo, e quindi ogni italiano, è chiamato ad essere costruttore di questa casa comune, che non potrà sopportare intemperie e scuotimenti se non sarà eretta su solide – e storicamente collaudate – fondamenta.
Note
[1] Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa su Gesù Cristo, vivente nella sua Chiesa, sorgente di speranza per l’Europa, n. 9