Sente e ricorda, prova dolore e piacere: tutto quello che la scienza ci dice sul, feto. Parla lo studioso Carlo Bellieni
Intervista di Marina Corradi
Neonatologo all’ospedale “Le Scotte” di Siena, docente di terapia neonatale alla Scuola di Specializzazione in Pediatria, autore di diversi studi pubblicati sulle riviste mediche internazionali, Carlo Bellieni, 42 anni, ha presentato ieri al Centro Culturale di Milano il suo libro «L: alba dell’Io». Un lo su cui fino a vent’anni fa si stendeva il buio, come se, là dentro, fosse il nulla.
E invece, è accertato ormai, quanto c’è già, in quell’alba. «A 23 settimane il feto distingue la voce materna dalle altre, riconosce i suoni. Secondo tino studio pubblicato su Lancet, i neonati riconoscono le musiche delle telenovele ascoltate dalla mamma. Le melodie udite in utero calmano il pianto del bambino, che già sviluppa la memoria di odori e sapori. In generale, lo calma tutto ciò che riproduce la sua situazione prenatale: i figli delle ballerine per esempio vogliono essere cullati vigorosamente, abituati come sono al movimento».
Chiuso lì dentro, dunque, il nascituro sa già tante cose. E’ soggetto, è già, dice Bellieni, “persona”. L’affermazione agiterà una certa scuola di bioetica, ma non le madri, che questa certezza l’hanno sempre avuta. Le sole, quando non c’erano ecografie né esperimenti, a dare silenziosamente del “tu” al loro figlio in arrivo. Ma il sapere antico delle madri è oscurato, dice Bellieni, alla loro saggezza «si è sostituita la paura.
La gravidanza, oggi è dominata dalla paura. I genitori in attesa appaiono schiacciati dal timore di un imprevisto infausto. Ci è stato fatto credere che la medicina è onnipotente, che può sanare tutto. Si parla di un ipotetico “diritto alla salute”, o “diritto a nascere sani”. I genitori che mi avvicinano fuori dalla sala parto mi chiedono, pressoché tutti: ha tutto a posto? E’ perfetto? L’unico che, una sera, mi ha domandato semplicemente: come sta, mio figlio? Quello l’avrei abbracciato: Siamo sottomessi a questa pretesa della perfezione, per cui abusiamo della diagnostica prenatale.
L’amniocentesi, che comporta lo 0.5-1% di mortalità del feto, la fanno molte donne che non ne avrebbero necessità. L’amniocentesi, può diventare inconsciamente la caccia al bimbo Down. Se non che, l’incidenza della sindrome di Down è di 1 su 700, e con questo esame si elimina un bambino, sano, su 100-200. Inoltre, le malattie genetiche sono 10.000, l’amniocentesi ne individua tre o poco più. E l’ecografia? I rischi da ultrasuoni sono attualmente al vaglio di esperti internazionali.
Per ora non ci sono controindicazioni. Tuttavia i protocolli internazionali consigliano una sala ecografia. In Italia se ne suggeriscono tre, ma le gestanti ne fanno sei, o anche di più». In questo quadro di ansia collettiva si inserisce il “diritto” a un figlio. «Senza che nessuno dica chiaramente che inserire cinque ovuli fecondati nell’utero di una donna porta fatalmente a una plurigemellarità e quindi a prematurità molto gravi. Senza che si dicano chiari, almeno in Italia, i costi psicologici e fisici per le `’donne della procreazione assistita. Ecco, mi colpisce come le donne tacciano su tutto questo».
Cominciare a riprendersi, della gravidanza, la gioia. Un dubbio però ci resta. Se il feto capisce tanto, cos’è allora nascere, se non una sorta di fine del mondo, una cacciata dall’Eden, e vissuta da un essere già in qualche modo cosciente? «Certamente è un momento traumatico, quel tunnel da’traversare per uscire dal buio. Ma è un male per un bene più grande, e, immediatamente dopo, il bambino si trova fra le braccia di sua madre, e la paura, credo, è già dimenticata».