Newsletter di Alleanza Cattolica in Milano n. 151 – ottobre 2014
di Marco Invernizzi
Care amiche, cari amici,
Oggi, domenica 19 ottobre, papa Paolo VI viene beatificato in piazza san Pietro da papa Francesco, al termine del Sinodo straordinario sulla famiglia.
In questi giorni, ma possiamo estendere la cosa ai decenni successivi alla sua morte, i quindici anni del pontificato (1963-1978) sono stati celebrati quasi esclusivamente da coloro che lo hanno biasimato accusandolo, più o meno esplicitamente, di essere stato l’affossatore del Concilio dopo la sua elezione e negli anni successivi alla chiusura dei lavori conciliari.
Questi intellettuali, sostanzialmente riconducibili alla “Scuola di Bologna” fondata da don Giuseppe Dossetti (1913-1996), hanno egemonizzato per mezzo secolo l’interpretazione del Concilio Vaticano II leggendolo come un evento di rottura con la storia precedente della Chiesa. In questa lettura non c’era posto per Paolo VI, se non come il Papa che ha spento lo “spirito del Concilio” limitandosi ad applicarne la “lettera”.
Ma la cosa inquietante è che questi stessi uomini sono stati principalmente i gestori della presentazione di Paolo VI emersa sulla stampa e sulle radio e televisioni in questi giorni. È stato così perlomeno sorprendente ascoltare Alberto Melloni “spiegarci” e “raccontarci” Paolo VI alla Rai, proprio lui che è il discepolo di Giuseppe Alberigo (1926-2007) che a sua vota è il discepolo di don Dossetti, che proprio Paolo VI fece allontanare dai lavori conciliari.
Contro l’interpretazione del Concilio come rottura rivoluzionaria, Paolo VI ha combattuto durante tutto il suo pontificato, con innumerevoli interventi rivolti a condannare questa lettura sia nella sua versione “progressista” (quella dominante) sia nella versione “tradizionalista”, quella che portò alla rottura nel 1976 (sospensione a divinis) e nel 1988 (scomunica) con la fraternità sacerdotale San Pio X guidata dal vescovo mons. Marcel Lefebvre.
Questa lettura del Concilio come “riforma nella continuità” ha faticato a imporsi e ancora oggi trova grandi ostacoli a penetrare nell’opinione pubblica, in parte anche per la sudditanza nei confronti degli intellettuali della “Scuola di Bologna” che si sono annidati nelle redazioni di molti mezzi di comunicazione da dove continuano a fornire la loro lettura dei fatti.
Eppure questa battaglia interpretativa del pontificato di Paolo VI è importantissima perché investe tutta la recente storia della Chiesa. Noi oggi continuiamo ad ascoltare luoghi comuni che non tengono, per esempio, in alcun conto i due discorsi di papa Benedetto XVI del dicembre 2005 (quando appunto condannò la riforma senza la continuità e la continuità senza la riforma) e al termine del pontificato, quando il 14 febbraio 2013 mise in contrapposizione il Concilio di carta con quello dei documenti.
Così non emergono, per esempio, la sua ostilità all’apertura a sinistra della Dc quando era arcivescovo di Milano, la rinnovata condanna del comunismo nella sua prima enciclica Ecclesiam suam e il significato missionario del dialogo che caratterizza questo documento, così come si fatica a fare emergere la sua posizione per cui, accanto alla collegialità, rimane il primato di Pietro espresso nella Nota previa durante il Concilio.
E, soprattutto, appare sempre come una posizione criticata la sua enciclica profetica sulla sacralità della vita e del modo di trasmetterla, contenuta nell’enciclica Humanae vitae del 1968, che venne molto contestata anche all’interno della Chiesa. Così come, si parla pochissimo della sua Professione di fede, sempre nel 1968, in occasione della chiusura dell’Anno Santo, che ribadì in modo solenne la fede della Chiesa di fronte al dilagare della contestazione, anche intraecclesiale.
Cosi come, ancora, non viene quasi mai presentata la spinta verso una nuova evangelizzazione del mondo ormai quasi postmoderno contenuta nell’esortazione apostolica del 1975 Evangelii nuntiandi, che i suoi successori continuamente riprenderanno come base della nuova evangelizzazione degli antichi Paesi cristiani d’Occidente. Insomma, l’ossessiva presentazione presente nei media questi giorni di Paolo VI come Papa del dialogo e dell’apertura al mondo moderno, senza spiegare come Montini intendesse entrambi come due modi per convincere il mondo che la salvezza si trova in Cristo, è una presentazione parziale, quindi ideologica, maliziosa e fuorviante.
Ma questa situazione triste e dolorosa aiuta a mettere in luce anche una grave mancanza, già messa in evidenza dal card. Camillo Ruini, sull’assenza di autori e opere che aiutino a comprendere e a spiegare quanto indicato nei testi del Magistero. E qui tanti devono (dobbiamo) fare un vero e proprio esame di coscienza perché a parte le preziose e documentate opere del vescovo Agostino Marchetto che confutano le tesi della “Scuola di Bologna”, poco o nulla esiste.
Allora, prima di lasciare la parola a Papa Francesco che oggi ha celebrato la Messa di beatificazione di Paolo VI, mi permetto di indicare, senza alcuna pretesa di completezza, due recenti opere che possono aiutare a comprendere in maniera non ideologica l’importante pontificato di papa Montini:
Il contributo, per esempio, di mons. Ennio Apeciti sul periodo del pontificato nel volume a cura di Xenio Toscani, Paolo VI. Una biografia, Istituto Paolo VI – Ed. Studium, 2014, e il testo ripubblicato dello storico francese Yves Chiron, Paolo VI. Un papa nella bufera, Lindau 2014, che aiuta a ripercorrere la vita del beato.
L’omelia della Messa di beatificazione si può leggere sul sito della Santa Sede http://www.vatican.va/