La straordinaria storia del colonnello della Wehrmacht Valentin Müller. Nel 1943 la Provvidenza lo mandò per preservare la città di san Francesco che riuscì a far dichiarare città ospedaliera. Sulla sua lapide in Germania è inciso il profilo della basilica del santo
di Andrea Cionci
Sono tante le pagine oscure e criminose dell’ultima guerra censurate dalla storiografia perché non funzionali alla retorica dei vincitori. Tuttavia, anche grazie alle pubblicazioni degli ultimi anni, opera di intellettuali e studiosi obiettivi, emerge una verità storica ben più complessa rispetto alle visioni semplicistiche e strumentali che ci sono state propinate fino ad oggi.
Sono però ancora pressoché sconosciute, e forse ancora più difficili da digerire per la vulgata storiografica, alcune pagine positive che, incredibile dictu, videro protagonisti militari dell’esercito tedesco. In pochi sanno, ad esempio, del salvataggio delle opere d’arte conservate nell’Abbazia di Montecassino: 70.000 volumi della biblioteca, 1.200 manoscritti preziosissimi (incluse le opere di Cicerone, Orazio, Virgilio, Ovidio e Seneca), 80.000 documenti, il Tesoro di San Gennaro, le reliquie di San Benedetto e di Santa Scolastica, dipinti di Leonardo, Tintoretto, Ghirlandaio, Tiziano e Raffaello.
Tutto questo sarebbe stato polverizzato dalle stesse bombe americane che rasero al suolo l’abbazia se non fosse stato per iniziativa del tenente colonnello Julius Schlegel, (da civile storico dell’arte) in servizio presso la divisione “Hermann Göring” della Luftwaffe. Grazie a lui, tali tesori vennero trasportati al sicuro a Roma e a Spoleto, prima del bombardamento, per essere poi pubblicamente restituiti all’Italia e alla Chiesa.
Ancor meno nota – se non a livello locale – è la vicenda del salvatore di Assisi: il colonnello medico della Wehrmacht, Valentin Müller. Cattolico Schlegel, cattolico Müller: entrambi gli ufficiali tedeschi seppero coniugare il loro dovere di soldati con quelli della loro fede.
Il medico governatore di Assisi Nato nella Bassa Franconia nel 1891, Valentin Müller frequentò il seminario vescovile di Würzburg dove ricevette la sua educazione religiosa. Ancora studente di medicina, fu richiamato alle armi durante la Grande Guerra e combatté al fronte. Si meritò una medaglia al valore d’argento e poi venne fatto prigioniero dagli inglesi.
Terminati gli studi nel dopoguerra, con l’avvento di Hitler esercitò la professione in Baviera divenendo uno dei medici più apprezzati del Land. Assisteva anche gli ebrei, cosa all’epoca proibita per un dottore ariano.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale, Müller venne nuovamente richiamato in servizio, con il grado di colonnello medico e partecipò a varie campagne: Polonia, Francia, Russia. Qui ebbe la responsabilità del Feldlazarett (ospedale da campo) di Stalingrado e, solo per un caso provvidenziale, scampò per pochi giorni all’accerchiamento sovietico che catturò l’intera l’armata del generale Paulus.
Era stato infatti inviato a Lourdes per comandare una divisione per il trasporto di feriti, con la quale, nel 1943, giunse finalmente in Italia dove venne nominato governatore militare di Assisi. Assisi città aperta e ospedaliera È un momento storico drammatico: Mussolini è caduto, i nostri militari che non si sono sbandati seguono chi il Duce, chi il Re.
I tedeschi occupanti reagiscono con pesanti (quanto annunciate) rappresaglie agli attacchi dei partigiani. Sui centri abitati piovono le bombe dagli aerei alleati, mentre gli angloamericani, sbarcati in Sicilia, risalgono lentamente la Penisola preceduti da cannoneggiamenti a tappeto.
In tale contesto, la popolazione assisana avrebbe certamente subito ingenti perdite e, della città serafica, con i suoi delicati pilastri romanici, i candidi campanili, le mirabili opere d’arte, i conventi, i monasteri, non sarebbe rimasta pietra su pietra.
Lo sapeva bene il governatore Müller, tanto da attivarsi indefessamente per farla dichiarare città ospedaliera ed eventualmente “aperta”, ovvero ceduta virtualmente al nemico senza combattere. In base al diritto bellico, né l’esercito tedesco né quello alleato avrebbero così potuto entrarvi o intraprendere azioni di guerra contro di essa.
Per ottenere tale obiettivo, il primo provvedimento del governatore è, infatti, quello di allontanare da Assisi le truppe tedesche e la Feldgendarmerie, la polizia militare. All’interno delle mura rimangono, quindi, solo il personale del Sanitätstruppe e, ovviamente, le centinaia di soldati tedeschi feriti e malati arrivati dal fronte sud.
In uno studio appena pubblicato sulla Rivista Italiana di Sanità Militare, il professor Ettore Calzolari (assisano e colonnello medico del Corpo Militare Volontario della Croce Rossa Italiana) scrive: «Gli edifici requisiti vengono occupati da reparti sanitari e contrassegnati con una grande croce rossa dipinta sui tetti. Nel frattempo, con l’avallo del colonnello Müller, viene svolta un’importante azione diplomatica dal vescovo e dai frati minori conventuali, per ottenere dalle parti in conflitto che venga concesso ad Assisi lo status di città ospedaliera. A questo scopo, il padre Bonaventura Masi, Custode del Sacro Convento, si reca a Firenze per incontrare il capo dell’Ufficio Germanico per la tutela delle opere d’Arte: c’è il problema di mettere in sicurezza non solo la città ma anche un deposito di opere d’arte lì costituitosi. L’esito dell’incontro è positivo; pochi giorni dopo, Müller incontra vicino a Foligno il Feldmaresciallo Kesserling (Comandante di tutte le forze tedesche in Italia) che gli promette l’emanazione di un ordine del giorno speciale col quale si proibisce alle truppe germaniche in ritirata di entrare in Assisi».
Senza troppo attendere i tempi della burocrazia militare, il colonnello Müller dichiara Assisi città aperta e ospedaliera affiggendo ovunque manifesti stampati con la croce rossa. Anche due grandi edifici fuori dalle mura cittadine vengono requisiti per alloggiarvi i feriti grazie al tempestivo placet del vescovo Giuseppe Placido Maria Nicolini.
In tal modo, l’Oasi del Sacro Cuore e il Seminario regionale vengono esclusi dal rischio di essere occupati da truppe combattenti della Wehrmacht, cosa che avrebbe attirato i bombardamenti del nemico sulla cittadina. Salvatore di Assisi e degli ebrei Presto la figura di questo integerrimo governatore – che non mancava mai alla Messa delle 6 del mattino – conquista i cuori degli assisani, tanto da far loro ripetere che la città era “protetta da Dio, San Francesco e dal colonnello Müller”.
Come scriveva Alessandro Bentivoglio: «Il Colonnello sapeva intervenire sempre opportunamente e alla svelta non lasciando nessuno privo di giustizia, tanto che la sede del suo Comando era diventata la meta di tutti coloro che avevano bisogno d’aiuto, perché tutti erano certi di ottenerlo da lui».
Oltre a salvare la città, il comandante tedesco chiude anche gli occhi sul rifugio che molti religiosi assisani danno a famiglie di ebrei ospitandole nei conventi o dotandole di falsi documenti. Alla metà del giugno ’44, sotto l’avanzata alleata, tocca anche al colonnello Müller ritirarsi con tutto il convoglio sanitario e per coordinare le operazioni può circolare liberamente anche senza scorta perché perfino i partigiani avevano fatto sapere che “non avrebbero torto un capello al loro colonnello”.
L’ultimo atto di carità cristiana Müller lo compie evitando di distruggere le scorte di farmaci e dotazioni sanitarie che non sarebbe riuscito a portare con sé durante il ripiegamento. Questa era infatti prassi comune per evitare di farle cadere in mano nemica; tutto il materiale viene così affidato al Vescovo.
A rovinare questo capolavoro di ritirata interviene l’esercito inglese, che, violando lo status ospedaliero, entra in Assisi il 17 giugno provocando, per tutta risposta, un cannoneggiamento tedesco che farà alcune vittime tra i civili.