di Benedetta Frigerio
Texas, ma non solo. Le battaglie del movimento pro life danno i loro frutti portando a limitazioni in materia di interruzione di gravidanza. Da quando il presidente Barack Obama, dopo la seconda rielezione, ha cominciato a sostenere con più convinzione le sue posizioni radicali in materia di aborto, vita e famiglia, diversi Stati hanno invece ristretto la normativa sull’aborto, divenuto legale negli Stati Uniti nel 1973, con la sentenza “Roe vs Wade”.
Mentre a inizio marzo, l’Arkansas aveva bandito l’aborto dopo la dodicesima settimana, seguito immediatamente dal North Dakota, che lo ha reso illegale dopo la sesta.In Mississipi, ad aprile, si è poi legiferato obbligando anche i medici che operano nelle strutture abortive ad avere l’abilitazione per esercitare negli ospedali pubblici. Di fatto dimezzando il personale e costringendo parecchie cliniche a chiudere. Ma la vera rivoluzione e avvenuta quando, nello stesso mese, il parlamento del Kansas ha emanato una norma in cui si legge che «la vita comincia dal momento della fecondazione», contrastando di fatto l’impianto abortivo contenuto nella sentenza del 1973, per cui l’aborto sarebbe ammissibile finché il feto non sia in grado di sopravvivere fuori dal grembo materno.
LA STRATEGIA. Queste misure sono il risultato di una campagna condotta in difesa della vita che ha scelto di cambiare la legge Stato per Stato. Anche per evitare un’altra sentenza della Corte Suprema che, vista la sua nuova tendenza a seguire il radicalismo del presidente, potrebbe opporsi alla volontà dei cittadini di questi Stati. Come potrebbe accadere se la legge che vieta l’aborto oltre la ventesima settimana, già passata alla Camera, venisse approvata anche dal Senato federale.