«Quaderni della “Critica” diretti da B. Croce», luglio 1947, n.8
di Benedetto Croce
La figura del grande e totale nemico della luce, nemico del bene, grandeggia in concezioni cosmologiche orientali, ritorna negli ebrei come eversore della loro religione e del loro stato, la ripigliarono i cristiani in quella dell’Anticristo; e, secondo le contingenze storiche, fu impersonata in questo o quel re o imperatore (e famosa più di tutte rimane l’identificazione che l’Apocalissi ne fece in Nerone), ma talvolta anche in un’istituzione, come nelle polemiche della riforma protestante, nelle quali l’Anticristo fu ritrovato e additato nel Papa; e tal’altra perfino in un popolo o in uno stato, come sì è veduto in molti dei sentimenti e dei pensieri e delle risonanze della recente guerra.
In verità, l’Anticristo non è un uomo, nè un istituto, nè una classe, nè una razza, nè un popolo, nè uno stato, ma una tendenza della nostra anima, che, anche quando non si fa sentire in essa operosa, vi sta come in agguato; e non saie dagli abissi a muoversi nel mondo nè nasce umanamente di donna, sebbene taluni credano di averlo incontrato e individuato: non viene tra noi, ma è in noi. E anche quando noi lo aborriamo e lo combattiamo con tutte le nostre forze, non lo rendiamo mai a noi esterno ed estraneo, perchè nessuno di noi si può distaccare con un taglio netto, sicuro e definitivo dalla società e dall’umanità alla quale appartiene, nè rinnegarla e disconoscerla e credersi puro tra gli impuri, irresponsabile delle colpe altrui, le quali, non meno che le azioni buone, hanno un’origine che oltrepassa il singolo e comprende tutti. Le partizioni e contrapposizioni degli individui come più o meno morali, o morali e immorali, sono affatto empiriche, sebbene abbiano le loro ragioni e le loro necessità nelle lotte e nello svolgimento effettivo della società.
Sì sa che l’uomo non può esser distinto dall’animale mercè di un criterio zoologico, fisiologico o patologico, perchè in questo riguardo egli è un animale tra gli altri, ma unicamente se ne distingue per gli ideali che in lui risplendono e per il potere creativo che gli conferiscono. Tanto vero che, nel giudizio morale, si suole escludere sovente dalla cerchia umana esseri a cui la forma corporea conferisce il nome di uomini, e rimandarli tra coloro a cui «vita bestial piacque e non umana», insensibili come si dimostrano a ogni culto e a ogni rispetto per la verità, per la bontà, per la bellezza, restii a ogni elevamento all’universale. Anche qui bisogna avvertire e tener presente che come la perfezione e la purità morale è un’asserzione di carattere empirico, così anche quella del contrario, e che non si può mai giungere ad affermare e ad attuare l’integrale e radicale privazione di ogni valore ideale in una creatura umana, se dell’animale stesso biologico non si può in assoluto affermarla, perchè anch’esso ubbidisce a talune spinte sopraindividuali e disinteressate, guidato da ciò che si designa talora con l’impropria parola d’istinto.
Come che sia, l’Anticristo, di cui discorriamo, non è semplicemente l’umana peccaminosità, l’abbandonarsi al male con l’interferente coscienza che quello è male, con la limpidezza di concetti morali che molte volte è stata con meraviglia osservata persino in uomini delittuosi i quali alle verità morali fanno ossequio, pur consapevoli che stanno sopra di loro come un cielo da loro inattingibile e perciò rinunziando a tentarne l’attuazione.
Il vero Anticristo sta nel disconoscimento, nella negazione, nell’oltraggio, nella irrisione dei valori stessi, dichiarati parole vuote, fandonie o, peggio ancora, inganni ipocriti per nascondere e far passare più agevolmente agli occhi abbagliati dei creduli e dei gonzi l’unica realtà che è la brama e cupidità personale indirizzata tutta al piacere e al comodo. Questo è veramente l’Anticristo, opposto al Cristo: l’Anticristo distruttore dei mondo, godente della distruzione, incurante di non poterne costruire altro che non sia il processo sempre più vertiginoso di questa distruzione stessa, il negativo che vuol comportarsi come positivo ed essere come tale non più creazione ma, se così si potesse dire, discreazione.
Tutto ciò pare assurdo nelle formule stesse che qui si adoperano ed è assurdo nell’idea e assurdo nella realtà stessa, la quale cesserebbe di essere realtà se quell’impulso fosse attuabile in pieno. E attuabile non è, perchè i valori ideali operano anche nel negatore Anticristo ed egli può distruggere molte cose vive e belle e buone e vere, ma non tutte, perchè, se così fosse, gli verrebbero meno gli stessi mezzi per il suo fanatismo di distruzione; onde, nella realtà, non consegue la fine del mondo, ma solo l’impoverimento, l’imbarbarimento, l’inselvatichimento, l’ora aperto ora represso e fremente bellum omnium contro omnes, nel quale gli attori saranno malviventi ma pur sempre vìventi.
E i periodi e le età così configurate si chiamano di varia decadenza e corruttela e imbarbarimento, e si ricordano con orrore dalle diverse età in cui gli ideali predominano, guidano, incoraggiano al fare in tutte le sue forme, e che si chiamano di progresso e di civiltà. Con orrore, al quale si accompagna talora la filosofica ammissione e la morale rassegnazione: che tale è la legge del mondo e che non invano quell’orrore fu sofferto, perchè la nuova età migliore è rinata da esso e la prova durata l’ha resa più esperta, più avveduta e più ricca di forze.
Siamo noi ora entrati (ripetiamo qui una domanda già fatta per altre occasioni) in una di quelle età nella più grave di tutte in quanto è succeduta o è prossima a succedere a un ricco svolgimento millenario della storia, segnatamente di quella europea? È da sperare di no; è da fare tutto quanto si può per non entrarvi; sopravanzano ancora a ciò forze di resistenza di molto vigore, ed altre di cui il vigore può risvegliarsi.
Ma che la minaccia dell’Anticristo contro il Cristo si sia levata, sembra indubbio. E senza impersonarla, come si potrebbe, seguendo il modo empirico che si è detto, in uomini e classi e popoli e stati, la si sente dappertutto, e perfino tra coloro che si schierano tra gli oppositori e studiano i mezzi di fronteggiarla e di sventarla, mezzi che spesso somigliano a quello dell’Anticristo e che porterebbero a diventare non vincitori ma preda di luì.
La bandiera che gli oppositori spiegano, il molto d’ordine che ripetono, è quello di «libertà»; e tale e non altro deve essere, e deve intendersi con intransigenza e custodire gelosamente incontaminato. La virtù creatrice si svolge in libertà, perchè se gli ideali sono i medesimi in tutti gl’individui, e tutti amano e vogliono il vero, il bello, il bene, l’attuazione di essi si fa solamente col risolvere problemi individuali, ciascuno apportando le proprie individue esperienze e le proprie abitudini individue, ciascuno i giudizii e i concetti che in lui sono urgenti e collaborando così al progresso del sapere che giova a tutti, e parimenti ciascuno cantando la sua poesia e contribuendo a creare il mondo della poesia, ciascuno ideando e compiendo la sua azione praticamente buona e contribuendo a creare il mondo civile.
Questo individualizzamento degli ideali è la vita della libertà, la quale per ciò stesso è tutta intera la vita morale e sinonimo di questa. Ora, contro la libertà, contro l’individualizzamento che è la concretezza storica degli ideali, l’Anticristo pone sè stesso come un universale senza individualizzamento, universale astratto che è un tiranno stupido ma pure un tiranno (il tiranno, del resto, è, in certa guisa, sempre stupido), e mira ad attuare uno stato nel quale gli in dividili non sono l’universale nella sua concretezza, ma gli schiavi di quell’astrazione.
E l’istupidimento si diffonde largamente intorno a quello, e gli uomini vanno incontro come incantati alla propria servitù, alla propria abiezione, alla propria morte e nullificazione, quasi una beatitudine che li aspetti. A udire le parole di codesti inconsapevoli mi torna talora in mente un romanzo storico che leggevo nella mia fanciullezza, nel quale si raccontava della prima crociata, quando in alcune parti d’Europa per una spaventosa carestia risorse sporadica l’antropofagia, e come accadesse che, scoperto uno di quegli antropofagi che attirava nella sua dimora i bambini, e somministrava a loro certe bevande che li stupivano e li intratteneva con strane fantasie, uno di questi bambini, trovato ancora in vita, disse ai suoi salvatori che l’uomo che l’ospitava era molto buono e caro e gli aveva promesso di renderlo un giorno così bello, così bianco e pulito e lucente come (e nel così dire tendeva lo sguardo e il dito tra ammirazione e desiderio) i cranii degli altri bambini divorati, che colui aveva schierati in riga nella sua caverna.
A questo ideale di morte, che ora si chiama «totalitarismo», «partito unico» e «obbedienza al partito», diè avviamento e sostegno teorico l’esaltazione dello Stato che fu della filosofia hegeliana e della pubblicistica tedesca e che col suo peso gravò sull’idea della coscienza morale alla quale il Kant e il Jacobi avevano mantenuto il primato. Ma, nella verità dell’esser suo, lo Stato non è altro che azione politica e giuridica, e se tenta di porsi al sommo dello spirito e di farsi comandatore della vita morale, viene senz’altro a riabbracciarsi coi più terribili tra i barbarici ìdoli primitivi, Moloch, Kemosch, Baal, Iahve, dai quali è provenuto il «numinoso» che l’idea dello Stato etico serba e che ai tempi nostri ha rivestito forme molteplici, forme diverse ed opposte, ma tutte con un che di sacro.
Emana da quelle forme un singolare fascino, possente a inebriare molti cervelli torbidi o deboli, e il semplicismo del concetto che hanno in comune, piace agli intelletti semplicistici, insofferenti di sostenere, nell’apprendere, le complicazioni e gli approfondimenti che il serio pensiero richiede, e ne vengon sedotte le volontà tanto più vaghe di violenza quanto più sono sostanzialmente deboli e pigre. Quella premessa mentale, che è un grossolano scambio logico, assai favorisce l’Anticristo che è in noi e che dai nostri petti si allarga o minaccia di allargarsi negli eventi della storia del mondo.
Le conseguenze pratiche di questo processo si osservano nei casi dei nostri giorni: nella durezza che si versa in crudeltà o addirittura in morbosa ferocia contro quelli che sono stati avversari! od ostacoli; nella gelida indifferenza con la quale si assiste alio schiacciamento di nazioni e di stati e al divellimento d’intere popolazioni dalle loro sedi tradizionali e secolari ; nella perduta o grandemente sminuita gentilezza del sentire, non parlando più ai cuori nè delicatezza di bontà nè dolcezza di memorie e di sogni; nell’effettiva sparizione dell’umano e generoso affetto che fu nell’origine del socialismo per le sorti delle classi proletarie, e del sincero proposito di redimerle, sostituiti ora da un cupo bisogno di odio e di distruzione, e di conquista e libidine della potenza per la potenza; nella prontezza ad accogliere ed eseguire ogni più iniquo comando senza che ci sia neppur bisogno di mettere a tacere quell’intima voce che fa tremare o arresta il braccio; nel mendacio, adoprato come mezzo consueto di lotta, senza più temere che venga scoperto e rinfacciato, senza dar segno neppure, quando ciò accade, di quella piccola forma del pudore che si chiama l’imbarazzo, e anzi sorridendo e quasi congratulandosi con sè stessi della propria bravura e coraggio, e schernendo l’accusatore come un’anima candida che non si è avveduta che mentire è ormai lecito all’uomo che obbedisce al perverso suo nuovo dio; nella spudoratezza di molti che professano la critica ricerca del vero e il culto della scienza, i quali, trepidi di possibili pericoli o cupidi di lodi e di vantaggi personali, abbandonano di punto in bianco il loro sistema di idee e si fanno zelanti propagatori dell’opposto, fascismo, razzismo o bolscevismo che sia; nella miserabile figura dei poeti, sedicenti raffinati, che similmente, levando il capo sul sensuale impressionismo ed ermetismo che coltivano, giurano di consacrarsi a una o altra delle cause dei regimi totalitarii succedentisi sulla scena politica e le cantano sul vecchio loro metro o con goffo miscuglio dello stile moderno col sermon prisco.
Ma io non continuerò nè particolareggerò questo quadro, al quale non prendo alcun diletto, e che ho solo abbozzato per soggiungere che così grossi effetti non nascono nè potrebbero nascere da un semplice convincimento teoretico, da un’errata teorizzazione dello Stato, ma altresì dal servire quella teorizzazione come una chiamata a raccolta, alla quale, insieme con gli irriflessivi di cui vi è sempre gran copia, accorrono i molti che, già da natura disposti alla prepotenza, alla durezza, alla menzogna, al servilismo, sotto quella formula teorica soddisfano la loro cupa bramosia e lasciano prorompere l’Anticristo che è in loro.