Steve non è proprio lo zio e Anna si bacia con la mamma. Sono le famiglie gay, promosse dai media come il ritratto della serenità. Ma nel segreto delle loro camerette i figli di papà&mamma sperimentano drammi inconfessabili
di Valentina Fizzotti
Quelle di cui ha parlato Giuliano Ferrara commentando la sentenza della Corte d’appello londinese che ha assegnato a un bambino tre genitori: la madre, la sua compagna e l’amico gay che prima ha donato il suo seme e ora vuole fare il padre. E quelle che da noi implica un pronunciamento della Cassazione, che, pur non riconoscendo come valido in Italia un matrimonio omosessuale celebrato all’estero, ha assicurato alle coppie gay il «diritto alla vita familiare».
Anzi, in presenza di «specifiche situazioni» ha garantito loro il diritto a un «trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata». Anche perché, si spiega, il fatto che i coniugi debbano essere di sesso diverso per potersi sposare per il diritto europeo è cosa superata.
A guardare le famiglie gay in tv e al cinema, il loro Mulino Rosa o Azzurro sembra il migliore dei mondi possibili. In quelle che appaiono nelle pubblicità – e che sfilano con la bandiera arcobaleno, fanno battaglie politiche, vanno alla Casa Bianca a ringraziare per l’attenzione alle minoranze grazie alla quale le soldatesse possono baciarsi pubblicamente – sono tutti felici.
Nello stereotipo delle nuove famiglie (il plurale è fondamentale per includere correttamente ogni sfumatura), se i padri hanno fisici mozzafiato e le madri affettuose un equilibrio fra casa e lavoro, i figli sono il ritratto della serenità. Nessuno di loro sembra notare differenze sostanziali fra la propria famiglia e quella altrui, nessuno si chiede come sia possibile essere venuti al mondo da due individui sessualmente identici.
Anzi, se le questioni sorgono si risolvono chiarendo che non ci sono etichette e ciascuno può essere ciò che preferisce. «Una famiglia tipica non esiste – si spiega in una delle tante guide di organizzazioni per i diritti Lgbt (lesbiche-gay-bises-suali-trans), come la storica Stonewall -, ci sono famiglie di ogni forma e dimensione».
Visti da qui i loro figli si sentono speciali e non hanno nessun problema con la figura paterna o materna (i nati da genitori etera resteranno gli unici grazie ai quali psicologi e psicanalisti avranno ancora un lavoro). In un ritorno ancestrale alla comunità, poi, le famiglie gay hanno a disposizione una rete sociale infallibile, nonni adorabili, zii e zie di identità netta o sfumata alla Almodovar. Lo scenario pare un po’ confuso, ma è la libertà, bellezza, e alla fine tutto sarà meraviglioso.
Le difficoltà che i bambini delle coppie gay incontrano ogni giorno sono molte, ma, ci assicurano, facilmente risolvibili. Eppure, se con qualche appoggio le questioni pratiche si sbrigano in fretta (Mamma come mi faccio la barba? Ora te lo spiega lo zio Tom. Papa, che cos’è un assorbente? Vai dalla vicina), è un po’ più difficile spiegare al figlio che cos’è quello strano animale chiamato mamma che tutti gli altri hanno e lui no. Oppure che il suo papa non è qui ma non è scappato, non è cattivo e non è nemmeno morto. Perché il vero problema, fra le conseguenze dell’amore, è la biologia.
Nelle famiglie arcobaleno alcuni sanno da dove vengono: da un padre e una madre che si sono lasciati. Uno dei due si è innamorato – prima, durante o dopo le nozze etero – di una persona del suo stesso sesso, che è entrata a far parte della loro vita. E non sempre va come nella favola che ti raccontano su papa che adesso ha un fidanzato: sulle pagine tristi (e nascoste) dei forum sul web, quelli senza timbri delle associazioni gay, gli adolescenti si sfogano, raccontano di lunghi pianti alla scoperta che Steve non è uno zio e che Anna e la mamma si baciano.
Chi ha genitori dichiaratamente gay sin dal principio vive pittoresche situazioni da sit-com, ma geneticamente e legalmente piuttosto complicate: in questi casi la situazione solitamente precipita quando il padre biologico invece di eclissarsi rinfaccia il suo diritto di sangue, o quando le due mamme litigano, o ancora quando la progenie pretende di sapere da dove arriva e si mette a saccheggiare banche dati delle cliniche.
Guardando la foto della festa
Le associazioni gay assicurano però che quasi tutti i bambini la prendono benissimo, anche perché molti loro coetanei considerano molto cool chi ha una famiglia diversa. Martha invece ha 13 anni, due mamme e un padre in provetta che non ha mai conosciuto e online cerca amiche nella stessa situazione perché non osa raccontarla a nessuno, preferisce mentire o stare sola.
Un’altra ha implorato le sue mamme di staccare l’adesivo arcobaleno-pro-gay dall’auto, ma loro si sono rifiutate. Uno ha fatto a botte un sacco di volte per difendere l’onore delle sue due madri e ha provato su di sé la cattiveria dei ragazzini: «C’era questo tizio che mi sfotteva perché ero figlio di lesbiche. Poi sua madre ha lasciato suo padre per la madre di un nostro compagno, lui ha smesso di sfottermi e io, anche se odio ammetterlo, ho pensato: ben ti sta, ora sai come mi sento».
Un bimbo si è accorto che qualcosa non andava guardando le foto della festa delle elementari: nessun altro aveva due papa. Allora ha scritto tre domande anonime alla maestra: è sbagliato avere due padri? Come posso essere nato? E se un bambino ha due padri, potrà mai sposare una bambina o dovrà per forza sposare un altro maschio? I suoi gli hanno spiegato che la normalità non esiste, ma da allora lui ha deciso che nessun compagno di classe sarebbe mai entrato in casa sua.
Però dove c’è l’amore c’è tutto e il problema, casomai, riguarda gli altri. Perché alla fine tocca agli altri, alla scuola o ai genitori etero, insegnare ai bambini che esistono famiglie con ogni variante possibile, tutte ugualmente normali. Altrimenti, dicono, si fomentano gli atteggiamenti discriminatori dei fanciulli: nell’ottica Lgbt, un bambino che prende in giro un figlio di lesbiche non è un bullo che probabilmente taglia anche le trecce alla secchiona di classe, ma il soldatino di una battaglia di civiltà.
E se nessuno facesse notare la loro diversità, i figli delle nuove famiglie sarebbero assolutamente sereni nel loro quadretto monocolore. Oppure, dice qualche genitore gay, speriamo per loro che alla fine, nonostante tutto, escano etero.
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La studiosa del “gender mainstreaming”
In quelle vite c’è sofferenza
Per Dale O’Leary è ipocrisia attribuire i problemi degli omosessuali alla società. «La loro mancanza non sarà colmata dal riconoscimento di un “diritto”»
di Benedetta Frigerio
«Non c’è dubbio. La burocrazia delle Nazioni Unite è devota alla causa dei “diritti sessuali”». A spiegarlo è Dale O’Leary, medico americano che ha partecipato alle conferenze Onu del Cairo e di Pechino sui princìpi del “gender mainstreaming” e che da trent’anni si occupa dei cosiddetti nuovi diritti. O’Leary fu la prima a parlare di come le lobby Lgbt e abortiste si muovono all’interno delle istituzioni internazionali.
È attraverso queste ultime, infatti, che l'”agenda gay” può essere più facilmente imposta ai governi. In particolare ai più deboli: «Gli Stati del Sud America e dell’Africa subsahariana ricevono aiuti dall’Onu e sono ricattati dai governi che li finanziano, soprattutto dall’amministrazione Obama. Ma anche i paesi dell’Unione Europea subiscono pressioni. Alle quali sono più suscettibili in un momento di crisi come questo».
Perché il governo degli Stati Uniti ha deciso di farsi promotore di questi diritti?
I promotori di questi nuovi diritti lavorano da anni per diffondere la loro mentalità nelle istituzioni. Me ne accorsi nel 1994, alla conferenza Onu del Cairo. Lì i governi furono invitati a «diffondere l’Agenda di Genere». Da quel momento l’amministrazione Clinton, il governo canadese, l’Unione Europea e diverse agenzie Onu si sono impegnati a diffondere l’idea che l’identità sessuale «è stabilita dalla volontà della persona e non dalla sua natura».
Mi tornò in mente una conferenza sulle donne e il potere in America: si spronarono le presenti a lavorare per occupare posti importanti, spiegando loro che il governo non aveva bisogno delle donne in generale, ma di quelle d’accordo con la visione libertina della sessualità e del genere. Dopo pochi anni ecco realizzato il progetto: l’amministrazione Obama ha fatto l’en plein di persone provenienti da questo mondo. Così è passata la legge che obbliga a includere contraccezione e aborto nelle assicurazioni mediche pagate ai dipendenti dai datori di lavoro, comprese le istituzioni religiose.
I promotori dei “diritti sessuali” si dicono amici delle donne.
Nel libro Unprotected, scritto da uno psichiatra di una delle università più importanti d’America, sono raccolti decine di esempi di ragazze che per via di un orientamento sessuale deviato tentano il suicidio, si drogano, diventano bulimiche o anoressiche. La femminista americana Sylvia Ann Hewlett era convinta che le donne dovessero prima di tutto ottenere il diritto al lavoro, così ne ha intervistate migliaia in carriera, ma, come ha riportato nei suoi libri, si è accorta che quasi tutte non avevano bambini. All’inizio pensava non ci fosse nulla di male: era una loro libera scelta. Poi però le intervistate incominciavano a parlare di drammi interiori nascosti. Piangendo, confessavano vite devastate. Avevano vissuto per il lavoro, molte avevano storie abortive alle spalle e ora erano sterili.
Quali altre conseguenze ha l’educazione libertina?
Il Planned Parenthood, la più grande lobby abortista americana, ha un sito per teenager la cui homepage recita: «Sei pronta a fare sesso? Non c’è problema. Esistono i contraccettivi e l’aborto». Nessuno dice loro che si potranno ammalare e diventare sterili. O che i teenager sessualmente attivi sono tre volte più esposti alla depressione e al suicidio (lo dimostrano i dati del National Longitudinal Surveys del dipartimento americano del Lavoro). Questi sono fatti.
Il libertinismo fa male anche agli omosessuali stessi?
Si dice che li si vuole aiutare, ma sono passati trent’anni da quando fu diagnosticato per la prima volta l’Aids a un omosessuale: da quel momento più di 300 mila gay sono stati uccisi dal virus. Quest’anno ne moriranno 6 mila. E in soli tre anni i malati sono cresciuti del 17 per cento. Secondo le statistiche dei Cdc (Centers for Disease Con-trol) in America un omosessuale praticante su cinque è affetto da Hiv. Questo accade anche perché agli attivisti gay interessa preservare la loro libertà sessuale, anche a costo della vita. Come documentato da più medici, sebbene l’omosessualità li renda spesso nevrotici, depressi, e l’Hiv li faccia stare male, tanti sono così dipendenti dal sesso che in certi casi non importa loro né di morire né di contagiare gli altri.
Molti sostengono che gli omosessuali sono felici e bisogna lasciare che lo siano.
Questa è falsa e ipocrita tolleranza. Anche nei paesi in cui la tolleranza è massima il livello patologico non scende, come dimostrato ad esempio dalle statistiche della Nuova Zelanda e dei Pesi Bassi, dove la legge è la più permissiva possibile (vedi grafici a pagina 44). Spesso queste persone imputano il loro malessere all’oppressione sociale e all’ “omofobia”, per questo lottano così vio-lentemente per ottenere certi diritti. In queste vite c’è sofferenza e le ama molto di più chi le guarda e cerca di prendersene cura, dicendo come stanno le cose, rispetto a chi sostiene di tollerarle con indifferenza.
Perché concedere agli omosessuali il diritto ad avere una famiglia minaccerebbe il matrimonio naturale e il bene comune?
Uno dei documenti più importanti di papa Benedetto XVI parla di mancanza di complementarità nelle coppie omosessuali. Ho scoperto studi psichiatrici che attestano come queste coppie cercano di compensarla. Ad esempio sacrificano la propria identità naturale ricreando rapporti simili a quello tra marito e moglie. Oppure sacrificano la maturazione, ricreando un rapporto simile a quello tra genitore e figlio.
Non penso che non si ritrovino mai soddisfazioni in questi rapporti, ma occorre che queste persone capiscano che la loro mancanza non sarà mai colmata, né dalla totale accettazione da parte degli altri né dalla ridefinizione del matrimonio naturale. Anzi, una ridefinizione sarebbe pericolosa: creerebbe una mentalità relativista dagli effetti distruttivi che ho appena descritto, minacciando la crescita naturale delle persone e la necessità sociale dell’unione eterosessuale, l’unico luogo in grado di crescere persone solide e di compiere, attraverso una complementarità piena, i coniugi.