La dignità dell’uomo di fronte alla nascita della bio-economia
di Alessandro Serini (*)
Nexia Biotechnologies è un’azienda dove i lavoratori sono delle capre. Non che siano inesperti, tutt’altro: sono proprio delle capre a vestire la tuta da operaio e a produrre tele di ragno. Proprio così: capre che producono tele di ragno. Non è il racconto di un film di fantascienza, ma è un’azienda in carne ed ossa (letteralmente) a produrre acciaio biologico da dieci anni.
Quelli della Nexia hanno isolato il gene che produce la proteina della tela del ragno, lo hanno ricombinato con il gene delle cellule mammarie della capra e, quando questa va in lattazione, dentro le mammelle insieme al latte viene prodotta la preziosa proteina. Adeguatamente munta, la proteina costituisce la base del BioSteel, ovvero una tela di ragno costruita da mani d’uomo, con diametro, densità e flessibilità adatta alle caratteristiche richieste dal cliente. Sei volte più resistente dell’acciaio, molto più leggero e, soprattutto, biologico. Acciaio biologico.
Biogen Idec Biotechnology è un’azienda dove i lavoratori sono dei parassiti. Anche qui, non che vi siano dei lavoratori fannulloni: semplicemente, i lavoratori di quest’azienda sono batteri nuovi di zecca, il cui nucleo cellulare contiene una ricombinazione di geni umani e di geni batterici; o meglio, dove il gene umano che dà luogo alla proteina dell’interferone umano viene inserito dentro la struttura genetica del batterio, e quest’ultimo si dà da fare per mettere in produzione interferone umano in quantità industriale. Dicono, a costi di produzione veramente interessanti. Una catena di montaggio biologica e desindacalizzata.
La Monsanto è un’azienda che coltiva plastica. Potrebbe produrla, la plastica, come le aziende normali, ma in realtà preferisce coltivarla. Costa un po’, ma inquina di meno e si guadagna di più. Ingegneri genetici e nano-scienziati hanno inserito strutture molecolari di alcune plastiche nel dna del mais, e le coltivano. Giunto a maturazione, il mais viene raccolto e viene poi estratta la materia prima da cui prenderà forma la plastica desiderata: sintetica, anzi no: biologica; o forse tutt’e due.
Quelli citati sono solo alcuni esempi della convergenza in atto tra codice biologico, codice informatico e codice chimico. Tre mondi fino a ieri non comunicanti (ricordate? regno animale, regno vegetale, regno minerale…con l’aggiunta del regno digitale) oggi comunicano tra di loro e assistiamo a quella che potrebbe diventare una palingenesi, una nuova creazione. In realtà, le combinazioni intra-codice sono sempre avvenute nel corso della storia, ma all’interno dei propri confini: oltre non si andava.
Oggi, la tecnologia sta permettendo la realizzazione di combinazioni inter-codice, dove i differenti codici – biologico, minerale, umano e digitale – possono essere letti l’uno dentro l’altro. Si dischiudono possibilità sconosciute fino a pochi anni fa, il cui risvolto non può non suscitare alcuni interrogativi. Soprattutto perché c’è in ballo una nuova visione dell’uomo e della creazione.
E’ quella che propongono Stan Davis e Chris Meyer in un libro intitolato Bioeconomia. La nuova convergenza tra biologia, informatica e business. Oramai vecchiotto (2003), il libro non ha suscitato in Italia praticamente alcun dibattito. Eppure ce ne sarebbe, da discutere, per la caratura internazionale degli autori e per i contenuti espressi nel volume. Christopher Meyer è stato direttore del Center for Business Innovation di Cap Gemini Ernst & Young e ha contribuito a fondare il BiosGroup di Santa Fe, che sviluppa applicazioni basate sulla teoria della complessità.
L’archivio di Ernst & Young raccoglie informazioni su decine di migliaia di aziende sparse in tutto il mondo, molte delle quali sono oggetto delle sue consulenze. Parliamo di aziende con fatturati a dodici zeri. Stan Davis, consulente aziendale, ha insegnato business strategy ad Harvard, l’università più prestigiosa al mondo in fatto di economia, la culla del pensiero economico dominante. Come dire, i due non sono esattamente dei dilettanti. Dall’alto della loro rupe, annusano il vento dove soffia, e i loro oracoli sono ascoltati e ben pagati. Anche perché, normalmente, si realizzano.
Leggere Blur, scritto da entrambi nel 1998, per credere: descrivono il mondo di oggi, fatto di digitale, tempo reale e interconnessione globale, con quindici anni di anticipo; oppure 2020 Vision, scritto a metà degli anni novanta, e anche lì, c’è da rimanere sorpresi. Non che siano dei preveggenti, no: semplicemente, hanno analizzato le strategie di migliaia di aziende, i contesti culturali e sociali in cui si dispiegano, hanno scoperto le tendenze di fondo, e cercano di proiettarle nel futuro. Immaginando mondi possibili, anche al di fuori dell’angusto spazio delle fabbriche.
Ebbene, che cosa dicono i nostri autori? Attraverso gli esempi citati e grazie alla nascita delle applicazioni inter-codice, disegnano sostanzialmente un futuro evolutivo. L’uomo, affermano, non è il vertice del disegno creatore, ma un anello della catena evolutiva, frutto di quanto accaduto in precedenza ed in cambiamento verso quanto accadrà in futuro.
Non sappiamo che tipo di uomo ci sarà in futuro, ma sappiamo che sarà un uomo diverso da quello attuale: e non in termini filosofici o spirituali, ma proprio in termini genetici. La convergenza dei codici porterà alla realizzazione di esseri geneticamente ricombinati, secondo criteri funzionali all’adattamento ambientale. Come dire, una spintarella all’evoluzione.
Sembra di ascoltare i discorsi di uno scienziato pazzo, ma la convergenza di biotecnologia, informatica e business sta creando un movimento d’opinione che preme per andare in questa direzione. Con la benedizione della dèa della Salute. Alcuni anni dopo la stesura del libro, in Gran Bretagna è stata creata in laboratorio la prima chimera, una cellula il cui nucleo è frutto di una combinazione di cromosomi umani e di cromosomi animali.
Sono esperimenti scientifici, guidati da finalità di carattere medico, tuttavia ispirati da una precisa prospettiva filosofica. Che esperti di economia e di scienza ponessero questioni di natura filosofica e teologica, era nell’aria.
Quando la tecnologia entra fin dentro le cellule e penetra il nucleo della vita, scoprendone le sue leggi, riproducendole, ricombinandole, commercializzandole, è inevitabile che l’uomo dia luogo a nuove entità. Ed è inevitabile che vengano poste domande sul ruolo che egli ricoprirà all’interno del nuovo ordine di creazione. Questioni filosofiche, appunto. Ciò che stupisce in questi autori è tuttavia la lucida constatazione della inevitabilità di quanto affermato. Non si sottopone a dubbio se l’uomo sia un anello della evoluzione o un punto d’arrivo della creazione: l’uomo è un anello dell’evoluzione e, in quanto tale, sviluppabile.
Che poi nel loro libro venga dedicato ampio spazio ai futuri modelli d’impresa – guardacaso ispirati al sistema evolutivo di derivazione biologica – è un fatto per certi aspetti secondario: la visione darwinista della vita, dell’uomo, dell’economia, del mondo animale, permea ogni riga del libro e ne ispira le conclusioni. Non sottoforma di metafora, ma come una vera e propria realtà che sta già accadendo – centinaia di imprese sono lì a dimostrarlo – una strategia di sopravvivenza della specie umana e delle sue produzioni dentro la grande corrente dell’evoluzione naturale.
Se non fosse per la credibilità degli autori, non ci sarebbe da preoccuparsi: le solite fantasie degli apocalittici di turno, si direbbe; ma l’attendibilità degli autori e le informazioni circostanziate che espongono, autorizza chi legge a credere che già oggi vi sono aziende che spendono decine di milioni di dollari per portare avanti il disegno evoluzionista sull’uomo. Vera o falsa che sia la prospettiva evoluzionista, ciò che conta è che essa guida gli investimenti nei settori più avanzati dell’economia.
Con conseguenze difficilmente immaginabili. A naso, non ci si sente molto sicuri quando si viene considerati esseri viventi tra i tanti, piuttosto che persone uniche e irripetibili. Forse è per questo che il movimento creazionista è nato e si è diffuso particolarmente negli Stati Uniti, paese in cui la filosofia darwinista e gli sviluppi bio-nano-tecnologici sono più avanzati che altrove.
Il creazionismo – il complesso di idee che riconduce le origini della natura, dell’uomo e dell’universo all’opera di un Ente superiore, che conferisce dignità alle cose e all’uomo, culmine della creazione – assume quindi il ruolo di diga contro il dilagare dell’evoluzionismo in economia, in filosofia e, in futuro, nella vita di tutti i giorni. Le ricadute delle sperimentazioni scientifiche sulla vita quotidiana saranno infatti evidenti quando le aziende esigeranno dei ritorni sugli (ingenti) investimenti effettuati. E c’è da scommetterci che l’oggetto del desiderio, la pietra filosofale che trasforma il metallo in oro, sarà proprio la cellula dell’uomo, il meraviglioso microcosmo in grado di unire in sé natura, psiche, anima e spirito.
Le cellule staminali degli embrioni umani forse non guariranno l’uomo dal cancro; sicuramente potranno spostare significative masse di denaro e di potere su questa terra, se verranno brevettate al pari di qualsiasi opera d’ingegno. La monetizzazione delle cellule viventi, infatti, sostituirà progressivamente la monetizzazione dell’informazione – tipica dell’economia digitale. Disporre degli embrioni umani permetterebbe (permetterà?) di brevettarne legalmente la manipolazione, e quindi di dare enormi vantaggi di vendita alle aziende che avessero la fortuna di registrarli.
A questo punto, è lecito chiedersi quali sviluppi sulla vita di tutti i giorni possa avere un tale movimento di denaro e di idee, e quale ruolo possa avere il creazionismo nell’indirizzare tali idee. L’attuale utilizzo delle tecnologie del nanocosmo si indirizza fondamentalmente sul controllo delle informazioni biologiche.
La diagnosi pre-natale in Gran Bretagna viene effettuata oramai dal 90% delle donne in gravidanza; negli Stati Uniti, il test sulla mappatura genetica dei cromosomi di famiglia è in rapida diffusione, ed il costo è crollato dagli iniziali milioni di dollari di vent’anni fa agli attuali cinque-diecimila dollari per analisi; il governo federale americano finanzia oramai da anni gli screening tumorali al seno – a costi decisamente popolari per la gran parte delle donne chiamate in causa. Nell’attuale fase nascente del business molecolare, la biotecnologia supporta l’informatica e viceversa, ed entrambe incrementano la bio-economia a suon di dollari e di posti di lavoro.
Tuttavia, siamo appena agli inizi. La storia della tecnologia e l’andamento dei cicli di vita economici ci dicono infatti che le innovazioni di un settore con il tempo fuoriescono dal settore di competenza e iniziano a permeare ogni altra realtà economica diventando, nella fase di maturità, mercato di massa.
Così è stato per l’energia elettrica (impiegata inizialmente nelle sole fabbriche); così è stato per l’informatica (impiegata inizialmente nei soli centri elaborazione dati); così sarà per le bio e nanotecnologie, che usciranno dai laboratori e trasformeranno tutti i settori economici e i processi aziendali attuali, realizzando, per i mercati di consumo, vernici autopulenti, carrozzerie a memoria di forma, nasi elettronici, piastrelle sanitarie antiodore, batteri mangiarifiuti, microchip a silicio “vivente”, soldati con esoscheletri potenziati e, forse, chimere per la produzione di massa di organi da trapianto.
E’ proprio sul fronte dell’utilizzo dell’uomo come materia prima che la visione creazionista può mettere sul tavolo un supplemento di umanità. Se non c’è alcun dubbio che l’utilizzo delle bio-nano-tecnologie ibride porterà ad un grande miglioramento della vita delle persone – a costi economici e ambientali nettamente inferiori agli attuali – l’utilizzo dell’uomo come materia prima deve essere vietata con risolutezza pari all’impegno con cui i darwinisti la propugnano. Per diverse ragioni, di carattere filosofico, antropologico ed etico insieme.
Dal punto di vista filosofico, l’uomo si è sempre rappresentato come entità a se stante, rispetto alla natura: l’autocoscienza dell’uomo, la percezione della sua esistenza, la coscienza della propria morte, le capacità di conoscenza, l’apertura alla dimensione spirituale, la capacità di manipolare la natura utilizzando quelle stesse leggi che andava scoprendo, hanno fatto sì che egli si percepisse come realtà diversa e suprema rispetto al resto della natura. “Perché l’essere, e non il nulla?” è la prima domanda che l’uomo si è posto – la radice della propria coscienza – e soltanto l’uomo è stato in grado di porla. Nessun animale ha mai manifestato un così elevato stato di coscienza, né è stato in grado di comunicarlo.
A difesa di questa diversità, l’uomo si è posto l’obbligo di mantenere integra la sua essenza, ovvero la percezione di sé come unità indissolubile di mente, anima e corpo. Questa fu la ragione per cui la Chiesa inizialmente era contraria alle autopsie sui cadaveri umani e alle operazioni chirurgiche: intravedeva in esse una violazione di tale unità. La constatazione successiva degli effetti benefici della chirurgia nel pieno rispetto della dignità umana, anche in presenza di manipolazioni o di amputazioni del corpo (un braccio non è il corpo, il corpo non è l’uomo) fecero sì che la scienza medica si sviluppasse con il pieno appoggio della Chiesa.
Probabilmente, risiedono in questa coscienza comune, sedimentata nei secoli, le perplessità che oggi aleggiano nel sentire popolare a proposito delle biotecnologie, perplessità che la stessa cinematografia hollywoodiana rappresenta in modo così evidente. Ora, se la parte non è il tutto, la bio-economia sta mettendo in discussione proprio il tutto. Se una chimera non è più un uomo, allora che cosa è? o meglio, che cosa diventerà?
Che centinaia di migliaia di batteri vivano in simbiosi con il corpo umano, è risaputo: ma i due codici genetici rimangono separati, e le due entità rimangono distinte; ebbene, l’unione di sequenze genetiche animali con sequenze genetiche umane stravolge questa distinzione ed introduce organismi radicalmente nuovi. C’è da chiedersi se questi organismi siano anche entità nuove.
E’ vero che il codice genetico non è la persona umana, e non si può ridurre una persona al suo codice genetico: ma l’ibrido genetico nato da una ricombinazione di gene umano con gene animale conserverà ancora quell’unità di mente, anima e corpo che noi definiamo “persona”? se avrà una coscienza, sarà coscienza umana? Prudentemente, fino a quando non sarà esplicitato il rapporto tra codice genetico e mente, e tra coscienza e persona, è opportuno mantenere un atteggiamento cautelativo nei confronti delle sperimentazioni sulle cellule umane. Vietare le sperimentazioni sulle cellule embrionali umane non è un limite al progresso della scienza, ma la difesa di quella unicità che determina l’uomo come entità specifica.
Alle questioni di natura filosofica si assommano poi perplessità di natura antropologica. La separazione dell’uomo da Dio ha prodotto negli ultimi secoli un pericoloso impoverimento della dignità dell’uomo, la riduzione dell’uomo a strumento; in tal modo, l’uomo può essere manipolato, strumentalizzato, persino ucciso, senza incorrere nelle cautele e nelle sanzioni a cui si accennava in precedenza.
Già nel Seicento, Cartesio ridusse l’uomo alla sua capacità di pensare (“Cogito, ergo sum”) con la conseguenza che, se oggi un uomo entra in coma e il suo cervello smette di pensare, può essere ucciso, come nel caso di Eluana Englaro, perché non più giudicato uomo. Il secondo impoverimento della dignità dell’uomo si è avuto con il movimento eugenetico, nato due secoli orsono.
Al di là delle buone intenzioni, esso sta tentando di ridurre l’essere umano al suo stato di salute, con la conseguenza che, se un uomo presenta una qualche forma di disabilità, può essere ucciso perché considerato meno che uomo: non a caso i primi a finire nei forni dei nazisti, la cui ideologia era intrisa di affermazioni eugenetiche, furono proprio i disabili; infine, si assiste oggi ad un terzo impoverimento antropologico, di origine biologica, che considera uomo solamente un essere umano pienamente formato e sviluppato; con la conseguenza che, una cellula umana la quale non abbia terminato la sua crescita all’interno del grembo materno, non viene considerata cellula umana, ma un semplice agglomerato di cellule appartenenti alla specie umana.
Di conseguenza si tenta di brevettarne i meccanismi di generazione e di riproduzione della vita, le leggi della vita dentro la cellula, a fini medicinali e commerciali. In definitiva, la scissione tra corpo umano e persona spirituale, e più in generale la perdita di una visione integrale dell’uomo, sta lentamente realizzando la sua disumanizzazione, con il rischio di lederne la dignità fin dentro la sua capacità di sopravvivenza.
Per tale ragione, è opportuno promuovere una moratoria degli esperimenti sulle cellule umane nella misura in cui violano la dignità dell’uomo nella sua integrità di corpo, anima, mente e psiche. Tra parentesi, la manipolazione di cellule staminali prelevate da un uomo adulto non violano questa integrità, ed è rispettosa della sua dignità; ma non sono brevettabili, e dunque, non sono convenienti dal punto di vista commerciale.
Infine, dal punto di vista etico, i nodi dello sviluppo bio-economico sono ancora più evidenti. Se la salute fu il fattore critico dell’economia agricola, se l’energia fu il fattore critico dell’economia industriale e se la privacy è il fattore critico dell’economia digitale, c’è da scommettere che l’etica sarà il fattore critico della economia molecolare, proprio per le implicazioni appena evidenziate.
Oggi è in gioco non solo la salute dell’uomo, o il suo lavoro, o la sua privacy, ma direttamente l’esistenza dell’uomo in quanto tale. Alcuni esempi di comportamento disumanizzante sono già stati presentati; si possono qui citare altri comportamenti non etici, frutto proprio delle distorsioni filosofiche e antropologiche che abbiamo presentato.
In Gran Bretagna, il 90% delle donne in gravidanza si sottopone alla diagnosi prenatale del feto, come anticipato, ma lo fa in vista di un possibile aborto in caso di non rispondenza del bambino ai requisiti attuali di sostenibilità genetica; in tal modo, la visione perfezionista dell’uomo alimenta forme di aborto selettivo e collettivo di chiara matrice eugenetica.
Negli Stati Uniti, la mappatura del codice genetico individuale viene utilizzata al di fuori dell’ambito prettamente sanitario, in via confidenziale, per selezionare candidati ad un posto di lavoro, non solo su base professionale, ma anche su valutazioni di carattere biologico e genetico: la predisposizione genetica ad una determinata malattia, di conseguenza, danneggia il candidato nella misura in cui la manifestazione futura della malattia determinerà un costo per l’azienda che l’assume.
Una medesima dinamica, ancora più accentuata, caratterizza il sistema previdenziale americano, di natura in gran parte privata, il quale acquisisce a peso d’oro le informazioni di carattere sanitario e genetico delle persone da assicurare, al fine di avere un quadro prevedibile del rischio che si assumono nello stipulare con essi una copertura di tipo sanitario; e declinare la richiesta di assicurazione, qualora il richiedente non corrisponda agli standard di sostenibilità genetica richiesti per stipulare una polizza.
Forse è per questo che negli ultimi anni, sempre in America, si assiste ad un fenomeno triste e nello stesso tempo inquietante: stanno drasticamente diminuendo le richieste di screening tumorali al seno da parte delle donne, le quali preferiscono rischiare di perdere la vita a causa di diagnosi non preventivate, piuttosto che produrre informazioni sul proprio stato di salute che potrebbero essere usate contro di loro – al di fuori dell’ambito prettamente sanitario da cui fuoriescono.
La profonda intimità delle persone, svelata dalle conoscenze biologiche e genetiche, unitamente alla incontrollabile diffusione delle informazioni digitali, sta producendo comportamenti prudenziali da un lato, e lesivi della dignità umana dall’altro. Le distorsioni morali che tutto questo comporta sono dunque evidenti, e si ravvisa ancor più chiaramente la necessità di governare le possibilità che lo sviluppo bio-info-economico ci sta dischiudendo.
Una corrente di pensiero in rapida espansione sta pertanto diffondendo l’idea che l’uomo sia un anello della catena dell’evoluzione, e che dopo di lui si potrebbero costruire esistenze “ultra-umane”, come il super-uomo o il sub-uomo, a seconda che si debba diventare dirigenti o servitori, in vista della evoluzione armonica della specie nel suo complesso. Fantasie? no di certo: è ormai tecnicamente possibile creare in laboratorio l’uomo-fotocopia, ovvero la clonazione di un essere umano, sulla falsariga della pecora dolly e dei migliaia di animali clonati a scopo di allevamento realizzati a partire da quel lontano 1996. Solamente le forti remore morali che i principali stati occidentali hanno manifestato, ha permesso di innalzare una moratoria attorno alla clonazione dell’uomo. Per adesso.
In ragione di tutto ciò, il creazionismo sta portando avanti una battaglia culturale contro la filosofia ultra-umanista anche al fine di mettere un argine agli sviluppi della bio-economia. Il creazionismo è una visione teologica dell’esistenza, e nello stesso tempo è anche una visione antropologica, perché lega l’uomo a Dio, come una creatura al suo Creatore. Lungi dallo sminuirne la libertà, esso restituisce all’uomo quella dignità che visioni filosofiche, antropologiche ed etiche distorte gli stanno togliendo.
L’uomo viene creato interamente da Dio, e non c’è niente in lui che sia stato creato al di fuori di Dio: è nella sua origine divina che l’uomo trova la sua assoluta dignità. Il corpo dell’uomo è stato creato da Dio con la terra; inoltre, lo spirito di vita è stato soffiato da Dio nelle sue narici; come se non bastasse, con Cristo l’uomo è stato “deificato” nel momento in cui lo Spirito Santo è stato “soffiato” dentro di lui con il battesimo.
In sostanza, non c’è niente dell’uomo che non tragga origine da Dio: corpo, anima, psiche e spirito. Non solo: la perfetta unità di questi “elementi” viene raccontata attraverso le immagini bibliche di cieli nuovi e terre nuove, che ci accompagneranno in futuro con la fine della storia, allorquando le nostre anime defunte si uniranno nuovamente ai corpi e torneremo ad essere quell’unità di elementi con cui Dio ci ha pensati e creati. Nulla dell’uomo viene scartato, perché tutto è prezioso.
Il creazionismo dunque non è solamente una corrente di risveglio teologico nell’epoca del secolarismo dilagante, ma è anche un’assicurazione sulla vita, una cassetta di sicurezza che custodisce l’integrità dell’uomo nel bunker della sua origine divina: siamo proprietà di Dio, non possiamo essere derubati. Dice Ignazio Sanna, vescovo e antropologo culturale cattolico, che grazie a Cristo non possiamo essere meno che Cristo, ovvero non possiamo avere una dignità inferiore a quella da Lui conferitaci.
Alla luce di tutto ciò, la vera scommessa sarà dunque quella di riconciliare la scienza con la sua origine, che è l’uomo. Una scienza senza fede ha trasformato lo stupore per la conoscenza in uno strumento di manipolazione contro di esso. Riappropriarsi della sua origine significa anche riappropriarsi del suo significato: essa è uno strumento al servizio dell’uomo, nata come stupore per la bellezza e sviluppatasi per rendere la vita dell’uomo meno faticosa, al fine di tutelare in ogni stagione la sua dignità, dal concepimento alla morte. Fondamentalmente, la scienza è un servizio alla vita.
C’è da sforzarsi, dunque, di sapere indirizzare la nuova frontiera bio-info-economica, e tutte le meraviglie che essa sta prospettando, verso un orizzonte che dichiari fermamente e pubblicamente il rispetto dell’essere umano in ogni sua stagione e in ogni sua parte. Nessuno vuole castrare gli sviluppi della nuova scienza, come nessuno vuole limitare le opportunità economiche che essa offre; solo, è necessario indirizzare questo sviluppo in una direzione che sappia garantire un’ancora maggiore dignità all’uomo, nel momento in cui viene sottoposto alla prova del dolore e della sofferenza.
Alleviare il dolore ed essere vicini nella sofferenza è la ragione per cui è nata la scienza medica: ricordare questa nobile finalità agli evoluzionisti (siano essi scienziati, uomini d’affari o tecnici) è il compito che spetta a noi e a tutti coloro che riconoscono con gratitudine la mano amorevole da cui siamo stati creati.
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(*) Alessandro Serini Laureato in economia e commercio alla Luiss Guido Carli, ha conseguito il master in ricerca sociale al dipartimento di Demografia dell’Università Sapienza di Roma. E’ ricercatore dell’Iref dal 1998. Ha svolto studi sulla responsabilità sociale d’impresa e sui cambiamenti in atto nel mondo del lavoro, con particolare riferimento ai disagi legati al mobbing e alla disoccupazione over40. Ha pubblicato saggi e articoli su questi argomenti e di recente ha curato i volumi “Il circuito del separatismo. Buone pratiche e linee guida per la questione Rom nelle regioni Obiettivo Convergenza”, Armando Editore, Roma, 2011; e “Come se non ci fossero. Il mobbing e i meccanismi sociali di negazione dei lavoratori”, Franco Angeli, Milano, 2007.