da Libertà & Persona 4 gennaio 2019
Padre Giovanni Cavalcoli
Non ultra habemus Papam!
Nella Chiesa si sentono voci allarmate: «Aiuto! Scandalo! Il Papa non è cattolico! Il Papa è eretico! Il Papa ha perso la fede! Il Papa è contro la Tradizione! È un modernista! È un rahneriano! È un hegeliano! È un luterano! È un massone! È un comunista! È un relativista! È un indifferentista! È un lassista! Odia la dottrina! Non rispecchia gli insegnamenti di Cristo! Non crede ai valori non negoziabili! Ha cambiato il Credo della Chiesa! Ha mutato l’essenza della Chiesa! Scende a patti con le idee del mondo! È un falso Papa! È l’Anticristo! Invochiamo S.Michele Arcangelo!».
Ora, è vero che Papa Francesco non eccelle nella chiarezza e nella precisione del linguaggio, nello zelo per la diffusione della sana dottrina, non misura le parole, non si preoccupa di dissipare gli equivoci, si lascia scappare battute inopportune, gli piacciono le ambiguità, non condanna le eresie, parla troppo, si adira se gli fanno delle osservazioni, tace quando gli sottopongono dei dubbi e nel caso che debba giustificarsi da accuse pubbliche e fondate, oppure tace alcune verità del Vangelo, non corregge gli errori dei fratelli separati, sembra meritare tutti gli appellativi di cui sopra, non spiega il senso dei dogmi, prende in giro i teologi, scherza sulle cose sacre, deride la Madonna chiamandola «postina», gli piace di essere chiamato «rivoluzionario» ed osannato come autore di una «svolta epocale», coccola i modernisti e bastona i tradizionalisti.
Con tutto ciò non dovrebbe essere molto difficile enucleare le linee di fondo del magistero di questo Papa, dalla struttura molto semplice, facilmente memorizzabile, data la esiguità dei suoi fattori o delle sue componenti, e che egli ha ripetuto e ripete continuamente dall’inizio del suo pontificato ad oggi: è una calda esortazione fatta a tutti gli uomini di buona volontà alla gioia che nasce dalla consapevolezza di essere oggetto della misericordia di Dio con l’invito pressante ad essere misericordiosi con il prossimo.
Così, esclusa l’enciclica Lumen Fidei sulla fede, che comunque è fonte di gioia, troviamo il tema della gioia o del gaudio espressamente citato nel titolo di quasi tutti i documenti principali di Papa Francesco: la Evangelii gaudium, la Laudato si’ (la lode è legata alla gioia), la Amoris laetitia, la Exultate et gaudete, la Veritatis gaudium, norme per la riforma degli studi ecclesiastici.
Altro tema caro a Papa Francesco, sempre connesso alla gioia, è quello del dovere di tenersi disponibili alle «sorprese dello Spirito Santo», si potrebbe dire una spiritualità «pentecostale», forse eco del famoso auspicio di S.Giovanni XXIII che il Concilio Vaticano II potesse far scendere sulla Chiesa una «nuova Pentecoste». Da qui il continuo insistere sul rinnovamento, sul progresso, sulla storia, sul futuro, sulla libertà, sulla carità, sulla coscienza, sul pluralismo, con una forte polemica contro il conservatorismo, l’arretratezza, l’immobilismo, il legalismo, il rigorismo, il fariseismo.
Da notare, inoltre l’impostazione dinamica, operosa, pratica e volontaristica, probabile influsso della spiritualità ignaziana: il tema dell’«ospedale da campo», dell’«andare», dell’«uscire», del dialogo, del discernimento, dell’ecumenismo, dell’integrazione, dell’accompagnamento, della comunione, dell’incontro, dell’accoglienza, dei «ponti», dell’annuncio, dell’evangelizzazione.
Non esageriamo
Detto questo, però, non si può negare che Papa Francesco crei disagio non certo ai suoi moltissimi ammiratori dalla mentalità superficiale e mondana, credenti e non credenti, suggestionati da potenti mass-media secolareschi, non interessati alle cose dello spirito e proni al lassismo morale, ma a quei cattolici, che desiderando la pienezza e la purezza della dottrina cattolica, con la conseguente integrità dei costumi cattolici, chiedono al Papa di mostrare chiaramente il cammino, e di aiutarli a vivere la loro fede tra le prove di questo mondo, sull’esempio dei Papi precedenti.
Questi cattolici non sono necessariamente spiriti arretrati e ancora fermi o nostalgici degli usi e delle idee ormai desueti del preconcilio, perché altrimenti passerebbero dalla parte del torto; ma possono benissimo essere cattolici normali, aggiornati ed equilibrati, i quali però giustamente restano turbati da quelle espressioni equivoche del Papa. Essi sanno che il Papa non può peccare contro la fede, non può ingannarsi né ingannarci quando ci insegna il Vangelo.
Può sorgere allora in essi la seguente tentazione: giudicando impresa disperata interpretare in senso cattolico quella data frase del Papa, si rifanno ad una interpretazione restrittiva del dogma dell’infallibilità pontificia, restringendola al solo caso di quell’atto di magistero pontificio straordinario e solenne, nel quale il Sommo Pontefice, «ex cathedra Petri», ossia come Successore di Pietro, dichiara e definisce definitivamente che una data proposizione è verità di fede, ovvero è contenuta nella divina Rivelazione, e quindi da credersi con fede divina e teologale.
Senonché la formula del dogma non dice affatto che il Papa è infallibile, ossia che insegna il vero, è veridico solo in quella circostanza, ma dice solo che in quella circostanza è veridico, il che è ben diverso, lasciando aperta la porta ad altre circostanze, nelle quali il Papa insegna la verità. E queste circostanze sono state chiarite dalla Letteradi S.Giovanni Paolo II Ad tuendam fidem del 1998, nella quale si precisa che l’infallibilità o veridicità propria della definizione solenne è solo il grado massimo di un insegnamento verace e inerrabile, che il Papa impartisce alla Chiesa anche in altri due gradi inferiori, propri del magistero ordinario (2° grado) o autentico (3° grado), il primo da accogliersi con «fede ecclesiastica», il secondo con «religioso ossequio dell’intelletto e della volontà».
Il Papa come pastore e il Papa come maestro
In questo articolo mi propongo di dimostrare che il Papa non può peccare contro la fede. Per conseguenza non può cadere nell’eresia formale consapevole e volontaria e non può insegnarci il falso in materia di fede. Per cui, quella frase che Papa Francesco ha pronunciato apparentemente in offesa alla fede, deve essere interpretata come ortodossa, salvo a catalogarla sotto la categoria dell’imprudenza, dell’impulsività, dell’avventatezza o della battuta di spirito di cattivo gusto.
Il Papa non può peccare contro la fede e, per conseguenza, se è compos sui e parla seriamente, non può ingannare i fedeli in materia di fede, perché, in forza del carisma petrino di magistero (confirma fratres tuos) lo Spirito Santo illumina il suo intelletto e muove la sua volontà a compiere l’atto di fede secondo verità.
L’atto di fede del Papa resta libero e volontario e quindi meritorio, ma la volontà del Papa in questo caso è talmente confermata nella virtù di fede, che Dio le impedisce di rifiutare la verità e per conseguenza di falsificarla odi rifiutarsi di insegnarla. Questo specialissimo atto di fede del Papa ha una fermezza simile a quella della Madonna, la quale, per la sua immacolatezza, fu monda da qualunque peccato, e quindi anche dal peccare contro la fede.
I problemi che Francesco dà alla Chiesa non dipendono quindi da una sua mancanza di fede o da suoi errori nella fede, ma dalla sua condotta morale, dalla sua pastorale e dal suo modo di governare la Chiesa, mentre la grazia della fede, che è alla base del suo magistero dottrinale dogmatico, non può mai venirgli meno, per cui egli non può mai non aderire alla verità e comunicarla ai fedeli.
La grazia che Dio gli concede per la sua santificazione personale – grazia santificante – e per il governo della Chiesa – grazia pastorale – non agisce indefettibilmente ed infallibilmente sulla sua volontà, ma è semplicemente a sua disposizione, per cui sta a lui usarla o non usarla. Resta comunque chiaro, peraltro, che se la usa, anche in questo caso il suo atto volontario è causato e mosso dalla grazia divina. Se invece non usa quella grazia, la colpa è solo sua. Quindi il Papa può peccare in tutte le virtù, all’infuori della fede. Ma anche questa fede indefettibile, se non la mette in pratica nella carità, non gli serve a nulla per la sua salvezza, anzi lo rende più colpevole di tutti noi, che abbiamo una fede che possiamo sempre perdere.
Come fare con Francesco
Il nostro atteggiamento verso Papa Francesco dev’essere dunque duplice. Come maestro della verità evangelica, dobbiamo ascoltarlo con fiducia, sapendo interpretare il suo modo di esprimersi senza sospettosità, ma anche con discernimento critico.
Bisogna distinguere i livelli del suo insegnamento, ora di tono più elevato, come le encicliche o le esortazioni o lettere apostoliche, più sicure dal punto di vista dottrinale, ora di tipo omiletico o le udienze generali, che sono spesso delle catechesi, ora di impostazione pastorale o giuridica. Qui possono apparire idee anche discutibili, ma che vanno sempre considerate con rispetto, senza facili contestazioni.
Invece ciò che di un Papa può andar più soggetto legittimamente a critiche, perché qui maggiormente appaiono le sue fragilità umane, sono la condotta morale e il governo quotidiano della Chiesa, con le sue scelte concrete riguardanti persone, incarichi, nomine, eventi, emergenze, imprevisti, ricorrenze.
Non è proibito, qui, certamente, giudicare dell’operato di un Papa, ma occorre farlo con grande prudenza e modestia, mossi da ardente carità per la Chiesa e per le anime, sulla base di informazioni oggettive sia riguardo a quelli che sono i doveri del Papa, sia riguardo alla situazione ecclesiale, circa la quale vogliamo esprimere un giudizio.
La difficoltà nel giudicare l’operato di un Papa dipende dalla supposizione che dobbiamo avere che gli agisce spesso sulla base di informazioni che noi non abbiamo. Ma può accadere anche l’inverso: occorre in certi casi informare il Papa di cose che non sa, e che possono essergli utili per fargli prendere una decisione o per fargli cambiare una decisione presa.
Ma quando, dopo opportune verifiche e sulla base di buone informazioni, avendo ben chiaro il bene della Chiesa e i doveri del Papa, veniamo a conoscenza di fatti o eventi o persone o dottrine, che interpellano fortemente la responsabilità pastorale e morale del Papa, può servire certamente rivolgersi direttamente a lui come sudditi al Superiore, come figli al padre, ma anche come fratello a fratello.