L’attualità di Giuseppe Toniolo

Modena, 2 dicembre 2011

Convegno di presentazione del volume di Giuseppe Toniolo

“Capitalismo e socialismo”

Giuseppe Toniolo 2

con una introduzione di Ettore Gotti Tedeschi.

Intervento di Alfredo Mantovano

Ringrazio per l’invito a partecipare a un convegno che appare non di semplice memoria, bensì teso a cogliere dall’insegnamento di Giuseppe Toniolo spunti di riflessione di approfondimento validi ancora oggi. L’attualità è riferita a un contesto economico e finanziario che si è venuto consolidando nel corso degli ultimi decenni, nel quale la professione meno precaria sembra essere diventata quella dei “tagliatori di teste” (nel senso lavoristico del termine), con la connessa scarsa considerazione del capitale umano.

Un contesto nel quale ci sono imprese chiamate a rispettare i contratti di lavoro (senza nessuna considerazione per le differenze che esistono tra territori fra loro distanti), a essere in regola con i tributi, con i contributi e con le norme di sicurezza; e ci sono imprese, in concorrenza con le prime sui medesimi mercati, che praticano lo sfruttamento schiavistico del lavoro, che occupano “in nero”, che non si curano della sicurezza dei propri dipendenti, con danni diretti per il “capitale umano”.

Il professor Gotti Tedeschi ha prima mirabilmente descritto l’attualità di Toniolo sul terreno dell’economia. Mi permetto di dedicare qualche veloce considerazione all’attualità di Toniolo quanto alla lettura della storia e alla capacità di delineare una compiuta e ancora attuale architettura politica. Giuseppe Toniolo è stato un intellettuale, nell’accezione più nobile della parola, dotato di notevole coraggio.

È stato coraggioso il suo essersi contrapposto in modo deciso e motivato al pensiero che trova in Hegel il principale riferimento, allorché egli individua nell’uomo, in termini non astratti, il vero motore dei processi produttivi e del mondo economico; l’opposizione all’hegelismo allora imperante si è articolata nella critica sia alla trasposizione capitalistica di esso (fondata sulla necessaria razionalità della storia, che prevale sull’unicità della persona), sia alla sua trasposizione nazionalistica o vitalistica (secondo cui è lo “spirito del popolo” o della razza a venire prima della singola persona), sia alla sua trasposizione materialistica (la dialettica materialistica del marxismo travolge ogni identità soggettiva).

Il lavoro di Toniolo in questo modo ha seguito un percorso e una sorte simili, mutatis mutandis, al percorso e alla sorte che da sempre viene riservata ai documenti della dottrina sociale della Chiesa, e in particolare all’Enciclica Rerum Novarum, pubblicata nel medesimo periodo in cui si articola la riflessione del Nostro: né il pensiero di Toniolo né la dottrina sociale della Chiesa (e in particolare la Rerum Novarum) furono condivisi dalla borghesia post unitaria che tentava di imporre la sua egemonia sul nuovo Stato (come non era condivisa la vicinanza concreta di don Bosco agli operai di Torino).

Ma rispetto a Toniolo vi fu una distanza altrettanto netta da parte dei movimenti socialisti, il cui determinismo rendeva vana ogni virtù: nella prospettiva marxista la giustizia sociale doveva passare dal sovvertimento dei poteri costituiti, mentre per Toniolo, in coerenza col pensiero tradizionale e cristiano, la giustizia sociale presupponeva il perseguimento della giustizia commutativa e della giustizia distributiva, in una prospettiva gerarchica, per la quale le finalità etiche e sociali prevalgono su quelle politiche ed economiche.

È straordinario in Toniolo il legame fra economia e lettura della storia. Egli individua nell’umanesimo anticristiano o a-cristiano e nei prodromi della Riforma protestante ciò che ha condotto alla nascita e alla espansione del capitalismo, soprattutto dei suoi aspetti deteriori: ciò perché egli legge in ciò che ruota attorno alla Riforma e ai suoi riflessi nelle scelte dell’economia una nuova concezione antropocentrica che nega la relazione costitutiva fra Creatore e creature, e si svincola progressivamente da un quadro di principi oggettivi (quelli che costituiscono il “diritto naturale”). Toniolo è contemporaneo di padre Luigi Taparelli d’Azeglio, gesuita che in quegli anni dedica pagine bellissime a quanto si è perso allontanandosi dal diritto naturale (1).

Qualche decennio dopo, nel solco di entrambi, Michel Villey ha individuato l’avvio della crisi filosofica, e poi giuridica, fra gli altri, in Guglielmo di Occam e in Duns Scoto, cioè nel distacco dal riconoscimento della realtà frutto dell’esercizio della ragione (2).

Toniolo fa di più: esorta a considerare i secoli antecedenti alla Riforma non come “secoli bui”, neanche quanto allo sviluppo dell’economia; nel 1300 e nel 1400 Firenze era la più importante potenza finanziaria in Europa, tante scoperte scientifiche e tecniche trovano le loro radici in quella che spregiativamente è ancora oggi colpevolmente definita “epoca di mezzo”.

Le realizzazioni parlano da sé: basta pensare, per tutte, allo splendore delle cattedrali romaniche e gotiche, esito di elevate cognizioni architettoniche e ingegneristiche, e al tempo stesso di consistenti risorse finanziarie che si scelse di investire in tali opere.

In quei secoli l’attenzione alla persona era garantita dal suo inserimento in una rete di corpi intermedi, in ciascuno dei quali la persona sviluppava in modo privilegiato le sue relazioni e acquisiva i valori etici che ispiravano ogni sua azione: la famiglia, le comunità territoriali, le comunità di lavoro; in queste ultime, le cosiddette corporazioni, erano garantite la formazione professionale, la formazione etica, la tutela del lavoro.

Sì che, quando oggi si sente parlare, in termini spregiativi, di “privilegi corporativi”, ci si trova di fronte – in scala – allo stesso equivoco derivante dalla “leggenda nera” sul Medioevo. Toniolo osserva come nei territorio europei l’avvento della Riforma protestante provoca la sostituzione, al posto delle istituzioni caritatevoli della Chiesa cattolica, o delle istituzioni intermedie come le corporazioni, con realtà che operano in forma societaria, animate dal principio individualistico della accumulazione delle ricchezza, e da un tasso crescente di anonimato e di de-responsabilizzazione.

Se oggi si lamenta, e con ragione, l’allontanamento della finanza dalla economia reale, sappiamo quando e come è iniziata. E quando si coglie in Toniolo una sorta di motivata nostalgia per una convivenza umana in cui i rapporti interpersonali si modulavano sui principi del dono e della reciprocità, vengono alla mente alcuni passaggi della Caritas in veritate, e la considerazione che Benedetto XVI dedica alla relazione fra una sana economia e la cultura del dono (3).

Toniolo ovviamente non era né un illuso, né un sognatore, né un soggetto col torcicollo, cioè con la testa rivolta al passato. Egli era ben consapevole che il male nel mondo può essere ridotto, circoscritto, mai del tutto eliminato: il limite è un connotato profondo per l’uomo, e trova la sua radice nel peccato originale. Proprio perché guarda al presente e al futuro, Toniolo sottolinea l’aspetto sostanziale del sistema democratico, che deve prevalere su quello formale o procedurale, nel momento in cui sostiene che la società civile è chiamata a possedere una propria soggettività creativa.

Per questo motivo sostiene (e siamo nel 1897!): “un’architettura sociale stratificata in associazioni, gruppi e imprese di media e piccola dimensione; un sistema elettorale basato sulla rappresentanza proporzionale dei partiti; il referendum di iniziativa popolare; la legislazione di protezione del lavoro; il sostegno alle attività agricole; il rafforzamento del sistema di istruzione e di formazione; una tassazione di tipo federalista e solidale; la riduzione dei costi della burocrazia; la garanzia delle libertà politiche e civili (…); l’eliminazione dell’usura e delle attività finanziarie speculative (…)” (4).

È un vero e proprio programma di governo, anch’esso tutt’altro che inattuale! Quando, volendo ricordare e celebrare il secolo trascorso dalla pubblicazione della Rerum novarum, Giovanni Paolo II ha elaborato l’enciclica Centesimus annus, ha messo in chiaro fin dalle prime battute (al n. 3) “il vero senso della Tradizione della Chiesa, la quale, sempre viva, e vitale, costruisce sopra il fondamento posto dai nostri padri nella fede”; e ha richiamato l’”immagine evangelica dello ‘scriba divenuto discepolo del Regno dei cieli’, del quale il Signore dice che ‘è simile a un padrone di casa, che dal suo tesoro sa trarre cose nuove e cose antiche’ (Mt. 13, 52).

Il tesoro è la grande corrente della Tradizione della Chiesa, che contiene le ‘cose antiche’, ricevute e trasmesse da sempre, e permette di leggere le ‘cose nuove’, in mezzo alle quali trascorre la vita della Chiesa e del mondo”. La Tradizione della Chiesa non è un oggetto di antiquariato, ma è qualcosa di vivo e di palpitante, che fa sì che (n. 5) “la Chiesa (…) ha la sua parola da dire di fronte a determinate situazioni umane, individuali e comunitarie, nazionali e internazionali, per le quali formula una vera dottrina, un corpus, che le permette di analizzare le realtà sociali, di pronunciarsi su di esse e di indicare orientamenti per la giusta soluzione dei problemi che ne derivano”.

Giuseppe Toniolo è testimone e annunciatore di tutto ciò, in linea con la struttura dell’insegnamento sociale della Chiesa. Lo è “in positivo”, nella indicazione della strada da percorrere per uscire dal conflitto sociale, centrata sulla articolazione dei principi di solidarietà e di sussidiarietà. Lo è “in negativo”, nella messa in guardia contro i falsi rimedi, in primis il socialismo. Lo è, infine, nel tratto di speranza che anima i suoi scritti e il suo apostolato: quel tratto che, in tempi difficili, allora come ora, impone di allontanare ogni tentazione di scoraggiamento.

Note

1) Cfr. padre Luigi Taparelli d’Azeglio, Saggio teoretico di diritto naturale appoggiato sul fatto, 8^ ed. riveduta, Ed. La Civiltà cattolica, Roma 1949.
2) Michel Villey, La formazione del pensiero giuridico moderno, Jaca book, Milano 1986, pp. 157 e ss. Cfr. anche Heinrich Rommen, L’eterno ritorno del diritto naturale, Ed. Studium, Roma 1965.
3) Cfr. Massimo Introvigne, Caritas in veritate. La dottrina sociale della Chiesa contro la tecnocrazia, in Cristianità, anno XXXVII, n. 353, luglio-settembre 2009.

4) Luca Sandonà, An Economic Personalist Perspective on Human Capital: A Compared Anthropological Interpretation, Ponce: Puerto Rico Catholic University Press 2011, p. 189.