La Nuova Bussola quotidiana 20 Maggio 2020
A Bologna, la sua città, il nome Laura Bassi è noto perché le è intestata una strada e, da fine Ottocento, una scuola magistrale, oggi liceo. Ma per il resto è pressoché sconosciuto e oggi vive nell’oblio. Eppure di lei parlò con entusiasmo e ammirazione perfino Voltaire. L’oblio di cui è vittima risiede nell’Italia post rivoluzionaria che cancellò l’Italia erudita, cattolica e amante delle scienze. E che sapeva valorizzare le donne molto più di quella Francia da cui venivano le idee illuministe.
di Alessandra Nucci
Finora nella letteratura mondiale così fortemente concentrata sulla ricerca di personaggi femminili da valorizzare quello che colpiva di Laura Bassi era la sua assenza.
A Bologna, la sua città, il nome Laura Bassi è noto perché le è intestata una strada e, da fine Ottocento, una scuola magistrale, oggi liceo. Ma chi fosse in concreto se lo chiedono in pochi e a saperlo in realtà solo pochi specialisti. Tale è l’oblio che non è neppure chiaro dove si trovasse il famoso gabinetto dove assieme al marito accoglieva gli studenti nonché le tante personalità del mondo scientifico europeo che venivano a Bologna ad omaggiarla. (Il recente docufilm di Rai Storia dice fosse in Via Barberia, ma neppure in quella strada – in una città che cura moltissimo la memoria storica con cartigli puntigliosi sui vari palazzi – esiste alcuna lapide che la ricordi).
Da qualche anno però l’Italia si sta muovendo per riportare a galla questo primato nella storia culturale e scientifica mondiale, a partire dalla decisione del MIUR, sotto il Ministro Bussetti, di intitolarle una nave per la ricerca oceanografica, fino ad arrivare al succitato programma andato in onda in questi giorni: “Una cattedra per Laura Bassi”.
Tuttavia rimane la curiosità del perché la galleria di donne citate nelle pubblicazioni femministe a livello internazionale, che spesso grattano il fondo del barile alla ricerca di donne da celebrare, includa pochissime donne italiane, e quasi mai Laura Bassi, che pure era una figura di donna eccezionale. Quando ancora in tutto il mondo le donne in genere avevano poca voce in campi lontani dal focolare domestico, Laura Bassi ottenne, a 21 anni, un incarico di insegnamento formale e retribuito dall’Università di Bologna, a 34 entrò a far parte dell’Accademia delle Scienze bolognese e nel 1778 le fu assegnata infine la cattedra di Fisica sperimentale, con suo marito, Giuseppe Veratti, come assistente.
La Bassi era nota anche all’estero, intratteneva una corrispondenza con personaggi del mondo della scienza oltreconfine, e quando venivano in Italia facevano visita alla scienziata di Bologna. Eccezionale il complimento che rivolse a lei, cattolica, Voltaire, l’anti-ecclesiastico più virulento: scrisse che alla Royal Society britannica preferiva l’Accademia bolognese in quanto “Non c’è una Bassi in Londra, e io sarei molto più felice d’essere aggregato alla sua Accademia di Bologna, che a quella degli inglesi, benché ella abbia prodotto un Newton”.
Il perché un tale personaggio sia caduto nel dimenticatoio e vi sia rimasto anche negli anni d’oro del femminismo diventa evidente solo se si fa un passo indietro e si considera il contesto storico, su cui si staglia un altro personaggio bolognese davvero straordinario: Luigi Ferdinando Marsili. Fondatore dell’Accademia delle Scienze nell’anno in cui la Bassi nasceva (1711), Marsili era, nelle parole di Paolo Rumiz, “allo stesso tempo Indiana Jones e James Bond, Erwin Rommel e Guglielmo Marconi; esploratore e agente segreto, stratega e scienziato….”, uno che mezza Europa considera proprio conterraneo, ma che come italiano è pressoché dimenticato, anche lui nella sua Bologna, anche lui come Laura Bassi.
E allora la spiegazione non può che risiedere negli avvenimenti della loro epoca.
La borghese Laura Bassi e l’aristocratico Conte Marsili aprono una finestra sull’Illuminismo italiano, riportano a un’Italia erudita, l’Italia delle accademie scientifiche e letterarie sparse per i diversi stati sovrani della penisola. E le italiche accademie, udite udite, non escludevano le donne, a differenza di quanto avveniva in Francia, la patria dei “lumi” atei, dove le donne erano piuttosto le regine dei salotti.
Fattore-chiave della valorizzazione di Laura Bassi era la Chiesa cattolica, era il Cardinale Prospero Lambertini, poi Papa Benedetto XIV, la prova vivente che si poteva essere al contempo sia cattolici e sia all’avanguardia dei tempi, e non solo nei riguardi delle donne.
Ma prima della fine di quello stesso secolo arrivarono i rivoluzionari francesi… a liberare gli stati italiani dal loro oscurantismo. Napoleone Bonaparte non si limitò a invadere la penisola, volle pure piantare nelle piazze delle città “l’Albero della libertà”, ricompensare i suoi soldati con i saccheggi e gli stupri, confiscare i conventi, e intanto spiegarci che eravamo retrogradi.
A Bologna, seconda città dello Stato Pontificio, dove tutti i più grandi ordini religiosi hanno una loro fondamentale basilica, la repressione prese anche la forma del giuramento obbligatorio di fedeltà all’Imperatore, che teneva prigioniero il Papa. Luigi Galvani, allievo di Laura Bassi, scienziato notissimo, dal cui nome deriva un verbo adottato in varie lingue, galvanizzare, to galvanize, galvanisieren, galvaniser… perse il posto all’Università per non aver accettato di pronunciare questo giuramento e finì la sua vita in estrema povertà.
Una rivoluzione drammatica di cui i libri di storia non hanno mai veramente preso atto per il ribaltamento enorme che rappresentò per la società italiana profondamente cattolica, che veniva così ad essere ridefinita agli occhi di tutto il mondo, e anche agli occhi e nei libri di testo suoi propri. Perché se di liberazione si era trattato, significava che di quello che era stato spazzato via non si poteva parlare che come di una società marcia, in dissoluzione. Bisognava presentare l’Italia come terra di ingiustizie e di ignoranza, di sofferenze e di povertà. Un rivolgimento della verità che ha implicato la partecipazione di tanti e a tanti livelli, su cui non si è mai voluto permettere che tornasse a splendere la luce.
Così da quella nefasta narrazione l’Italia non si è mai veramente liberata.
Impossibile far notare che mentre nel Settecento l’Accademia della scienze italiana ammetteva fra i suoi membri una donna – e oltretutto su insistenza di colui che avrebbe dovuto essere il retrogrado-capo in persona, il Papa), in Inghilterra la Royal Society continuò a rifiutare l’ammissione delle donne fino al 1945, e in Francia l’Accademia delle scienze ci mise addirittura fino al 1979 (avendo rigettato perfino la candidatura di Marie Curie, futuro Premio Nobel, nel 1910).
Anche delle diffusissime e vittoriose insorgenze antigiacobine che terminarono con la cacciata dei francesi nel 1799 non rimane traccia nei libri di storia, che si limitano in genere ad annotare che Napoleone dovette fare una “seconda campagna d’Italia”.
Ma Laura Bassi Veratti dimostra con la sua stessa vita che il Paese che si vuole fosse oscurantista era semmai il più avanzato nel riconoscere la pari dignità alle donne, un aspetto che la cultura moderna mette al centro delle sue valutazioni. Paolo Mieli nella sua breve introduzione su RaiStoria la definisce “simpatica, aveva avuto dei figli, non era secchiona“ a rimarcare la differenza con le altre donne intellettuali incontrate lungo la storia italiana, come la matematica milanese Maria Gaetana Agnesi che voleva entrare in convento, o la veneziana Elena Cornaro Piscopio, che fu oblata benedettina. Ma Laura Bassi, sposata Veratti, rispecchiava anche in questo la cultura italiana: era di fervida fede, amica delle Clarisse di Santa Caterina da Bologna, ed è sepolta al centro della navata della chiesa del Corpus Domini, davanti alla tomba di Luigi Galvani.