Le cellule staminali adulte

staminaliLa Civiltà Cattolica n. 3786 marzo 2008
di Angelo Serra s.j.

L’8 giugno dello scorso anno nella rivista Science veniva pubblicato nella sezione «Lettres» un contenzioso dal titolo Adult versus embryonic stem cells: Treatments (1). Tre ricercatori — S. Smith, W. Neaves, S. Teitelbaum — avevano inviato alla rivista una lettera in cui accusavano due altri ricercatori — D. A. Prentice e G. larne — i quali affermavano in un loro precedente lavoro (2) che «oltre 65 malattie umane erano state trattate efficacemente con cellule staminali adulte». La lettera si chiudeva sostenendo che «Prentice e coloro che ripetono le sue affermazioni illudono la gente e ingannano crudelmente i pazienti».

Nella risposta i due accusati con chiarezza e onestà confermavano, riferendosi a dati pubblicati dopo autorevoli revisioni, che «questi miglioramenti della salute sono oggi documentati in pazienti di oltre 70 condizioni». E specificavano che «tutti questi studi (inclusi quelli sui tumori della mammella e su difetti cardiaci) sono relazioni di sperimentazioni portate a termine, nelle quali i pazienti in date condizioni ne avevano ottenuto beneficio».

Tuttavia, pur sottolineando «che i risultati finora ottenuti non possono automaticamente essere considerati come trattamenti sicuri, affidabili e ampiamente disponibili», riaffermavano che «non si possono negare o rimpicciolire i benefici tangibili che sono già stati offerti ad alcuni pazienti, benefici che mancano in ogni tentativo fatto con cellule staminali embrionali».

Mancanza decisamente confermata da R. M. L. Winston (3), uno dei più noti sostenitori della Fivet in Gran Bretagna e della ricerca sulle cellule staminali embrionali (ESc), il quale scriveva: «C’è un serio rischio di stimolare attese; bisogna tenere in mente che fino ad oggi pochi pazienti, se pur ce ne sono, hanno chiaramente ottenuto benefici dal trattamento con ESc umane, da quando la ricerca è iniziata dieci anni fa».

E molto appropriata è la precisa e concisa osservazione suggerita in una recente nota sugli ostacoli scientifici ed etici alla terapia con cellule staminali embrionali umane (hESc) (4): «Un ostacolo […] è la riluttanza da parte di molti scienziati a prendere tempo per comprendere la natura dei problemi etici e incominciare a sviluppare ragionate risposte etiche a questi problemi».

Qualunque potrà essere il futuro di questa disumana linea di ricerca, che al termine del 2007 contava — secondo il PubMed — 24.018 pubblicazioni e sulla quale ancora si insiste fino alla recente ingiuria dell’«uomo-chimera» (5), questa breve introduzione intende aprire la via all’ormai vastissimo campo di ricerca sulle cellule staminali adulte dell’uomo; campo oggi in rapido sviluppo, che offre già meravigliosi risultati e grandi speranze, e metterà in evidenza il valore e i benefici di una scienza corretta e di un’etica illuminata.

Le caratteristiche delle cellule staminali adulte

Nel classico trattato curato da C. S. Potten (6) nel 1997, le cellule staminali di un particolare tessuto sono descritte nelle loro specifiche caratteristiche come: «a) cellule indifferenziate (cioè che mancano di dati marcatori tessuto-specifici), b) capaci di proliferare, e) capaci di auto-mantenersi, d) capaci di produrre un gran numero di discendenti funzionalmente differenziate, e) capaci di rigenerare un tessuto offeso, e f) capaci dell’uso flessibile di queste opzioni».

In breve, sono cellule proliferative le quali — raccolte in una nicchia costituita da un tessuto «che media una risposta equilibrata di cellule staminali alle necessità dell’organismo» (7) — hanno la capacità di moltiplicarsi, pronte a rigenerare tessuti; cellule definite in una recente nota storica (8) «atte a proliferare quasi indefinitamente (auto-rinnovamento) e dare origine a cellule specializzate (differenziamento)» pur rimanendo esse stesse indifferenziate.

Il primo atto di una cellula staminale che entra in azione implica la produzione di due cellule figlie. Produzione che si .definisce asimmetrica quando una delle due cellule è una copia esatta della cellula staminale — e quindi staminale — e l’altra una cellula differenziata. Si definisce, invece, simmetrica quando le due cellule figlie hanno lo stesso destino: soltanto staminali in alcune divisioni, e sólamente differenziate in altre.

In un’ampia e dettagliata analisi di questo processo, S. J. Morrison e J. Kimble (9) sottolineano che «la .maggior parte delle cellule staminali possono dividersi sia simmetricamente sia asimmetricamente, e che l’equilibrio di queste due modalità è controllato da segnali di sviluppo e ambientali in vista della produzione appropriata del numero di cellule staminali e figlie differenziate».

E ricordano: 1) come ampi studi su mammiferi da esperimento dimostrano che già durante lo sviluppo embrionale e fetale le cellule staminali subiscono ampiamente divisioni simmetriche per la loro espansione; e 2) che negli adulti le cellule staminali sembrano dividersi prevalentemente in modo asimmetrico, ma ritengono tuttavia la capacità di dividersi simmetricamente per ristabilire il pool di cellule staminali depauperate a causa di malattie o accidenti.

È da sottolineare che il processo rigenerativo asimmetrico, che parte dalla cellula staminale, da origine alla nuova cellula attraverso un processo di tre fasi. La prima di differenziazione, che conduce a una modificazione qualitativa del fenotipo cellulare causata dalla sintesi di nuove proteine in seguito a processi di attivazione del genoma; la seconda di maturazione, che conduce a modificazioni quantitative di queste proteine sino alla formazione di cellule funzionali competenti per un particolare tipo di tessuto; e la terza di proliferazione in seguito ad attività geniche che conducono alla divisione fisica delle cellule e, quindi, a una loro moltiplicazione. Tuttavia resta ancora da determinare quale sia la regolazione del meccanismo che conduce alla divisione simmetrica o asimmetrica.

Ancora una nota generale è da tener presente. Le cellule staminali non sono da considerare — come bene si esprime Th. A. Rando (10) — quali «guardiani della giovinezza dei tessuti», ma piuttosto quali operatrici «nella gerarchia di meccanismi omeostatici che declinano con l’età» e, in caso di disturbo, con la propria attività regolatrice tendono a mantenere un equilibrio dinamico o a ristabilirlo. Le vedremo all’opera in cinque fondamentali classi di cellule staminali adulte di cui il soggetto umano è dotato.

Le cellule staminali emopoietiche

II sangue è una sospensione di 8 principali classi di cellule in un liquido plasmatico, ciascuna con una propria struttura e funzione, dovute all’attività di determinati geni dai quali derivano specifiche proteine. Sono da ricordare: 1) i globuli bianchi (leucociti), di tipo mieloide (monociti, granulociti ecc.) e di tipo linfoide (linfociti T e linfociti E); 2) i globuli rossi (eritrociti) che trasportano ossigeno dai polmoni ai tessuti; e e) le piastrine, destinate a riparare le rotture dei vasi sanguigni.

Queste cellule hanno breve vita, da 120 giorni per i globuli rossi a 1 giorno per i granulociti; quindi ogni giorno è enorme la produzione di nuove cellule: bilioni di globuli bianchi e centinaia di bilioni di globuli rossi, che permettono di mantenere una stabilità di concentrazione dei diversi tipi di cellule.

La produzione di queste cellule avviene nel midollo osseo, dove risiedono le cellule staminali emopoietiche (11). Queste prolificano di continuo dando origine a cellule le quali si differenziano, sotto l’azione di fattori di crescita, in una serie di cellule progenitrici dalle quali si formano le cellule mature, che acquisiscono la loro specificità per l’azione di geni, i quali determinano la produzione delle proteine che caratterizzano le specifiche linee di cellule mature sopra ricordate.

Gravi problemi si presentano quando intervengono fattori patogeni che alterano le attività specifiche delle diverse famiglie di cellule ematiche. Si tratta allora, a seconda delle diverse situazioni, di avere a disposizione cellule staminali emopoietiche da fare intervenire al più presto per le applicazioni cliniche del caso. E oggi sono molti i tipi di intervento efficaci (12).

Il primo è il trapianto clinico di cellule emopoietiche staminali di un donatore nel cui sangue — mediante fattori di stimolazione — erano già state trasferite dal suo midollo osseo le sue cellule staminali emopoietiche (13). Molti interventi di questo tipo si fanno oggi anche con cellule staminali prelevate dal sangue di neonati rimasto nella placenta o nel cordone ombelicale (14).

Ci sono tuttavia casi più complessi, quale, ad esempio, l’anemia aplastica (15), nei quali il proprio midollo osseo non riesce a produrre la quantità sufficiente di cellule ematiche, ma guariscono molto bene in seguito a trapianto di cellule staminali emopoietiche previa -una chemio- o radio-terapia per reprimere il sistema immunitario al fine di impedirne il rigetto.

È significativo un interessante e straordinario lavoro di W. Krivit e collaboratori (16) su 400 pazienti affetti da dieci tipi diversi di gravi malattie lisosomiali, patologie (17) dovute ad alterazioni di particolari organelli cellulari, detti lisosomi e peroxisomi, i quali, a causa di difetti di enzimi responsabili del catabolismo, degenerano provocando la distruzione delle cellule e dei tessuti, tra i quali anche quello nervoso, con gravi conseguenze fino a morte precocissima. Il trapianto di cellule staminali emopoietiche da donatori nei 400 pazienti aveva dimostrato in tutti un notevole miglioramento clinico fino a una sopravvivenza di circa due decadi dal trapianto.

Il secondo è la terapia genica che sta portando a notevoli successi in casi di serie e gravi malattie genetiche. Nel 1994 K. W. Culver (18) scriveva: «I progressi nella conoscenza del genoma umano negli ultimi quarant’anni hanno offerto i fondamenti per gli sviluppi di una geneterapìa». Ma immediatamente proseguiva: «Gli sviluppi di questa nuova disciplina clinica hanno dei limiti. […] Ulteriori progressi tecnologici sono richiesti per ottimizzare l’inserimento dei geni e la regolazione della loro espressione prima che la geneterapia possa essere ampiamente utilizzata».

Un accenno agli sviluppi di questa nuova e stimolante tecnologia, applicata in vista dell’apertura di una via per risolvere il grave problema della JS-talassemìa maior, patologia diffusa in Italia e nelle regioni mediterranee, potrà indicare quanto si sta sviluppando lentamente, ma con onestà scientifica, in vista di una valida terapia di patologie genetiche.

Questa malattia è dovuta a una grave alterazione dei globuli rossi, nei quali, dei due tipi di catene proteiche alpha e beta, rispettivamente prodotte dal gene HBA localizzato nel cromosoma 16 e dal gene HBB localizzato nel cromosoma 11, una — la bela — è gravemente alterata in seguito a mutazione del gene.

Alterazione che induce un aumento compensativo di catene alpha, da parte dal gene HBA a cui seguono, però, danni della membrana cellulare che ne accorciano il tempo di vita. Molte linee di ricerca sono state tentate e sono ancora in corso (19), le quali implicano, per un dato soggetto affetto, il prelievo del sangue periferico ricco dì cellule staminali emopoiedche, la loro messa in coltura, il trasferimento in esse del gene interessato portato da un vettore virale e la reinfusione nel paziente delle cellule geneticamente modificate.

Tentativi che condussero G. Puthenveetil e collaboratori (20) alla «completa correzione in vitro della R-thalassemia» di quattro soggetti umani; successo, essi affermano, che dovrà essere seguito da «un altro passo importante, provare cioè la sicurezza e il trasferimento del gene usando questi vettori in grandi animali modello prima che essi possano essere introdotti nella sperimentazione umana».

Giustamente concludeva P. Malik (21): «Gli studi sui vettori lentivirali per geneterapia dei disordini emoglobinici, sebbene sperimentali, hanno aperto la strada a studi preclinici per la geneterapia della fitalassemia. […] Quest’area di ricerca offre molta speranza per una futura e definitiva cura della talassemia […] attraverso la correzione genetica di cellule staminali emopoietiche autologhe».

Le cellule staminali muscolari

Le cellule staminali muscolari hanno un compito fondamentale nella formazione delle fibre muscolari. Attraverso un ampio processo mitotico controllato in particolare da quattro geni (miogenina, MyoDl, Myf-5, MRF-4) (22) esse si moltiplicano e parte si differenziano in «mioblasti» mononucleari, i quali si fondono a formare «miotubuli» multinucleati che, in seguito a produzione di elementi contrattili, costituiscono la «fibra muscolare».

Il loro potere di rigenerazione è, tuttavia, molto limitato. Collabora nell’attività muscolare una seconda categoria di cellule dette «cellule muscolari satelliti», i cui compiti fondamentali sono: 1) permettere alle fibre muscolari di aumentare i nuclei e continuare così a crescere durante la vita postnatale; e 2) rigenerare le fibre danneggiate in seguito a traumi o processi patologici. Rigenerazione che può essere effettuata per due vie analoghe a quelle delle cellule emopoietiche.

La prima, definita terapìa per trasferimento di mioblasti (myo-blast transfer therapy}, richiede la fornitura di cellule staminali da parte di donatori istocompatibili: condizione abbastanza facile nel topo, ma assai meno facile in animali più elevati e soprattutto nell’uomo, per i quali è necessaria una immunosoppressione efficiente. La seconda via detta geneterapia, analogamente a quanto si è visto per le cellule emopoietiche, implica il trasferimento in un dato soggetto di proprie cellule, dette mesangioblasti, nelle quali viene inserito il gene normale mediante vettori lentivirali.

In campo umano, i primi passi sono stati indirizzati alla terapia della gravissima e diffusa distrofia muscolare di Duchenne che colpisce circa 1 su 350 maschi nati. Malattia dovuta a mutazioni che avvengono nel grandissimo gene della distrofina, presente nel cromosoma X nella posizione Xp21 e, più precisamente, nell’una o nell’altra delle 79 porzioni informative di questo gene dette esoni (23).

Ha aperto la via una recentissima interessante e importante ricerca (24), eseguita con rigorosi criteri da un ampio gruppo di 30 ricercatori italiani e francesi, su cani affetti da grave distrofia muscolare di Duchenne, dovuta a una singola mutazione avvenuta nell’introne 6 del gene della distrofina, e che li conduce a morte all’età di circa un anno per insufficienza dei muscoli respiratori.

Applicando le tecniche di terapia, sia cellulari sia geniche, secondo piani chiaramente definiti, potevano concludere: «Abbiamo dimostrato che è possibile trapiantare mesoangioblasti in cani distrofici e ottenere un’ampia ricostruzione di fibre capaci di esprimere distrofina, un miglioramento nella forza di contrazione e, in molti casi, la conservazione delle capacità di camminare».

E con piena soddisfazione, prevedendo il futuro per l’uomo, affermavano: «II lavoro qui riportato pone la logica premessa per l’inizio di una sperimentazione clinica che possa condurre a una efficace terapia per la distrofia muscolare di Duchenne». Sperimentazione di fatto immediatamente iniziata (25), la quale ha dimostrato che un impianto autologo di cellule staminali CD133+ geneticamente modificate per riesprimere la distrofina funzionale rappresenta una via promettente.

Le cellule staminali nervose

«Sebbene l’attività sostitutiva delle cellule staminali possa essere evidente negli altri casi, l’alto grado di complessità del sistema nervoso aumenta sostanzialmente la sfida per la riparazione di questo tessuto». Così introducevano A. R. Muotri e E H. Gage (26)  il loro stimolante lavoro in cui, dopo aver ricordato i circa 100 bilioni di neuroni del cervello umano, diversificati approssimativamente in 10.000 tipi, la cui origine resta tuttavia ancora ignota, cercano di dare una visione di alcuni possibili meccanismi molecolari, «capaci di contribuire attivamente alla generazione della diversità neuronaie agendo sul DNA, RNA e proteine».

E un passo decisivo in merito è già stato fatto. In un recente studio sul cervello di topo in fase postnatale è stato chiaramente dimostrato che le cellule staminali in regioni diverse producono tipi differenti di neuroni: il che dimostra che le cellule staminali neuronali sono una ristretta e varia popolazione di cellule progenitrici (27).

Nell’attesa di raggiungere la meta di una visione comprensiva dei meccanismi della diversificazione neuronale che possa far luce sulle attività motrici e sensoriali, sulle differenze delle abilità cognitive, dei tratti della personalità e delle condizioni psichiatriche, si sono fatti passi notevoli — operando su animali da esperimento e anche sull’uomo — in vista dell’utilizzazione delle cellule staminali neuronali per il trattamento di disordini neurologici (28), quali in particolare: il Parkinson, l’Alzheimer, la sclerosi multipla, la corea di Huntington.

In generale, le cellule staminali possono essere isolate e trapiantate nel cervello o nel cordone spinale direttamente o dopo previa differenziazione per ottenere tipi di neuroni adatti per la cura della specifica patologia; oppure in seguito a stimolazione di meccanismi autonomi possono essere portate verso le aree colpite, dove producono nuovi neuroni.

Le numerose ricerche finora condotte in massima parte sul topo hanno consentito ai citati Autori di esprimere un modesto ma significativo parere: «Sarebbe prematuro lanciare sperimentazioni cliniche usando cellule staminali per trattare patologie neurologiche.

Tuttavia il costante progresso da speranze che possano essere sviluppate terapie basate su cellule staminali per servire, guarire e preservare la funzione nel cervello e nel cordone spinale. Per ciascuna malattia è oggi possibile sviluppare percorsi che definiscono i necessari passi scientifici e clinici richiesti affinchè le cellule staminali raggiungano la clinica». Ricordiamo soltanto i fruttuosi tentativi di trapianto di neuroni dopaminergici fetali (29) e di geneterapia per la cura del Parkinson, non soltanto nel topo ma anche nell’uomo, che hanno portato a notevoli e duraturi miglioramenti.

Le cellule mesenchimali

Le cellule mesenchimali sono una caratteristica popolazione di cellule postnatali, presenti soprattutto nel midollo osseo, che hanno la capacità di differenziarsi in vitro in una varietà di tipi cellulari — in particolare: osteociti, condrociti, adipocidi, nuociti, epatociti e neurociti — e di aprire la via alla rigenerazione dei tessuti attraverso trattamenti clinici riparativi (30). Tra i risultati efficaci possono essere ricordati (31) quelli ottenuti in casi di fratture ossee, di grave anemia aplasica, di osteogenesi imperfetta, di infarto miocardico acuto, di malattie polmonari, di malattie epatiche e cerebrali.

Un ulteriore passo è stato fatto da una straordinaria scoperta a cui hanno contribuito 16 ricercatori (32). Con molta chiarezza affermano: «Abbiamo identificato in colture di cellule staminali mesenchimali una rara cellula che può essere espansa oltre 80 raddoppi di popolazione. Questa si differenzia non soltanto in cellule della linea mesenchimale, ma anche dell’endotelio e dell’endoderma».

È stato perciò dato loro il titolo di «cellule progenitrici adulte multipotenti» (multipotent aduli progenitor cells, MAPCs), capaci di proliferare ampiamente senza invecchiamento né perdita di potenziale differenziativo. In contrasto con le cellule staminali embrionali (hESc) che implicano un doloso sfruttamento degli embrioni umani e la cui efficienza terapeutica è ancora da dimostrare, «le MAPCs possono essere prelevate dal midollo osseo autologo e utilizzate, indifferenziate o dopo manipolazioni genetiche, per terapie locali o sistemiche».

Le cellule staminali pluripotentz indotte (iPS)

«Generare cellule staminali pluripotenti direttamente dalle cellule dei pazienti è uno degli ultimi traguardi della medicina rigenerativa». Così introduceva il suo sintetico fondamentale lavoro S. Yamanaka (33), in cui si soffermava sul più recente passo da lui compiuto per produrre cellule staminali pluripotenti simil-embrionali autologhe, proprie di un dato soggetto. Passo fatto nel topo attraverso la diretta riprogrammazione (34) dei suoi fibroblasti i quali, opportunamente ingegnerizzati con quattro specifici geni o fattori di trascrizione — denominati Oct4, Sox2, c-Myc, Klf4 —, acquistano la proprietà dì cellule staminali pluripotenti.

Ulteriori contributi (35) hanno cercato di sviluppare questa nuova tecnologia e, senza dubbio, questa linea di ricerca proseguirà. In una breve, lucida e sintetica nota su quanto si è ottenuto finora nel topo J. Rossant (36), prevedendo che un simile passo potrà essere fatto e presto anche per l’uomo, dopo aver sottolineato le linee fondamentali e suggerito alcuni punti da tener presenti per una corretta applicazione, concludeva: «La diretta riprogrammazione delle cellule adulte è evidentemente la via del futuro e promette l’apertura di nuove frontiere nella biologia umana e nella terapia».

Tuttavia, come osservano J Hanna e collaboratori (37) a conclusione di una ricerca sul trattamento dell’anemia falciforme nel topo mediante cellule emopoietiche ottenute in vitro con cellule autologbe LPS, «la futura applicazione terapeutica delle cellule iPS nell’uomo richiede ancora il superamento di parecchi ostacoli».

Verso il futuro

Un grande passo per una medicina rispettosa del soggetto umano nella sua integrità e dignità fino dal primo momento del suo concepimento è stato fatto. Le cellule staminali adulte hanno dimostrato la centralità di uno strumento indispensabile e architettonicamente delineato per il mantenimento di un ben determinato organismo umano.

Si pone allora una prima domanda. Quale significato potrebbe ancora avere il grave abuso, da anni instaurato (38), della produzione tecnica di embrioni umani per derivarne, distruggendoli, le cellule staminali embrionali (hESc), le quali avrebbero dovuto condurre — così si pensava — a grandi progressi in campo scientifico? La risposta sembrerebbe ovvia: questa linea di ricerca dovrebbe essere definitivamente sospesa, per il rispetto dovuto all’embrione umano.

Questo passo, che si dovrebbe ritenere doveroso, sembra però assai difficile da compiere. Si è assolutamente opposta, in una recente pagina di Nature, Mary Warnock (39), che già nel 1984 aveva guidato il Committee of inquiring in the human fertilization and embryology istituito espressamente dal Governo britannico per analizzare i problemi della fertilizzazione umana e dell’embrione in vitro, in vista di una legge al riguardo: legge che, firmata dalla Regina nel novembre 1990, ammetteva che le ricerche potessero essere condotte su qualsiasi embrione umano risultante dalla fecondazione in vitro qualunque ne fosse la provenienza; però soltanto fino al quattordicesimo giorno dalla fecondazione.

A 24 anni di distanza essa riconferma la sua posizione: al titolo «La regolazione etica della scienza» fa seguire un sottotitolo che vorrebbe esserne la giustificazione: «Occasionalmente la scienza rende possibili procedure così radicali che quelle all’interfaccia tra scienza e politica sono chiamate a definire gli standards morali per la società».

Purtroppo, sembra sfuggire all’autrice, esperta in filosofia, che né la scienza né la politica possono formulare un verdetto se, nel processo per una decisione, si esclude l’intervento della «ragione». Ed è veramente spiacevole, ma doveroso, sottolineare l’espressione con cui tenta di giustificare l’obiettività di tale decisione affermando: «Le decisioni morali che questi Comitati devono prendere sono essenzialmente materia di moralità pubblica non privata». Cioè la «moralità pubblica» può accettare come atto buono «l’uccisione di un soggetto umano».

Tuttavia, con molta saggezza, i National Institutes of Health (NIH) degli Stati Uniti (40) già dall’anno 2000 avevano prospettato e sollecitato a seguire la nuova pista offerta dal progresso scientifico. Affermavano: «La ricerca sulle cellule staminali umane pluripotenti […] promette nuovi trattamenti e cure possibili per molte malattie debilitanti e dannose, incluse il Parkinson, il diabete, malattie cardiache, sclerosi multipla, e alterazioni del midollo spinale. Gli NIH riconoscono che i potenziali benefici medici offerti dalla tecnologia delle cellule umane staminali pluripotenti sono notevoli e meritevoli di accettazione in accordo con seri standard etici».

In realtà la letteratura nel campo delle cellule staminali adulte, di cui si è cercato di offrire un quadro, è in rapido crescente aumento e dimostra il prestigio che sta acquistando nello spazio della medicina rigenerativa. Ne è espressione un serio, ampio e profondo recente studio prospettico (41), basato sull’analisi di 138 lavori di ricerca, che sottolinea in modo particolare i recenti progressi nella biologia delle cellule staminali adulte, i cui risultati hanno approfondito la comprensione sulle funzioni critiche e uniche di queste sottopopolazioni di cellule indifferenziate e multipotenti che hanno illimitate capacità di auto-rinnovamento e alta plasticità.

Progressi che stanno aprendo ad applicazioni cliniche per lo sviluppo di nuove terapie cellulari intese a riparare tessuti e organi danneggiati per cause genetiche o occasionali. Studio che giustamente conclude: «La ricerca sulle cellule staminali ha la capacità di condurre allo sviluppo di nuove terapie cellulari e geni-che che potrebbero trasformarsi in trattamenti clinici efficienti e sicuri di numerose patologie genetiche e degenerative».

Note

1) Cfr E. kavanagh, «Adult versus embryonic stem cells: Treatments», in Science, 2007, voi. 316, 1.422 s.
2) Cfr D. A. PRENTICE – G. tarne, «Treating diseases with adult stem cells», ivi, 2007, voi. 315,328.
3) Cfr R. M. L. WINSTON, «Does government regulation inhibit Embrionic Stem celi research and can it be effective?», in CELL Stem Celi, 2007, voi. 1, 32.
4) Cfr L. GRUEN – L. GRABEL, «Concise Review: Scientifìc and ethical roadblocks to human Embryonic Stem Celi therapy», in Stem Cells, 2006, vol. 24, 2.162.
5) Cfr Editorials: «Avoiding a chimaera quagmire», in Nature, 2007, vol. 445, 1; «An unwieldy hybrid», ivi, 2007, vol. 447, 353 s.
6) Cfr M. LOEFFLER – C. S. POTTEN, «Stem cells and cellular pedigrees – a conceptual introduction», in C. S. POTTEN (ed.), Stem Cells, London, Academic Press, 1997, 5.
7) Cfr D. T. SCADDEN, «The stem-cell niche as an entity of action», in Nature, 2006, vol. 441, 1.075.
8) Cfr M. RAMALHO-SANTOS – H. WILLENBRING, «On the origin of the term “Stem Celi”», in CELI Stem Cell, 2007, vol. 1, 35-38.
9) Cfr S. J. MORRISON – J. KIMBLE, «Asymmetric and symmetric stem-cell divisions in development and cancer», in Nature, 2006, vol. 441, 1.068
10) Cfr TH. A. RANCO, «Stem cells, ageing and the quest for immortality», in Nature, 2006, voi. 441, 1.082
11) Cfr D. B. KOHN – T. A. NOLTA – G. M. CROOKS, «Hematopoietic stem cells», in Nature Encydopedia of the Human Genome, vol. 3, London – New York, Nature Publishing Group, Macmillan Publishers Ltd, 2003, 194-199.
12) Cfr C. BORDIGNON, «Stem-cell therapies for blood diseases», in Nature, 2006, vol. 441, 1.100-1.102.
13) Cfr W. VOGEL – S. SCHEDINO – L. KANZ ET AL, «Clinical application of CD34+ peripheral blood progenitor cells (PBPC), in Stem Cells, 2000, voi. 18, 87-92.
14) Cfr E. GLUCKMAN – V. ROCHA – A. boyer-chammard et al., «Outcome of cord blood transplantation from related and unrelated donors», in New England Journal of Medicine, 1997, voi. 337, 373-381.
15) Cfr M. M. HOROWITZ, «Current status of allogeneic bone marrow transplantation in acquired aplastic anemia», in Seminars in Hematology, 2000, vol. 37, 30-42.
16) Cfr W. KRIVIT – CH. peters – E. G. shapiro, «Bone marrow transplantation as effective treatment of centrai nervous System disease», in Current Opinion in Neurology, 1999, voi. 12, 167-176.
17) Cfr M. A. CABRERA-SALAZAR – J. A. BARRANGER, «Lysosomal Storage disorders: gene therapy», in Nature Encyclopedia of thè Human Genome, cit., 757-766.
18) Cfr K. W. CULVER, «Gene Therapy», New York, Mary Anne Liebert Inc., 1994, 9 s.
19) Cfr J. A. NOLTA – D. B. KOHN, «Haematopoietic stem cells for gene therapy», in C. S. POTTEN (ed.), «Stem Cells», cil., 147-462; D. A. PERSONS – A. W. NlENHUIS, «Hemoglobin disorders: Gene iherapy», in Nature Ertcyclopedta of the Human Genome, cil., 202-207-, G. PUTHENVEETIL – J. SCHOLES – D. CARBONELL ET AL., «Successful correction of the human beta-thalassemia major phenotype using a lemìviral vector», in Blood, 2004, vol. 104, 5.445-3.453; P. MALIK, «Gene therapy for hemoglobinathies using autologous haemalopoietic stem cells», in Stem Cells, 2007, vol. 25, 1.085-1.088.
20) Cfr G. PUTHENVEETIL ET AL, «Successful correction of the human beta-thalassemia…», cit., 3.452.
21) Cfr P. MALlK, «Gene therapy for…», cit., 1.087.
22) Cfr D. J. WATT – G. E. JONES, «Skeletal muscle stem cells: function and potential role in therapy», in C. S. POTTEN (ed.), «Stem Cells», cit., 75-98
23) Cfr T. PARTRIDGE, «Muscle disease: gene therapy», in Nature Encydopedia of the Human Genome, cit., voi. 4, 182-187; K. BUSHBY, «Muscular dystrophies», ivi, 187-193; K. DAVIES – J. FERNIHOUGH, «Duchenne muscular dystrophy (DMD) gene», ivi, vol. 2, 247-252.
24) Cfr M. SAMPAOLESI – S. BLOT – G. D’ANTONA ET AL.; «Mesangioblast stem cells ameliorate muscle function in dystrophic dogs», in Nature, 2006, voi. 444, 574-579.
25) Cfr R. BENCHAOUIR – M. MEREGALLI – G. D’ANTONA ET AL., «Restoration of human dystrophin following transplantation of exon-skipping-engineered DMD patient stem cells imo dystrophic mice», in CELI Stem Cell, 2007, vol. 1, 646-657.
26) Cfr A. R. MUOTRI – E H. GAGE, «Generation of neuronal variability and complexity», in Nature, 2006, voi. 441, 1.087-1.093.
27) Cfr E T. MERKLE – Z. MIRZADEH – A. ALVAREZ-BUYLLA, «Mosaic organization of neural stem cells in the adult brain», in Science, 2007, voi. 317, 381-384.
28) Cfr O. LlNDVALL – Z. KOKAIA, «Stem Cells for the treatment of neurological disorders», in Nature, 2006, vol. 441, 1.096.
29) Cfr O. LINDVALL – Z. KOKAIA – A. MAKTINEZ-SERRANO, «Stem cell therapy for human neurodegenerative disorders – how to make it work», in Nature Med, 2004, vol. 10 (suppl.), S42-S50.
30) Cfr D. FANG – B-M SEO – Y LIU ET Al., «Transplantation of mesenchymal stem cells is an optimal approach for plastic surgery», in Stem Cells, 2007, vol. 25. 1.021-1.028.
31) Cfr R. QUARTO – M. MASTROGIACOMO – R. CANCEDDA ET AL, «Repair of large bone defects with [heuseofautologous bone marrow strema] cells», in N. Engl.J Med., 2001, vol. J44, 385-386; E. M. HORWITZ – DJ. PROCKOP- P L. GORDON ET AL., «ClinicaL reasponses To bone marrow transplantation in chìldren with severe osteogenesis imperfecta», in Blood, 2001, vol. 97,1.227-1.231; L. C. AMADO – A. P. SALIARIS – K, H. SCHULERI ET AL., «Cardiac repair with intramyocardial injection of allogeneic mesenchyma) stern cells after myocardial infarction», in Proc Natl Acad Sci USA, 2005, vol. 102, 11.474-11.479; L. N. MANGANAS – X. ZHANG – R. A. HAZEL ET AL., «Magnetic resonance spectroscopy idenci-fiesneural progenitor cells in thè live human brain», in Science, 2007, voi. 318, 980-985.
32) Cfr Y. JIANG – B. N. JAHAGIRDAR – R. L. REINHARDT ET al, «Pluripotency of mesenchimal stem cells derived from adult rnarrow», in Nature, 2002, vol. 418, 41 e 48.
33) Cfr S. YAMANAKA, «Strategies and new developments in the generation of patient-specific pluripotent stem cells», in Cell Stem Cell, 2007, vol. 1, 39-49.
34) Cfr M. MAHERALI – R. SRIDHARAN – W. XIE ET AL., «Directly reprogrammed fibroblasts show global epigenetic remodeling and widespread lissue contribution», in CELL Stem Cell, 2007, vol. 1, 55-70; J. WILMUT, «The first direct reprogramming of adult human fibroblasts». ivi, 593 s.
35) Cfr M. WERNIG – A. MEISSNEH – R. FOREMAN ET AL, «in vìtro reprogramming of fibroblasts into a pluripotent ES-cell-like state», in Nature, 2007, vol. 448, 318-324; K. OKITA – T, ICHISAKA – S. YAMANAKA, «Generation of germline-competent induced pluripotent stem cells», ivi, 313-317.
36) Cfr J. ROSSANT, «The magic brew», ivi, 260-262.
37) Cfr J. HANNA- M. WERNIG – R JAENISCH ET AL, «Treatment of sickle celi anemia mouse model wilh iPS cells generated from autologous skin», in Science, 2007, vol. 318, 1920-1923.
38) Cfr A. SERRA, «Le cellule staminali embrionali», in Civ. Catt. 2007 II 433-446. 39) Cfr M. Warnock«The ethical regulation of science», in Nature, 2007, vol. 450,675.
40) Cfr NATIONAL INSTITUTES OF HEALTH, 2000, «National Institutes of Health Guidelines for Research Using human Pluripotent Stem Cells», in http://stemcells.nih.gov/news/news Archives/stemcellguidelines.asp
41) Cfr MIMEAULT – R. HAUKE – SK. BATRA, «Stem cells: a revolution in therapeutics – Recent advances in stem cell biology and their therapeutic applications in regenerative medicine and cancer therapies», in Clinical Pharmacology & therapeutics, 2007, vol. 82,261.