La verità del 23 aprile 2017
Renzo Puccetti
“Per noi è fondamentale l’autodeterminazione, intesa come la possibilità data ai cittadini di essere cittadini“. Era La risposta di Beppe Grillo al direttore Tarquinio che lo intervistava sul quotidiano dei vescovi italiani. In effetti, quanto i pentastellati tengano all’autodeterminazione, lo si è visto con il granitico appoggio del partito di Grillo al disegno di legge sul testamento biologico che di fatto introduce l’eutanasia auto-determinata (per quella etero-determinata c’è da attendere ancora un po’, ma non preoccupatevi, non troppo).
In quella stessa intervista, il Beppe nazionale aveva proclamato: “Il governo a 5 Stelle avrà la consistenza di ciò che manca in Italia da troppo tempo: onestà e competenza al servizio dei cittadini“. Non ho numeri per esprimere pareri sull’onestà ma sui temi bioetici una certa competenza mi è riconosciuta dal ruolo accademico e dunque sono nella condizione di potere esprimere giudizi sull’operato dei politici.
Che le DAT siano uno strumento in grado di garantire l’autodeterminazione è tutt’altro che acclarato. Appena un anno fa, la prestigiosa rivista PLOS ONE pubblicava una revisione della letteratura scientifica mondiale sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT). Partita da 5.785 articoli, la ricerca si è progressivamente affinata fino a giungere a 67 pubblicazioni. La redazione delle DAT è risultata aumentare la probabilità di ricevere i trattamenti desiderati di un misero 17%. Si tratta di un risultato che scaturisce dall’analisi di soltanto due, diconsi due miseri studi. Non si tratta nemmeno del risultato di una valutazione oggettiva, ma della percezione dei parenti del defunto.
Non è un caso che gli autori abbiano attribuito a tale evidenza il penultimo livello nella scala dei punteggi: “qualità povera“. Ma qual è il prezzo da pagare per incrementare in maniera così incerta e modesta la probabilità di compiacere il futuro paziente? Qui i dati sono molto più numerosi ed offrono una panoramica di risultati convergenti. Il DNR (Do Not Resuscitate), è la forma di DAT più comune. Stabilisce di non provvedere alla rianimazione cardiopolmonare in caso di arresto cardiaco.
Nel 2004 la rivista Archives of Internal Medicine pubblicava i dati sui 4.621 pazienti infartuati del Worcester Heart Attack Study. I pazienti con un DNR ricevevano con minore probabilità le cure farmacologiche, la trombolisi e avevano una mortalità ospedaliera del 44% contro il 5% di quelli che non avevano proibito ai medici la rianimazione. Nel 2007, la rivista ufficiale dell’associazione dei medici americani che si occupano di terapie post-acute e croniche pubblicava i risultati su oltre 150.000 pazienti ricoverati in 4.111 reparti acuti per infarto.
Tra i pazienti che avevano scritto una DAT, la probabilità di ricevere antiaggreganti scendeva dall’84 al 65%, di assumere i betabloccanti passava dal 51 al 30% e di essere sottoposti a riperfusione cardiaca diminuiva dal 38 al 19%. Non stupisce dunque che nel 2012 la rivista Clinical Epidemiology pubblicasse i risultati sui 4.182 pazienti ricoverati per infarto nel New England tra il 2001 e il 2007, dimostrando che chi aveva scritto un DNR, pur considerando la situazione clinica e l’età dei soggetti, vedeva ridursi di un terzo la probabilità di angioplastica e del 59% quella di by-pass coronarico mentre la mortalità ospedaliera aumentava di 9 volte e quella ad un mese dalla dimissione di oltre 6 volte.
Abbiamo dati che indicano l’incremento di mortalità per i pazienti affetti da scompenso cardiaco, ictus, traumi, sottoposti a chirurgia vascolare che, quando hanno un DNR, non ricevono le terapie necessarie a fronteggiare le eventuali complicanze post-operatorie.
In un paese relativamente piccolo come l’Irlanda, l’implementazione delle DAT è stata indicata come una misura potenzialmente in grado d’indurre risparmi per 17,7-42,4 milioni di dollari in ricoveri ospedalieri. Al contrario, una revisione sistematica della letteratura scientifica condotta da docenti della London School of Economics ha portato a conclusioni molto più caute. Partendo da un’analisi di 802 pubblicazioni progressivamente raffinata fino ad includere 18 studi -14 dei quali condotti in America- il professor Josie Dixon con i suoi collaboratori ha evidenziato come non sia disponibile alcuna analisi che abbia esaminato gli aspetti economici insieme agli indicatori sanitari mentre, per i risparmi, le evidenze non sono univoche.
È certo comunque che ridurre i costi dell’assistenza sanitaria è uno degli effetti da considerare, tanto da costituire una fonte di preoccupazione etica. IlPatient Self Determination Act, la legge che implementò le DAT in America, fu approvata nel 1990 come emendamento dell’Omnibus Budget Reconciliation Act, un pacchetto di misure volte a ridurre il deficit federale. “Gratta il Peppone e troverai il Pepito“, diceva don Camillo monsignore. Gratta l’autonomia e troverai i quattrini, si potrebbe dire per le DAT. Come massima autorità politica in materia di salute del paese, in caso di approvazione della legge, il ministro Lorenzin avrebbe l’obbligo morale di lanciare l’allarme e giungere alle dimissioni e all’opposizione di un governo sostenuto da una maggioranza che tutela la cassa prima dei suoi cittadini.
Caro Beppe, la conoscenza la si acquista attraverso lo studio, aggiungervi un pizzico di modestia non guasta mai. Se davvero tieni tanto alla competenza dei tuoi eletti e vuoi che legiferino in modo da darne prova, allora consiglio ai tuoi un corso full immersion. Gratis, ci mancherebbe. Perché se quella che sto vedendo sulle DAT dovesse essere la vostra competenza a livello generale, allora passare dal “mentitore seriale” (copyright tuo) all’ignoranza saccente non sarebbe certo un grande affare.