Principesse, Regine e Abbadesse diedero una forte impronta femminile alla politica dei Regni Crociati
don Maurizio Ceriani
Non è il caso di entrare nei particolari della pellicola, quanto invece di accogliere l’invito dell’Arcivescovo di Denver in Colorado affinché i Cristiani accettino la sfida di recuperare la propria memoria anche in ordine alle Crociate.
Il film in questione in fondo un merito ce l’ha: quello di riportare alla luce una pagina poco conosciuta della storia medioevale, cioè l’obliato periodo della fine del regno crociato di Gerusalemme e delle vicende dei suoi ultimi sovrani tra il 1182 e il 1187.
Partendo proprio da uno dei personaggi chiave della pellicola di Scott, la principessa Sybilla di Gerusalemme sorella del Re Baldovino IV, cogliamo l’occasione per indagare su un’altra pagina di storia medioevale a forte conduzione femminile, che contrasta con il luogo comune dell’emarginazione delle donne nei cosiddetti “secoli bui”.
Il regno latino di Gerusalemme e gli altri potentati locali, sorti in seguito alla conquista della Palestina avvenuta durante la prima crociata nel 1099, registrano una notevole azione politica, sociale, e qualche volta anche militare, di regine e principesse. Le dinastie regnanti, quasi tutte originate dalla nobiltà feudale francese e normanna al seguito di Goffredo da Buglione, comandante della prima crociata, seguivano per la successione al trono la “legge borgognona” per la quale il Regno era trasmesso anche in via femminile.
Di conseguenza non fu raro che, favorite dalla propria posizione sociale, donne dell’aristocrazia, svincolatesi ormai dalla tutela della famiglia e spesso vedove, amministrassero con intraprendenza i propri possedimenti e difendessero con accanimento i relativi diritti. Ciò accadde ad esempio nel regno di Gerusalemme dove la regina Melisenda arrivò a fare la guerra al figlio, il re Baldovino III, che ormai maggiorenne si era liberato della sua reggenza. Altrettanto intraprendente sarebbe stata la moglie dell’altro suo figlio, anch’egli re di Gerusalemme, Amalrico.
Pur non essendo stata regina, Agnese di Courtenay avrebbe tuttavia per lungo tempo tenuto nelle proprie mani le redini del regno grazie alla grave malattia del nuovo re, suo figlio Baldovino IV, che ancora bambino aveva contratto la lebbra. Sua rivale sarebbe stata la seconda moglie di Amalrico, la principessa bizantina Maria Comnena.
Dopo di loro sarebbero state le principesse Sybilla e Isabella ad essere parimenti coinvolte nelle vicende del regno che si avviava verso la tragica perdita di Gerusalemme, conquistata da Saladino. In un complesso mosaico che vedeva vicende ed affetti privati confondersi con gli intrighi politici e la lotta per il potere, tutta la storia del regno gerosolimitano durante la seconda metà del XII secolo appare segnata dall’influenza che queste donne seppero avere, nel bene e nel male, su di essa.
Anche i giorni dell’agonia dello Stato cristiano di Terrasanta furono segnate dall’ardimento di donne, che guidarono l’ultima resistenza delle roccaforti crociate davanti all’avanzata delle armate di Saladino. Nell’estate del 1187 troviamo la principessa Eschiva di Bures, moglie di Raimondo conte di Tripoli, a difendere Tiberiade, capitale del Principato di Galilea, dalle truppe scelte della guardia di Saladino, “le ardenti fiaccole dell’Islam”, uomini animati da un odio fanatico per i cristiani.
Qualche settimana dopo toccherà, invece, a Sybilla guidare la difesa di Gerusalemme, insieme con Baliano di Ibelin; il suo ardimento sarà tale da conquistarsi l’ammirazione dello stesso Saladino che onorò i combattenti lasciandoli liberi di ritornare in terra cristiana.
Ma non soltanto in guerra si distinsero le “Donne di Gerusalemme”. Emblematico è il caso di Melisenda, primogenita di Baldovino II, che salì sul trono gerosolimitano il 14 settembre 1131 e per i successivi trent’anni fu protagonista della politica palestinese, sia pur attraverso vicende travagliate e dolorose.
Melisenda era una donna abile e addentro negli affari politici, seppe reggere la fragile situazione non solo del Regno di Gerusalemme, ma dell’intera galassia degli staterelli feudali d’oltremare stretti tra l’aggressione islamica e l’infida politica bizantina. Per inserire il giovane regno crociato nella grande rete dinastica del continente, Melisenda associò alla corona il marito Folco d’Angiò, esponente di una delle più prestigiose casate europee, nonostante fosse un personaggio mediocre sia sul piano militare che su quello politico.
Rimasta vedova nel 1143 non volle risposarsi, ma resse da sola le sorti dello stato, forse anche influenzata dai consigli dell’amico San Bernardo, che proprio in occasione della morte del marito la esortava così: “mostrati più uomo che donna, in modo che chi ti vede all’azione scorga in te più il re di Gerusalemme che la regina”.
Quel poco che solitamente si dice sui regni crociati di Terrasanta indulge spesso a perpetuare il falso storico di stati guerrieri, in mano a feudatari privi di scrupoli dediti a ruberie e saccheggi o ad ecclesiastici fanatici e sanguinari. La realtà, invece, fu di tutt’altro tenore. Innanzitutto si formarono entità statali entro le quali convissero in armonia cristiani delle diverse confessioni, mussulmani ed ebrei. Furono proprio le dinastie regnanti a moderare gli eccessi di uno zelo fanatico da parte di alcuni Latini a scapito delle altre confessioni religiose.
Il padre di Melisenda, Baldovino II che aveva sposato la principessa armena Morchia, divenne protettore dei cristiani armeni, e Melisenda stessa si oppose al progetto del patriarca latino Daimberto di allontanare il clero greco-ortodosso dalla basilica del Santo Sepolcro e trattò sempre con grande rispetto l’abate della Laura di San Saba, che era la più alta personalità del clero greco rimasta in Palestina.
Durante il lungo regno di Melisenda vennero completati e restaurati molti luoghi di culto e ne vennero edificati di nuovi. In particolare il mosaicista Basilio potè completare la posa dei mosaici della basilica della Natività a Betlemme. Un affetto singolare legò la Regina al santuario ipogeo della Tomba della Madonna accanto al Getsemani, dove ebbe in seguito l’onore di essere sepolta e dove tuttora si conserva la sua tomba all’altare dei Santi Gioacchino ed Anna, a metà dell’imponente scalinata da lei realizzata, per facilitare l’accesso dei pellegrini a quella che la tradizione ci ha tramandato come la sepoltura della Vergine prima dell’Assunzione.
Oltre alla sensibilità socio-religiosa, legata al desiderio di coltivare la pace e l’unità tra i sudditi, Melisenda fu attenta promotrice delle attività manifatturiere e commerciali per innalzare il tenore di vita del regno e rimpinguare le finanze statali gravate dai pesanti oneri legati al mantenimento di un forte esercito in assetto di guerra.
Ancora oggi una folla variopinta di ogni nazionalità si aggira quotidianamente per le vie di Gerusalemme sotto le volte di quei mercati della città vecchia, che proprio la regina fece erigere per favorire l’ascesa della città a nodo strategico dei grandi traffici commerciali tra oriente e occidente. I mercati coperti della città vecchia sono formati da tra gallerie parallele, con passaggi laterali che le collegano; vennero costruiti dove una volta era situato il Cardo romano-bizantino, che già nel periodo arabo era luogo di mercato.
La galleria centrale, chiamata in arabo suk el-Attarin (il mercato dei droghieri) apparteneva in comproprietà ai cavalieri Templari e alle monache Benedettine di Sant’Anna, dove si era ritirata la sorella minore della regina, la principessa Joveta.
Joveta fu un’altra donna straordinaria che segnò la vita della Gerusalemme crociata. Scelse di farsi monaca tra le Benedettine del monastero eretto presso la chiesa di Sant’Anna e la Piscina Probatica, di cui presto divenne abbadessa. Ebbe un grande ruolo nella vita religiosa del regno e non disdegnò di porre la sua mediazione per ricucire i numerosi contrasti in seno alla famiglia reale e tra i notabili del paese.
Affiancò il cammino spirituale di Melisenda con il suo esempio e la sua guida, soprattutto nell’ultimo decennio della vita della regina, quando si dedicò più decisamente alla vita di preghiera e alla santificazione. Ugualmente modellò l’animo e il carattere della nipote, la principessa Sybilla che sarà l’ultima regina della Gerusalemme cristiana.
Per Joveta Melisenda fece edificare il grandioso monastero dedicato a San Lazzaro e alle sorelle Marta e Maria nel villaggio di Betania; come scrive Guglielmo da Tripoli lo volle “a sollievo della propria anima e di quella dei parenti, per la salvezza del marito e dei figli”.
Al monastero legò tutti i suoi beni terrieri, tra cui l’oasi di Gerico e le sue fattorie, e lo fortificò con una possente torre di difesa i cui ruderi sono ancora oggi visibili a poca distanza dalla casa di Lazzaro. Qui l’abbadessa Joveta fino alla morte, avvenuta nel 1178, fu punto di riferimento per la vita religiosa dell’intero paese e soprattutto per i due nipoti Baldovino IV, il re lebbroso, e Sybilla nel delicato compito di guidare il regno nell’ultimo periodo della sua esistenza.