Fra le molte ripercussioni a livello mondiale che ha avuto il piccolo ma denso libro di Mons. Athanasius Schneider «Dominus est. Riflessioni di un vescovo dell’Asia Centrale sulla sacra Comunione» (Libreria Editrice Vaticana, 67 pag., 8,00 €), che conta una altrettanto significativa prefazione del Segretario della Congregazione per il Culto Divino, l’arcivescovo Mons. Malcolm Ranjith, vogliamo qui riportare alcuni brani della recensione dedicatagli da Civiltà Cattolica (15 marzo 2008)
«Quest’opuscolo vuole esortare sacerdoti e fedeli a ritrovare senso e pratica dell’adorazione quando si è al cospetto dell’Eucaristia o la si riceve, sottraendola all’usura dell’abitudine o, peggio, della sciatteria. Da tale punto di vista, queste pagine non differiscono da quelle di non pochi pastori d’anime che condividono le preoccupazioni espresse in molti documenti pontifici volti a correggere gli abusi invalsi nella celebrazione eucaristica, primo fra tutti l’abuso di ridurre la Messa a puro incontro dei partecipanti, sia pure riuniti nel nome di Cristo, dimenticando la realtà sacramentale della presenza del Signore e, quindi, le disposizioni d’anima, i gesti, i canti che esprimono l’adorazione a Lui dovuta.(…)
«Ma l’opuscolo ha un singolare carattere suo proprio. L’autore è il giovane vescovo ausiliare di Karaganda nel Kazahstan, nato in Kirghizistan da genitori tedeschi deportati e successivamente emigrato in Germania. (…) La sua novità sta nel fatto che la preoccupazione pastorale, il ricordo del rispetto dovuto al Santissimo Sacramento nascono nel cuore sacerdotale di chi ha sperimentato il tempo della clandestinità per motivi di fede. L’opuscolo si apre con il racconto del posto che l’Eucaristia ebbe nella vita e nell’apostolato segreto di tre donne eroiche, due delle quali congiunte all’autore da vincoli di parentela, durante la persecuzione sovietica della Chiesa.Un racconto che dimostra quanto davvero l’Eucaristia fondi e sostenga la Chiesa e quale forza da essa si sprigioni, anche in circostanze difficilissime, per i fedeli che credono al suo mistero e illuminano della sua luce il dolore della vita. È un racconto che evoca spontaneamente i sentimenti che suole destare la lettura degli Atti degli antichi martiri. Come è possibile ottenere tali frutti senza la fede viva che si fa adorazione?»
Il lavoro di Mons. Schneider ha avuto una grande ripercussione, come abbiamo detto prima. Soprattutto in Internet è stato un vero boom, con presenze su numerosi siti e blog. In particolare, merita d’essere menzionata l’intervista che egli ha concesso al sito www.gloria.tv, in italiano, in inglese, in tedesco e in portoghese.
Auguriamo che la Madonna del Santissimo Sacramento continui a benedire il suo sforzo, insieme a tanti altri che si dedicano a questo nobile scopo, e che la sua diffusione sia molto ampia.
Ma adesso leggiamo alcune pagine, proprio sulla testimonianza di queste tre donne, sotto il totalitarismo comunista, il cui esempio ha nutrito la devozione eucaristica di Mons. Schneider… e di tantissimi altri dei suoi lettori.
Il regime comunista sovietico, che è durato circa 70 anni (1917-1991), aveva la pretesa di stabilire una specie di paradiso sulla terra. Ma questo regno non poteva avere consistenza, giacché era fondato sulla menzogna, sulla violazione della dignità dell’uomo, sulla negazione e persino sull’odio di Dio e della Sua Chiesa. Era un regno, dove Dio e i valori spirituali non potevano e non dovevano avere nessuno spazio. Ogni segno, che poteva ricordare agli uomini Dio, Cristo e la Chiesa, era tolto dalla vita pubblica e dalla vista degli uomini. Esisteva però una realtà che per lo più ricordava agli uomini Dio: il sacerdote. Per questa ragione il sacerdote non doveva essere visibile, anzi non doveva esistere.
Per i persecutori di Cristo e della Sua Chiesa il sacerdote era la persona più pericolosa. Forse loro, implicitamente, conoscevano la ragione per cui il sacerdote era ritenuto la persona più pericolosa. La vera ragione era questa: solo il sacerdote poteva dare Dio agli uomini, dare Cristo in maniera più concreta e diretta possibile, cioè attraverso l’Eucaristia e la sacra Comunione. Perciò era proibita la celebrazione della Santa Messa. Ma nessun potere umano era in grado di vincere la potenza Divina, che operava nel mistero della Chiesa e soprattutto nei sacramenti.
Durante quegli anni bui, la Chiesa, nell’immenso impero sovietico, era costretta a vivere nella clandestinità. Ma la cosa più importante era questa: la Chiesa era viva, anzi vivissima, benché le mancassero le strutture visibili, benché le mancassero edifici sacri, benché ci fosse un’enorme scarsità dei sacerdoti. La Chiesa era vivissima, perchè non le mancava del tutto l’Eucaristia – benché raramente accessibile per i fedeli – perché non le mancavano anime con fede salda nel mistero eucaristico, perché non le mancavano donne, spesso madri e nonne, con un’anima «sacerdotale» che custodivano e persino amministravano l’Eucaristia con amore straordinario, con delicatezza e con la massima riverenza possibile, nello spirito dei cristiani dei primi secoli, che s’esprimeva nell’adagio: «cum amore ac timore».
Tra i numerosi esempi di donne «eucaristiche » del tempo della clandestinità sovietica sarà qui presentato l’esempio di tre donne che l’autore ha conosciuto personalmente: Maria Schneider (madre dell’autore), Pulcheria Koch (sorella del nonno dell’autore), Maria Stang (parrocchiana della diocesi di Karaganda).
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Maria Schneider, mia madre, mi raccontava che dopo la seconda guerra mondiale, il regime stalinista deportava molti tedeschi dal Mar Nero e dal fiume Volga ai monti Urali per impegnarli in lavori forzati. Tutti erano internati in poverissime baracche in un ghetto della città. C’erano alcune migliaia di tedeschi cattolici. Spesso, si recavano da loro, nella massima segretezza alcuni sacerdoti cattolici per amministrare i sacramenti. Lo facevano mettendo a repentaglio la loro vita.
Tra quei sacerdoti, che venivano più frequentemente, c’era Padre Alexij Saritski, sacerdote ucraino greco-cattolico e biritualista, morto martire il 30 ottobre 1963 vicino Karaganda e beatificato da Papa Giovanni Paolo II nel 2001. I fedeli lo chiamavano affettuosamente «il vagabondo di Dio». Nel gennaio del 1958, nella città di Krasnokamsk vicino Perm nei monti Urali, all’improvviso arrivò segretamente Padre Alexij, proveniente dalla città di Karaganda nel Kazahstan ove era esiliato.
Padre Alexij si adoperava perché il maggior numero possibile di fedeli fosse preparato per ricevere la sacra Comunione. Perciò lui si disponeva ad ascoltare la confessione dei fedeli letteralmente giorno e notte, senza dormire e senza mangiare. I fedeli lo sollecitavano dicendo: «Padre, deve mangiare e dormire!». Lui invece rispondeva: «Non posso, perché la polizia mi può arrestare da un momento all’altro, e poi tante persone resterebbero senza confessione e quindi senza Comunione». Dopo che tutti si furono confessati, Padre Alexij cominciò a celebrare la Santa Messa. Improvvisamente una voce risuonò: «La polizia è vicina!»
Maria Schneider assisteva alla Santa Messa e disse al sacerdote: «Padre, io La posso nascondere, fuggiamo!». La donna condusse il sacerdote in una casa fuori dal ghetto tedesco e lo nascose in una stanza, portando anche qualcosa da mangiare e disse: «Padre, adesso Lei può finalmente mangiare e riposare un po’ e quando comincia la notte, fuggiremo nella città più vicina ».
Padre Alexij era triste, perché tutti si erano confessati, ma non avevano potuto ricevere la sacra Comunione, perché la Santa Messa che aveva appena cominciato era stata interrotta a causa dell’irruzione della polizia. Maria Schneider disse: «Padre, tutti i fedeli faranno con molta fede e devozione la Comunione spirituale e speriamo che Lei potrà ritornare per darci la sacra Comunione ».
Al calar della sera si cominciò a preparare la fuga. Maria Schneider affidò i suoi due figli piccoli (un bambino di due anni e una bambina di sei mesi) a sua madre e chiamò Pulcheria Koch (la zia di suo marito). Le due donne chiamarono Padre Alexij e fuggirono per 12 km attraverso il bosco, nella neve e nel freddo a 30 gradi sotto zero.
Arrivarono in una piccola stazione, comprarono il biglietto per Padre Alexij e si sedettero nella sala d’attesa, perché dovevano aspettare ancora un’ora prima della partenza del treno. Improvvisamente, si aprì la porta ed entrò un poliziotto. Egli si diresse direttamente da Padre Alexij. Si piantò davanti al Padre e gli domandò: «Lei dove è diretto?»
Il Padre non fu in grado di rispondere a causa dello spavento. Egli non temeva per la sua vita, ma per la vita e il destino della giovane madre Maria Schneider. Invece fu la giovane donna a rispondere al poliziotto: «Questo è nostro amico e noi lo accompagniamo. Ecco il suo biglietto» e consegnò al poliziotto il biglietto.
Questo, guardando il biglietto disse al sacerdote: «Per favore, non entri nell’ultimo vagone, perché questo sarà sganciato dal resto del treno alla prossima stazione. Buon viaggio!». E subito il poliziotto uscì dalla sala. Padre Alexij guardò Maria Schneider e le disse: «Dio ci ha mandato un angelo! Non dimenticherò mai quello che lei ha fatto per me. Se Dio me lo permetterà ritornerò per darvi la sacra Comunione ed in ogni mia Messa pregherò per lei e i suoi figli ».
Dopo un anno, Padre Alexij poté ritornare a Krasnokamsk. Questa volta poté celebrare la Santa Messa e somministrare la sacra Comunione ai fedeli. Maria Schneider gli chiese un favore: «Padre, potrebbe lasciarmi un’ostia consacrata, perché mia madre è gravemente malata e vorrebbe ricevere la Comunione prima di morire? ».
Padre Alexij lasciò un’ostia consacrata a condizione che si somministrasse la sacra Comunione con il massimo rispetto possibile. Maria Schneider promise di agire in tal modo. Prima di trasferirsi con la sua famiglia nel Kirghizistan, Maria amministrò la sacra Comunione a sua madre ammalata. Per far ciò, indossò dei guanti bianchi nuovi e con una pinzetta prese l’ostia e comunicò sua madre. Alla fine bruciò la busta, nella quale era contenuta l’ostia consacrata.
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Le famiglie di Maria Schneider e di Pulcheria Koch si trasferirono poi in Kirghistan. Nel 1962 Padre Alexij visitò in segreto il Kirghizistan e trovò Maria e Pulcheria nella città di Tokmak. Lui celebrò la Santa Messa nella casa di Maria Schneider e, in seguito, ancora un’altra volta nella casa di Pulcheria Koch.
Per gratitudine a Pulcheria, questa donna anziana che lo aveva aiutato a fuggire nel buio e nel freddo dell’inverno sui monti Urali, Padre Alexij le lasciò un’ostia consacrata, dando però un’istruzione precisa: «Le lascio un’ostia consacrata. Fate la devozione dei primi nove mesi in onore del Sacro Cuore di Gesù. Ogni primo venerdì del mese lei faccia l’esposizione del Santissimo nella sua casa, invitando per l’adorazione persone di assoluta fiducia, e tutto dovrà svolgersi con la massima segretezza. Dopo il nono mese, lei potrà consumare l’ostia, ma lo faccia con grande riverenza!».
Così fu fatto. Per nove mesi ci fu a Tokmak un’adorazione eucaristica clandestina. Anche Maria Schneider era tra le donne adoratrici. Stando in ginocchio davanti alla piccola ostia, tutte le donne adoratrici, queste donne vera-mente eucaristiche, desideravano ardentemente ricevere la sacra Comunione. Ma, purtroppo, c’era soltanto una piccola ostia e allo stesso tempo numerose persone desiderose di comunicarsi. Per questo Padre Alexij aveva deciso che alla fi ne dei nove mesi la ricevesse solamente Pulcheria e tutte le altre donne facessero la Comunione spirituale.
Comunque queste Comunioni spirituali erano molto preziose, perché rendevano queste donne «eucaristiche » capaci di trasmettere ai loro figli, per così dire con il latte materno, una profonda fede e un grande amore per l’Eucaristia. La consegna di quella piccola ostia consacrata a Pulcheria Koch nella città di Tokmak in Kirghizistan fu l’ultima azione pastorale del Beato Alexij Saritski. Subito dopo il suo ritorno a Karaganda dal suo viaggio missionario in Kirghizistan, nel mese di aprile dell’anno 1962, Padre Alexij fu arrestato dalla polizia segreta e messo nel campo di concentra-mento di Dolinka, in prossimità di Karaganda.
Dopo tanti maltrattamenti e umiliazioni Padre Alexij ottenne la palma del martirio «ex aerumnis carceris», il giorno 30 ottobre 1963. In questo giorno si celebra la sua memoria liturgica in tutte le 17 chiese cattoliche del Kazahstan e della Russia; la Chiesa greco-cattolica ucraina lo celebra insieme con gli altri martiri ucraini il giorno 27 giugno. Fu un Santo eucaristico, che poté educare donne eucaristiche. Queste donne eucaristiche erano come fiori cresciuti nel buio e nel deserto della clandestinità, renden-do così la Chiesa veramente viva.
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Il terzo esempio di donna «eucaristica » è quello di Maria Stang, una tedesca del Volga, deportata in Kazahstan. Questa madre e nonna santa ebbe una vita piena di incredibili sofferenze, di continue rinunce e sacrifici. Però, fu una persona con tanta fede, speranza e gioia spirituale. Già da fanciulla voleva dedicare sua vita a Dio. A causa della persecuzione comunista e della deportazione, il cammino della sua vita fu doloroso.
Maria Stang scrive nelle sue memorie: «Ci hanno tolto i sacerdoti. Nel villaggio vicino c’era ancora la chiesa, ma purtroppo non c’era più un sacerdote, non c’era più il Santissimo. Ma senza il sacerdote, senza il Santissimo, la chiesa era così fredda. Io dovevo piangere amaramente». Da quel momento Maria cominciò a pregare ogni giorno e ad offrire sacrifici a Dio con questa preghiera: «Signore, dacci di nuovo un sacerdote, dacci la santa Comunione! Tutto soffro volentieri per amore Tuo, o sacratissimo Cuore di Gesù!».
Nello sconfinato luogo di deportazione del Kazahstan orientale, Maria Stang radunava segretamente nel-la sua casa ogni domenica altre donne per la preghiera. Durante quelle assemblee domenicali, le donne hanno spesso pianto e così pregato: «Maria, nostra santissi-ma e carissima Madre, vedi come siamo poveri. Donaci di nuovo sacerdoti, dottori e pastori!».
A partire dall’anno 1965 Maria Stang poté viaggiare una volta l’anno in Kirghizistan, dove viveva un sacerdote cattolico in esilio (ad una distanza di più di mille chilometri). Negli sconfinati villaggi del Kazahstan orientale, i cattolici tedeschi non vedevano un sacerdote già da più di 20 anni. Maria scrive: «Quando arrivai a Frunse (oggi Bishkek) in Kirghizistan, trovai un sacerdote.
Entrando nella sua casa, vidi il tabernacolo. Non potevo immaginarlo che nella mia vita avrei potuto vedere ancora una volta il tabernacolo e il Signore eucaristico. Io mi inginocchiai e cominciai a piangere. Dopo mi avvicinai al tabernacolo e lo baciai ». Prima di partire per il suo villaggio in Kazahstan, il sacerdote consegnò a Maria Stang una pisside con alcune ostie consacrate. La prima volta, quando si radunarono i fedeli alla presenza del Santissimo, Maria disse loro: «Abbiamo una gioia e una felicità che nessuno può immaginare: abbiamo con noi il Signore eucaristico e possiamo riceverLo».
I presenti risposero: «Non possiamo ricevere la Comunione, perché già da tanti anni non ci siamo confessati». Poi i fedeli tennero un consiglio e presero la seguente decisione: «I tempi sono difficilissimi e giacché c’è stato portato il Santissimo da più di mille chilometri, Dio ci sarà propizio. Ci metteremo spiritualmente nel confessionale davanti al sacerdote. Faremo un atto di contrizione perfetta e ciascuno di noi s’imporrà una penitenza». Così fecero tutti, e poi ricevettero la sacra Comunione inginocchiati e con lacrime. Erano lacrime allo stesso tempo di contrizione e di gioia.
Per 30 anni Maria Stang radunava ogni domenica i fedeli per la preghiera, insegnava ai bambini e agli adulti il catechismo, preparava gli sposi al sacramento del matrimonio, compiva i riti di esequie e soprattutto amministrava la sacra Comunione. Ogni volta distribuiva la Comunione con cuore ardente e con timore reverenziale. Era una donna con un’anima veramente sacerdotale, una donna eucaristica!
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Che la Madonna – che ha portato nel Suo grembo verginale il Figlio di Dio fatto Uomo, la «Donna eucaristica» per eccellenza –, che prega sempre Gesù Eucaristico per noi, ottenga al più presto il trionfo della Santa Chiesa per mezzo della Sacra Eucaristia.