Le esagerazioni climatiche ci impoveriscono

La Verità 23 Giugno 2024  

Nel suo nuovo saggio, l’ambientalista scettico Lomborg raccoglie tutti i motivi per i quali l’allarmismo green produce più danni che benefici. Oltre a rovinare la psiche dei più giovani, convince la politica a sperperare enormi quantità di danaro senza effetti

Francesco Borgonovo

Nel suo nuovo saggio, l’ambientalista scettico Bjorn Lomborg, di certo non un conservatore, raccoglie tutti i motivi per i quali l’allarmismo green produce più danni che benefici. Oltre a rovinare la salute mentale dei più giovani, convince la politica a sperperare enormi quantità di denaro senza effetti

Ormai parecchi anni fa si è definito «ambientalista scettico», e gli va riconosciuto che il suo scetticismo era decisamente ben riposto. Bjorn Lomborg , danese di nascita, è un brillante saggista e di sicuro non corrisponde allo stereotipo del feroce conservatore.

Vegetariano, gay dichiarato, è un militante ecologista che non nega affatto il cambiamento climatico. Di più: non nega nemmeno che possa essere di origine antropica e che possa causare danni notevoli. Quel che lo differenzia da praticamente tutti gli altri ambientalisti è la sua ostinazione nell’andare oltre la superficie, fornendo al problema risposte diverse da quelle che ci vengono normalmente propinate.

La sua visione della «questione green» è sunteggiata in un libro in uscita per l’editore Fazi intitolato Falso allarme. Perché il catastrofismo climatico ci rende più poveri e non aiuta il pianeta. Le sue considerazioni prendono le mosse da una amara constatazione: il terrorismo mediatico sul climate change da troppo tempo regna sovrano.

«È questo il messaggio che i media stanno inculcando nelle nostre menti: il cambiamento climatico sta distruggendo il nostro pianeta e minaccia di ucciderci tutti. E i toni sono decisamente apocalittici», scrive. È la descrizione piuttosto efficace del fenomeno che abbiamo imparato a conoscere come ecoansia.

Secondo Lomborg, «le conseguenze di questa paura sono reali. Ad esempio, c’è chi sta decidendo di non mettere al mondo dei figli. […] E i media rafforzano questa scelta; The Nation si domanda: “Come si può decidere di avere un bambino quando il cambiamento climatico sta riplasmando la vita sulla Terra?”. Se gli adulti sono molto preoccupati, i bambini sono spaventati a morte».

Net zero dell'Unione europea entro il 2050«Un sondaggio del 2019 condotto dal Washington Post ha constatato che, tra i ragazzi americani di età compresa tra i tredici e i diciassette anni, il 57 per cento ha paura del cambiamento climatico, il 52 per cento e arrabbiato e il 42 per cento si sente in colpa.

Uno studio accademico del 2012, condotto in tre scuole di Denver su minori di età compresa tra i dieci e i dodici anni, ha invece rilevato che, nel dichiarare i propri sentimenti riguardo all’ambiente, l’82 per cento degli intervistati ha espresso paura, rabbia e tristezza, mentre la maggioranza dei bambini condivideva opinioni apocalittiche sul futuro del pianeta.

E’ significativo che, per il 70 per cento dei minori, la televisione, i notiziari e i film siano stati fondamentali nel suscitare queste visioni cariche di terrore».

Ma ecco il punto: tutta questa paura è assolutamente inutile ai fini della salvaguardia del pianeta. Peggio: è dannosa.

Lomborg lo spiega a modo suo: «Per tutto questo tempo, ho continuato a ribadire che il cambio del clima è un problema reale. Contrariamente a quanto si sente dire, negli ultimi vent’anni le scoperte di base riguardo al clima sono rimaste notevolmente coerenti. Gli scienziati concordano sul fatto che il riscaldamento globale sia per lo più causato dall’uomo e non sono mutati di molto gli effetti da loro previsti sulla temperatura e sull’innalzamento del livello dei mari».

«La reazione politica alla realtà del cambiamento climatico è sempre stata viziata; e anche questo lo sto rimarcando da decenni. Ho affermato, e continuo a sostenerlo, che per affrontare il riscaldamento globale esistono modi più intelligenti rispetto al nostro approccio attuale. Tuttavia, negli ultimi anni la discussione attorno a me si è trasformata radicalmente. La retorica sul cambiamento climatico si è fatta sempre più estrema e meno ancorata alla scienza reale».

«Nelle ultime due decadi, i climatologi hanno faticosamente incrementato le conoscenze circa il cambiamento del clima e oggi disponiamo di dati più numerosi e affidabili che mai. Al tempo stesso, però, la retorica usata dagli opinionisti e dai media è diventata sempre più irrazionale». Difficile dissentire: in materia di clima la scienza ha decisamente lasciato il posto – almeno nel dibattito pubblico – a una sorta di pseudoreligione. Secondo Lomborg, tuttavia, «la scienza ci dimostra come i timori di un’apocalisse climatica siano infondati. Benché reale, il riscaldamento globale non è la fine del mondo. È un problema gestibile»

Detto da un ecologista non è poca cosa. Lomborg rimarca che «molti attivisti per il clima si spingono ben oltre quanto asserito dalla scienza e lasciano intendere, implicitamente o persino esplicitamente, che una simile esagerazione sia accettabile poiché si tratta di una causa davvero importante. Dopo che un rapporto sul clima pubblicato dalle Nazioni Unite nel 2019 aveva portato gli attivisti a fare delle affermazioni esagerate, uno degli scienziati che ne erano stati gli autori ha messo in guardia dal drammatizzare».

«Questi aveva infatti scritto: ”Se si usano discorsi estremisti non accuratamente supportati dalla scienza, si corre il rischio di creare un distacco da parte dell’opinione pubblica”. E ha ragione. Tuttavia, gli effetti prodotti dalle affermazioni esagerate sul clima si spingono ben oltre. Ci viene detto che dobbiamo fare tutto e subito. La vulgata comune, ripetuta ad nauseam dai media, e che c’è tempo solo fino al 2030 per risolvere il problema del cambiamento climatico. È ciò che ci dice la scienza! Non è però la scienza ad affermarlo. A dircelo è piuttosto la politica».

Una politica che, troppo spesso, usa il clima in cambiamento come una utilissima copertura delle proprie carenze.

Lomborg pensa soprattutto agli Usa, ma alcuni passaggi del suo libro ci toccano direttamente. Ad esempio quello in cui scrive che «se il nostro intento è quello di aiutare gli abitanti delle piane alluvionali del Mississippi a ridurre il rischio di inondazioni, esistono altre politiche in grado di dare un contributo maggiore, più rapido, economico ed efficace di quanto possa fare la riduzione delle emissioni di diossido di carbonio. Tra queste vi potrebbero essere una migliore gestione delle acque, la costruzione di dighe più alte e l’adozione di regolamenti più severi che consentano ad alcune pianure alluvionali di allagarsi così da evitare o ridurre il rischio che le inondazioni si verifichino altrove».

Vi ricorda qualcosa? No, non tutti i disastri dipendono dal riscaldamento globale. E no, non siamo destinati all’estinzione, almeno non nel brevissimo periodo. «Nel complesso, il cambiamento climatico avrà un impatto negativo sul mondo», scrive Lomborg, «ma non sarà nulla rispetto a tutti i miglioramenti positivi che abbiamo ottenuto finora e che continueremo a conseguire nel presente secolo».

«Le migliori ricerche odierne indicano che, se non attueremo nessuna mitigazione, entro la fine del secolo il costo del cambiamento climatico ammonterà a circa il 3,6 per cento del Pil globale. Ciò include tutti gli effetti negativi: non solo l’aumento dei costi dovuti alle tempeste più forti, ma anche quelli per l’aumento dei decessi causati dalle ondate di calore, nonché la perdita delle zone paludose per l’innalzamento del livello dei mari. Ciò significa che i redditi, anziché crescere del 450 per cento entro il 2100, potrebbero salire solamente del 434 per cento. Si tratta chiaramente di un problema, ma e altrettanto evidente che non siamo difronte a una catastrofe. […] Sono queste le informazioni che dovremmo trasmettere ai nostri figli».

Purtroppo, prosegue l’ambientalista scettico, «poiché siamo convinti che il mutamento del clima sia una sfida molto più grande di quanto non sia in realtà, molti Paesi spendono sempre più denaro per contrastarlo e lo fanno in maniera sempre meno sensata. I dati dimostrano che ogni anno, a livello globale, per il cambiamento climatico vengono spesi oltre 400 miliardi di dollari, attraverso investimenti in energie rinnovabili, sussidi e perdita di crescita.

Quasi sicuramente, i costi continueranno ad aumentare. Con i suoi 194 firmatari, l’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico del 2015, il patto più dispendioso mai siglato nella storia dell’uma nità dovrebbe comportare dei costi pari a circa 1000-2000 miliardi di dollari all’anno entro il 2030.

E giacché un numero sempre maggiore di nazioni promette di raggiungere entro i prossimi decenni la neutralità dal punto di vista delle emissioni di carbonio, negli anni a venire questi costi potrebbero lievitare fino a decine di migliaia di miliardi di dollari all’anno». Ecco il punto: per evitare una catastrofe immaginaria provochiamo altri disastri più reali e concreti, impoverendo milioni di persone. Senza che questo serva a proteggere la natura.

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