Le famiglie che salvarono i “matti” dall’utopia basagliana

La Nuova Bussola quotidiana

2 Maggio 2018

A 40 anni dalla legge Basaglia che chiuse i manicomi, la figlia dello psichiatra veneziano difende la 180 paragonandola alla legge sull’aborto e il divorzio. Ma è una lettura marxista. Certo, giusto aver chiuso quei luoghi terribili di contenimento, ma la mancata applicazione della legge scaricò i malati mentali sulle famiglie. Una provvida sventura: è stato un dramma vero, ma solo in famiglia i “matti”, ricevendo amore, hanno potuto acquisire lo status di persona che nelle strutture “basagliane” avrebbero perso per diventare soltanto individui di una società che non erano pronti ad affrontare.

di Andrea Zambrano

In occasione dei prossimi 40 anni della legge Basaglia (entrò in vigore il 13 maggio 1978) che ha chiuso i manicomi italiani, la figlia dello psichiatra veneziano che porta il nome della legge 180 ha raccontato al Corriere della Sera dell’importanza di quella legge. C’è un passaggio, nell’intervista di Francesco Battistini ad Alberta Basaglia che mostra il carattere ideologico di quella norma assurta a rivoluzione copernicana nell’ambito della cura delle malattie mentali. “Quella legge è stata come il divorzio, l’aborto, le riforme dell’epoca: ha reso chiaro che non tutti siamo uguali, ma che tutti dobbiamo avere le stesse libertà. La diversità è parte della vita e i diversi hanno diritto alla nostra stessa vita”.

Le parole della figlia di Basaglia non possono essere condivisibili, soprattutto perché è impossibile oltre che sbagliato paragonare la legge 180, che tra tanti difetti ha comunque avuto il merito di chiudere i manicomi che erano luoghi di contenimento e non di cura davvero terribili, con due leggi che hanno invece in un errato concetto di libertà il loro portato ideologico più devastante, con infiniti danni derivati alle famiglie e alle vite umane coinvolte.

Ecco perché legare queste leggi è sbagliato, ma in fondo, considerata l’estrazione marxista di Basaglia, è coerente il ragionamento che viene fatto: così come l’aborto ha liberato il corpo della donna, la legge 180 ha liberato il matto che poteva così vivere una vita sociale piena e normale. In entrambi i casi si tratta di utopie, che la storia recente si è incaricata di smentire.

Anche la legge Basaglia in fondo è un’utopia. Come la mancata creazione degli appartamenti per l’accoglienza dimostra. La legge di Basaglia infatti chiudeva sì i manicomi, e in Italia all’epoca ce n’erano rimasti molti pochi, fatiscenti e con una impossibile attenzione alla persona umana. Luoghi tetri, che ancora dopo decenni i malati mentali e i loro famigliari ricordano come veri e propri gironi danteschi della follia.

Però avrebbe dovuto creare diverse forme di assistenza che invece sono rimaste di fatto lettera morta in tutti questi anni. La stessa Alberta Basaglia le elenca: assistenza h 24, i servizi, gli appartamenti per l’accoglienza dei malati. In sostanza il malato mentale, lasciato il manicomio sarebbe stato ospitato all’interno di micro strutture protette supportate dalle Asl e dalle Regioni e lì vivere, in alcuni casi anche con lo svolgimento di lavoretti socialmente utili, il loro ingresso in società.

Franco Basaglia

“Dov’è stata ben applicata, a Trieste o in Emilia, ha funzionato”. In realtà, almeno per l’Emilia questo non è affatto accaduto pienamente. Accanto a un eccellente sistema Asl medico-clinico e un inserimento sociale nel mondo del lavoro dignitoso, il grosso della riforma, cioè l’aspetto abitativo, negli anni successivi la Basaglia non venne mai realizzato.

Infatti, è ormai un triste e logoro refrain, ma purtroppo vero e l’intervistatore non fa mistero di nasconderlo che in realtà il peso di questa vacatio legis è ricaduto tutto sulle famiglie. Quelle famiglie che avevano dovuto fare i conti con la follia, le camicie di forza dei loro figli, le liti e le notti in bianco, si sono ritrovate di punto in bianco a dover gestire in casa il proprio famigliare ancora malato e ancora più solo di come lo avevano lasciato.

E’ stata una stagione dolorosa che dura ancora per molte famiglie italiane e che solo oggi, a 40 anni di distanza sembra vedere forme collaborative diverse e finalmente complete come dimostrano diversi casi sparsi per l’Italia. Ecco perché in fondo il ragionamento di Alberta Basaglia, pur sbagliato nel suo impianto ideologico, è coerente: anche la 180 ha colpito le famiglie, esattamente come le leggi sul divorzio e sull’aborto, le ha colpite perché si sono sobbarcate l’onere di una legge incompleta che ha scaricato su di loro il peso terribile di questo compito.

Un dramma, un dramma vero, un dramma per tutti, che ha messo alla prova quei padri e quelle madri che hanno convissuto ogni giorno con l’inadempienza dello Stato. Ma anche tanta salvezza. Sì, salvezza. Perché la follia non può essere affrontata in maniera dicotomica: di qua l’orrore dei manicomi e di là la “speranza” utopistica basagliana di una società che, finalmente buona, avrebbe integrato quei fratelli sfortunati. In mezzo c’era l’unico corpo intermedio che, pur non essendo indicato dalla legge, ha salvato la situazione. Consentendo ai malati mentali di uscire dalle camicie di forza, ma preservandoli da una società che sarebbe stata troppo aggressiva o ostile per la loro fragile personalità.

Sono state le famiglie, con il loro calore, con il loro amore, a considerare per la prima volta i matti come persone. Persone umane. Non potevano essere considerate persone nei ghetti manicomiali, mentre nelle strutture previste dalla legge Basaglia sarebbero stati soltanto individui. Le famiglie hanno salvato i matti dando loro, nel dolore, nel sacrificio e nel pianto, un concetto di persona che difficilmente avrebbero ottenuto.

Contemporaneamente anche Repubblica ieri ha fatto un servizio sull’anniversario con un titolo sbagliato: “Quando i matti diventarono cittadini”. Un titolo che porta avanti ancora una visione comunista della storia e dell’uomo. In realtà i malati mentali non avevano e non hanno bisogno oggi di uno status da cittadino, ma hanno bisogno che venga riconosciuto loro uno status di persona da amare.

La legge Basaglia, utopistica e incompleta questo non lo ha fatto. Lo hanno fatto le famiglie. Le stesse famiglie sulle quali è ricaduta l’utopia basagliana, tutta incentrata nella consolatoria e comunista pretesa che fosse la società a farsi carico di malati mentali, la società che secondo loro aveva creato il problema, la società che doveva risolverlo.

In realtà gli schizofrenici sono andati avanti per anni a psicofarmaci e per fortuna. L’unico calore umano non l’hanno ricevuto da fantomatiche strutture sociali e di servizi, ma dalle famiglie e da quel poco di relazioni umane che le famiglie, con i servizi Asl dedicati riuscivano a stabilire. Quelle famiglie che erano ancora cattoliche nel 1978 e che leggi come la 180 e stando alla figlia di Basaglia anche la 194 e la legge sul divorzio, si incaricavano in quegli anni di distruggere.

Le famiglie da distruggere, ancora una volta si fecero carico del problema dimostrando il loro valore. E’ stata una sussidiarietà forzata e non voluta, ma alla prova dei fatti, provvidenziale. Una provvida sventura.

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