da Libertà e Persona 14 Settembre 2018
di Marco Luscia
Cosa ha reso irrilevante il cristianesimo oggi? La perdita della solenne liturgia, di un rituale condiviso, dello spazio del mistero, del soprannaturale inteso come altro, rispetto alla semplice natura.
La Chiesa travolta dai processi di laicizzazione, ha cercato il mondo nel tentativo di riaccreditarsi, ha disposto che il messaggio di Cristo si riducesse ad impegno sociale, ha creduto che il regno di Dio, annunciato da Gesù, potesse prendere il via attraverso la trasformazione delle strutture, fidando più nel fare che non nell’adorare.
In tal modo la prassi ecclesiale ha finito per adeguarsi a categorie sociologiche perlopiù di derivazione marxista e inevitabilmente l’illusorio ottimismo è stato eroso da un pessimismo esistenziale rancoroso.
Questa contiguità con la visione ateistica tipica del materialismo storico, ha richiesto adeguamenti. In primis l’attenuazione progressiva di ogni residuo soprannaturale, nonché la riduzione dei sacramenti ad una pura formalità, in fondo neppure necessaria. Ridotto Dio alla pura dimensione dell’amore, un amore che tutto consente e perdona, un amore sentimentale, un amore senza nerbo, accogliente, lontanissimo dall’idea di sacrifico in breve è venuta meno la fondatezza di ogni morale, presentata come rigorismo privo di carità.
Ogni uomo si è sentito in tal modo giustificato, in diritto di rivendicare la felicità, la realizzazione mondana, il benessere. Ogni orizzonte Ulteriore è parso inutile, un differimento nel tempo di quei diritti che vanno realizzati oggi. Con la perdita di forza della carica utopica che pur era presente nell’ideologia marxista, la vita umana si è ridotta a prassi, calcolo, competitività. Il trionfo del materialismo consumistico.
Non pochi biblisti, di fatto in linea con questa visione tutta terrena, hanno svolto il ruolo di teste di ponte dentro il cuore della Chiesa, con il fine di ridurre il Cristo alla mera figura di un uomo ispirato, scelto da Dio per manifestarne la Sua volontà; solerti teologi hanno completato il lavoro a sostegno di questa scellerata tesi, argomentando abilmente, ma di fatto rinunciando ad una sistematica elaborazione del dogma e del magistero scivolato nel passato e sostituiti da sentimentalismi di tipo esistenzialistico.
I più avveduti non dicono esplicitamente, i più temerari sfidano spudoratamente il magistero, che per evitare rogne, tace. Penso a Mancuso, Enzo Bianchi, Maggi, Grillo, personaggi che della Chiesa non sanno che farsene.
Ma quando la Chiesa rinuncia a tenere alto, direi altissimo, il tema del soprannaturale, quando la Chiesa pronuncia la parola peccato sottovoce, quando la Chiesa non annuncia Cristo quale Dio incarnato, o banalizza la potenza del miracolo sottacendo tutte le manifestazioni del soprannaturale; essa nega se stessa in ciò che le è più proprio. Per conseguenza il problema del male si presenta come insolubile; ed è così ovvio, perché accanto alla negazione del miracolo vien negato il sacrificio di Cristo, il dolore di Cristo, il sangue di Cristo.
In tal modo tutto perde di significato, persino la preghiera. Senza questa precisa idea di redenzione di espiazione, l’uomo diventa troppo umano, si trasforma in un mistero insolubile, in un nodo di contraddizioni. E la parola consolante di Dio si fa afona, inverosimile; la salvezza non riposa nelle strutture, nell’organizzazione; quante volte lo ha ripetuto Ratzinger. Confondere Dio con il mondo, fare dell’incarnazione la negazione della distinzioni dei due piani, cioè natura e soprannaturale, significa giustificare il male, renderlo parte della creazione. Ma a questo punto che mondo avrebbe creato Dio?
I “ nuovi sapienti” non possono rispondere, perché tra le altre cose negano il peccato originale. Non resta loro che l’impegno sociale, l’ecumenismo di facciata, la comoda poltrona televisiva, il verbo nefasto del loro irrazionale nichilismo.