di Gustave Thibon
Tanto orrore susciterebbe distruggere la libertà dove Dio l’ha messa quanto introdurla dove non è, dice Pascal. Questa formula riunisce e stigmatizza i due attentati con cui i tiranni (confessi o camuffati) minacciano la vera libertà dei popoli: l’oppressione e la corruzione, la distruzione per atrofia e la distruzione per ipertrofia.
All’ideale della libertà si immolano i quadri organici della natura. Si dice all’agnello: sei libero di essere o di non essere erbivoro. Poiché a questo, in fondo, vengono ricondotte istituzioni che alimentano nel cervello di tutti gli uomini l’illusione di essere sovrani, uguali a chiunque, e di risolvere netto con la loro scheda di voto i problemi più estranei alla loro competenza.
Ma stiracchiare e dilatare così la libertà è anche il modo più sicuro (e il più perfido) di sopprimerla. Di un bene di cui si abusa si perde la stessa capacità di usare. Chi vuole correr troppo oggi, non potrà più camminare domani.
Dopo aver permesso al suo desiderio di pascersi fra gli alimenti carnei, l’erbivoro corrotto non sa più scegliere sanamente fra le piante che lo circondano; – l’uomo del popolo, infarcito di “idee generali” e di ambizioni grottesche, perde la saggezza specifica del suo ambiente sociale e professionale.
Fuori dal suo ordine non è libero: ha solo l’illusione della libertà, ma in realtà è spinto da moti senza senso o da passioni malsane, e la sua sovranità universale si risolve in fumo e in commedia. Ma il più grave, il più terribile è il suo non esser libero neppure nel suo stesso ordine. Nulla più di un certo mito della libertà ha. contribuito a distruggere, nell’anima delle masse, la vera libertà e la vera saggezza.
Possiamo modificare così le parole di Pascal: volendo mettere la libertà dove non è, la si distrugge dove Dio l’ha messa. L’uomo che non accetta di essere relativamente libero sarà assolutamente schiavo.