Il Giornale.it, 16 Febbraio 2015
Cresce senza sosta l’influenza cinese sulla nostra economia: come i nuovi “signori del 2%” comandano in Eni, Ansaldo, Mediobanca e Generali. E in futuro il trend non si invertirà di certo
“La Cina è vicina” era il titolo di un celebre libro del 1957 di Enrico Emmanuelli in cui si descrivevano storia e prospettive dell’ex Celeste Impero allora sotto la guida di Mao Zedong. Oggi la locuzione è tornata più attuale che mai, ma con una lieve differenza. Che per parlare di Cina non è più necessario andare in Estremo Oriente, ma basta guardare alle cose di casa nostra.
Il dragone cinese allunga i suoi artigli verso l’Italia e l’economia nazionale ne porta già i segni. Come ricostruisce Sergio Bocconi per il Corriere Economia, gli ultimi cinque anni hanno visto investimenti cinesi nel nostro Paese per ben dieci miliardi. Con un trend in continua crescita: dai 14 milioni di controvalore delle tre operazioni di acquisizione del 2010, ai 210 del 2012. Nel 2013 l’investimento complessivo è schizzato a 3,2 miliardi, per toccare il record nell’anno passato, quando si sono registrate 13 operazioni per un controvalore di 4,9 miliardi. Secondo i numeri forniti da Kpmg, l’anno scorso sul totale dei controvalori dell’attività estero su Italia, le acquisizioni cinesi hanno rappresentato ben il 27%.
Ma al salito quantitativo si accompagna anche una “strategia” di acquisto molto precisa che cambia nel tempo. Se fino ad ora “l’interesse di Pechino era rivolto a piccole aziende industriali con tagli d’investimento difficilmente superiori ai 100 milioni, negli ultimi anni hanno cominciato a muoversi operatori cinesi sempre più grandi, industriali e fondi sovrani, che hanno effettuato acquisti in precedenza riservati a mercati come Gran Bretagna e Usa”, spiega Max Fiani, autore del report Kpmg.
Sono i cosiddetti “signori del 2%“, che raccolgono partecipazioni in società strategiche quotate a Piazza Affari. Industria e Finanza, Eni ed Enel ma anche Telecom e Mediobanca. Non hanno più paura di sfondare la soglia del 2%, oltre cui diventa obbligatorio rendere noto l’acquisto di quote delle imprese italiane: a confermarlo è lo stesso governatore della Banca popolare cinese, Zhou Xiaochuan. E le stime che valutano in 3-4 miliardi gli investimenti della sola Banca popolare cinese non tengono quindi conto di tutto quello che non è “emerso”. Tra gli acquisti che superano il 2%, invece, ci sono quote di Fiat-Chrysler, Prysmian, Generali, Mediobanca, Saipem e Terna.
Ma la Banca popolare cinese non è sola: in estate Shanghai electric aveva acquistato il 40% di Ansaldo energia versando 400 milioni al Fondo strategico italiano. L’anno precedente, nel 2013, China National Petroleum aveva rilevato per 3,3 miliardi il 30% di Eni east Africa. A ottobre Renzi e il suo omologo cinese Li Kequiang hanno sottoscritto 20 accordi per 8 miliardi.
Infine, ci sono le prime aperture dei quartier generali internazionali in Italia, come è avvenuto per il gruppo d’abbigliamento Jihua. Tutti segni della crescente attenzione cinese per il Belpaese, peraltro in un momento non troppo favorevole per la moneta unica. Per il prossimo futuro è quasi certo che il trend non si invertirà, ma anzi continuerà sugli stessi binari.