Cardinale Van Thuân
Newsletter n.542 del 21 ottobre 2014
Dr. Ermanno Pavesi
Segretario generale della FIAMC
Federazione Internazionale Associazioni Mediche Cattoliche
Negli ultimi decenni si è affermato il concetto di neuroscienze per indicare un approccio interdisciplinare allo studio dell’attività psichica umana che integra discipline differenti come neurologia, neurofisiologia, informatica, filosofia della mente, linguistica, psicologia ecc. Il termine neuroscienze manifesta il proposito di ricondurre anche le discipline più umanistiche, come la psicologia e la filosofia, a una base organica, cioè al sistema nervoso centrale, e di attribuire a queste conoscenze e teorie il carattere di scienza e quindi di sapere certo e indiscutibile.
Certamente, conoscenze scientifiche, se sono veramente tali, devono essere accettate, ma è anche necessario precisare la loro portata effettiva onde evitare ingiustificate generalizzazioni. Si deve tenere conto del fatto che una conoscenza scientifica descrive solo un aspetto limitato della realtà e che i ricercatori partono da un’ipotesi di lavoro, cioè con la loro ricerca intendono dimostrare una teoria precisa. Il tentativo di costruire un quadro della realtà a partire da tali conoscenze frammentarie può portare a teorie prive di fondamento.
Nella Esortazione apostolica Evangelii Gaudium Papa Francesco afferma: “Quando il progresso delle scienze, mantenendosi con rigore accademico nel campo del loro specifico oggetto, rende evidente una determinata conclusione che la ragione non può negare, la fede non la contraddice. Tanto meno i credenti possono pretendere che un’opinione scientifica a loro gradita, e che non è stata neppure sufficientemente comprovata, acquisisca il peso di un dogma di fede. Però, in alcune occasioni, alcuni scienziati vanno oltre l’oggetto formale della loro disciplina e si sbilanciano con affermazioni o conclusioni che eccedono il campo propriamente scientifico. In tal caso, non è la ragione ciò che si propone, ma una determinata ideologia, che chiude la strada ad un dialogo autentico, pacifico e fruttuoso” (N. 243).
Non tutte le tesi formulate da scienziati possono essere considerate automaticamente come “scientifiche”, proprio perché singole osservazioni sono utilizzate per dimostrare la giustezza di ipotesi di lavoro di natura ideologica. In un’omelia del 12 settembre 2006 Papa Benedetto XVI affermava: “Fin dall’illuminismo, almeno una parte della scienza s’impegna con solerzia a cercare una spiegazione del mondo, in cui Dio diventi superfluo. E così Egli dovrebbe diventare inutile anche per la nostra vita”.
Frequentemente la Chiesa, e con essa intellettuali cattolici, è stata accusata in passato di essere ostile alla scienza e al progresso per il suo atteggiamento critico nei confronti di teorie scientifiche dominanti, ma raramente si prende in considerazione se tali teorie sono ancora considerate scientifiche, oppure se sono coperte da un velo di pietoso silenzio. Si può ad esempio ricordare che mentre il Cristianesimo fin dall’inizio ha combattuto l’astrologia, ancora agli inizi dell’epoca moderna la scienza ufficiale sosteneva che epidemie, per esempio di peste o di sifilide, erano determinate da congiunzioni astrali sfavorevoli!
Esponenti della filosofia della mente cercano di fondare una visione dell’uomo basandosi su esperimenti mentali fantasiosi, discutendo, per esempio, se marziani possono avere una conoscenza della realtà uguale a quella dell’uomo. In un libro pubblicato dal Massachusetts Institute of Technology Daniel C. Dennett sostiene: «Non vi sono, inoltre, neanche buone ragioni per sostenere che vi sia qualcosa di significativo che sappiamo (o sapete) attraverso la coscienza che è completamente inaccessibile alla comprensione degli scienziati marziani, per quanto differenti siano da noi» [1].
Resta un mistero da dove Dennett ha ricavato le sue conoscenze sui marziani. Ritiene, poi, che a esseri antropoidi in tutto e per tutto uguali agli uomini ma privi della coscienza, definiti zombie, dovrebbe essere attribuita una percezione della realtà simile a quella umana, altrimenti «[…] la vita degli zombie non è degna di essere vissuta. Lo capite bene» [2]. In altri termini le nostre concezioni sull’attività psichica umana dovrebbero essere formulate in modo politicamente corretto per non discriminare i poveri zombie in nome della particolarità della coscienza umana.
John R. Searle, Professore all’università di Berkeley, ha esaminato il fenomeno del bere per dimostrare che il comportamento umano non è differente da quello animale, ma esclude a priori gli aspetti tipicamente umani del bere: «Abbiamo riportato il problema su un piano concreto, riformulandolo nei termini di come sia possibile, per esempio, che un animale avverta sete, fame o paura» [3]. Searle riconosce pure che: «Volendo cambiare leggermente l’esempio, di modo che non si tratti di sete in generale, ma di sete di un bicchiere di birra scura irlandese, o di Chateau Lafitte del 1953, la storia diventerà molto complicata» [4].
Si tratta di un esempio tipico di riduzionismo: studiando un fenomeno si escludono a priori tutti gli elementi tipicamente umani per arrivare alla conclusione che quanto rimane non ha più niente di umano ed è simile al comportamento animale! Lo stesso Searle si serve per le sue dimostrazioni di false ipotesi: «[…] immaginiamo che tutte le mie capacità mentali siano ugualmente realizzate in ogni emisfero del mio cervello. Immaginiamo ora un caso di bisezione del cervello per cui i miei due emisferi vengono trapiantati in due corpi diversi. […] Quale dei due personaggi risultanti, se così posso esprimermi, sono io? » [5].
Le funzioni psichiche non sono localizzate simmetricamente nel cervello, per questo è assurdo partire da ipotesi false. Searle ritiene anche che «è facile immaginare mondi fantascientifici » [6] in cui persone incontrandosi per strade si fondono in una sola, o che una persona può essere divisa in differenti individui simili. Queste ipotesi fantascientifiche, come pure le elucubrazioni su marziani e zombie, vengono utilizzate per mettere in dubbio la concezione, fondamentale per il Cristianesimo, dell’uomo come persona.
Purtroppo media e divulgazione scientifica presentano le teorie riguardo all’uomo elaborate da questi autori come certezze scientifiche avvalorate dai loro titoli accademici, ma non riportano gli argomenti che dovrebbero fondarle, e possono mettere in crisi i fedeli. Nell’omelia citata Papa Benedetto si chiedeva: “Noi crediamo in Dio. Questa è la nostra decisione di fondo. Ma ora di nuovo la domanda: questo è possibile ancora oggi? È una cosa ragionevole?”. È necessario quindi distinguere conoscenze veramente scientifiche da ipotesi fantasiose e riconoscere che la scienza non è in grado di dare risposte alle domande fondamentali dell’esistenza, e che la dimensione più profonda della realtà, l’ordine delle cose, sfugge all’esame della ragione che, umilmente, deve riconoscere i propri limiti e accettare il contributo della fede.
Nell’Enciclica Lumen fidei papa Francesco afferma “D’altra parte, la luce della fede, in quanto unita alla verità dell’amore, non è aliena al mondo materiale, perché l’amore si vive sempre in corpo e anima; la luce della fede è luce incarnata, che procede dalla vita luminosa di Gesù. Essa illumina anche la materia, confida nel suo ordine, conosce che in essa si apre un cammino di armonia e di comprensione sempre più ampio. Lo sguardo della scienza riceve così un beneficio dalla fede: questa invita lo scienziato a rimanere aperto alla realtà, in tutta la sua ricchezza inesauribile. La fede risveglia il senso critico, in quanto impedisce alla ricerca di essere soddisfatta nelle sue formule e la aiuta a capire che la natura è sempre più grande. Invitando alla meraviglia davanti al mistero del creato, la fede allarga gli orizzonti della ragione per illuminare meglio il mondo che si schiude agli studi della scienza” (N.34).
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[1] Daniel C. Dennett, Sweet Dreams. Illusioni filosofiche sulla coscienza, trad. it., Cortina, Milano 2006, p. 27.
[2] Ibid., p. 85.
[3] John R. Searle, La mente, trad. it, Raffaello Cortina, Milano 2005, p. 171.
[4] Ibid., p. 170.
[5] Ibid., p. 251.
[6] Ibid., pp. 251-252.