Il Giornale.it 15 ottobre 2014
L’attore nel film “Cristiada” racconta l’oppressione dei cattolici nel Paese latinoamericano negli anni ’20, sotto il presidente Calles
di Carlo Bizio
da Los Angeles _ Una pagina storica del Messico poco conosciuta, sfuggita perfino a Pino Cacucci, massimo storico degli ultimi 100 anni di quel paese: la brutale Guerra Cristiana, o guerra de los Cristeros, che afflisse il Messico tra il 1926 al 1929. Ora narrata nel film Cristiada , la produzione in lingua inglese più costosa mai girata in Messico, diretta da Dean Wright, con Andy Garcia, Eva Longoria, Catalina Sandino Moreno e Ruben Blades. Il film (del 2012) esce oggi in Italia, e farà sicuramente discutere.
Garcia interpreta il ruolo del Generale Enrique Gorostieta Velarde, un pluri-decorato stratega dell’esercito messicano richiamato dal pensionamento per condurre le truppe ribelli cristiane contro la persecuzione religiosa. Garcia è bravissimo a evocare l’intensità dell’uomo Gorostieta e l’onestà morale mentre coordina le sue truppe di straccioni sparpagliati sul territorio, e capisce che la libertà non è solo una parola scritta per politici o protocolli. Dobbiamo difenderla, a costo di morire. Nessuno meglio di Garcia potrebbe proferire queste parole con la sua voce tonante.
Ne parliamo con Garcia in gran forma a 58 anni, dalla sua casa di Los Angeles, dove vive dalla metà degli anni ’80, via Miami, dopo la breve infanzia a Cuba. E sempre in prima linea per la libertà dell’isola natale.
Andy, cosa successe in Messico negli anni ’20? E perché ne sappiamo così poco?
«Nel 1926 venne promulgata dal regime del Presidente Plutarco Elias Calles la Legge Calles, che proibiva la pratica pubblica della fede Cattolica. Vennero confiscate chiese e parrocchie, membri del clero vennero arrestati e molti di loro giustiziati nel tentativo di eliminare l’espandersi di una fede religiosa che in quel momento veniva sentita come minaccia al regime. I cattolici messicani furono costretti alla clandestinità; celebravano le messe all’interno di caverne, nell’oscurità, terrorizzati dalla repressione di Stato».
Come mai sappiamo così poco di questa repressione?
«Forse perché la repressione religiosa viene quasi data per scontata nel corso della storia, come quella che tuttora vige a Cuba, in nome di un desueto comunismo. E pensare che la Guerra Cristera, o Cristiada, fece 90mila vittime, innocenti cittadini messicani la cui unica colpa era di essere cattolici. Peggio che nei paesi islamici».
Non intervennero altri paesi?
«Gorstieta si appellò all’ambasciatore degli Stati Uniti in Messico e implorò aiuti per porre fine alle atrocità del regime di Plutarco, con scarso successo. Fu un momento tremendo nella storia messicana. Il nostro film ricorda come poche siano le differenze tra paesi e culture e fasi storiche nel momento in cui si decide di attuare una repressione dettata dalla paranoia e dalla sete di potere, dalla manipolazione dell’opinione pubblica e dalla tirannia. Messico allora come Cuba oggi, come l’Iraq di Saddam, come la Corea del Nord, come L’Isis. È vero altresì che persino in Messico pochi sanno della guerriglia Cristiada. È come se avessero rimosso quel periodo dalla memoria collettiva».
Che fine fanno Gorostieta e i suoi guerriglieri Cristeros?
«Miseramente armati e in inferiorità numerica, i Cristeros inflissero ripetute sconfitte all’esercito di Calles. Il quale ricorse all’inganno diplomatico, promettendo la restaurazione delle libertà religiose. Centinaia di Cristeros accettarono l’amnistia e deposero le armi: vennero presi, torturati e uccisi. La Casa Bianca non fece nulla, fu una vergogna. Il Governo Usa si allineò a un brutale dittatore, come spesso ha fatto nel corso della storia delle sue balorde relazioni con le dittature ispano-americane. Sebbene il Messico sia cattolico nella stragrande maggioranza, l’articolo 24 della Costituzione messicana, in vigore dal tempo di Calles, è tuttora parzialmente in vigore: è ancora oggi vietato pregare e insegnare religione nelle scuole pubbliche. È tuttora un argomento di appassionata discussione che divide».
Come vede il futuro della sua Cuba?
«Spero ovviamente nella libertà. Vedo alcuni segnali di apertura, ma ci vorrà ancora tempo perché Cuba sia libera ed io possa tornare serenamente e magari riprendere la proprietà che è stata di mio padre, bravissimo medico di Havana, la casa ruabataci da Fidel Castro. A Cuba non c’è nemmeno libertà di protesta o dissenso, come nella peggior Unione Sovietica, e nemmeno libertà di religione, oggi, nel 2014. Ma so che i cubani, a Cuba, non ne possono più e tutto questo finirà. La propaganda di regime è sempre più soppiantata dalla libertà di informazione consentita da Internet e i social network. La grande bugia di Stato è stata oramai smascherata.