Abstract: le prediche degli imam in Italia, che dalla moschea o sul web incitano all’odio e alla violenza col sostegno delle organizzazioni e di esponenti legati ai Fratelli Mussulmani. le prediche si scagliano contro gli ebrei, i cristiani, l’Occidente. Un fenomeno sul quale perfino il vaticano minimizza, nella cui città, Roma, si tengono prediche infuocate che eccitano gli animi dei mussulmani
Alla grande moschea di Roma
c’è un imam che invoca la guerra santa
Prediche incendiarie ai musulmani nella diocesi del papa. E non è un caso isolato. Le moschee sono in mano a islamisti radicali
di Sandro Magister
ROMA – In Vaticano minimizzano: «In fondo sono cose dette in una sola moschea italiana. E a dare eccessivo peso a un fatto locale si corre il rischio di compromettere il dialogo». Così ha commentato l’arcivescovo Michael L. Fitzgerald, presidente della commissione pontificia che si occupa dei rapporti con l’islam.
Ma la moschea è quella di Roma, la diocesi del papa, ed è la più grande d’Europa. Inaugurata nel 1995, fa capo al Centro islamico culturale d’Italia e ha il patrocinio dei governi arabi e in particolare dell’Arabia Saudita.
L’imam che ogni venerdì vi pronuncia la predica, la khutba, è stato mandato lì dai teologi dell’università Al Azhar del Cairo, la più autorevole di tutto il mondo islamico. E le cose dette non sono di poco conto.
La predica di venerdì 6 giugno 2003 culminava con queste invocazioni, intercalate dagli “amen” dei presenti: «O Allah, fai trionfare i combattenti islamici in Palestina, in Cecenia e altrove nel mondo! O Allah, distruggi le case dei nemici dell’islam! O Allah, aiutaci ad annientare i nemici dell’islam! O Allah, assicura ovunque la voce della nazione dell’islam!».
Ad ascoltare la predica nella moschea, pronunciata in arabo, c’era Magdi Allam, inviato del quotidiano “la Repubblica”, egiziano di nascita e autore di libri importanti sul mondo musulmano.
L’indomani, 7 giugno, brani della khutba sono apparsi sulla prima pagina di “la Repubblica”, assieme a una dichiarazione dell’imam, interrogato dallo stesso Allam, sui terroristi che si fanno esplodere per uccidere gli ebrei: «Dal punto di vista islamico non c’è alcun dubbio che le operazioni dei mujahidin contro gli ebrei in Palestina sono legittime. Sono operazioni di martirio e gli autori sono dei martiri dell’islam. Perché tutta la Palestina è un Dar al-Harb, territorio di guerra. Perché tutta la società ebrea occupa illegalmente una terra islamica».
L’imam della moschea di Roma è Abdel-Samie Mahmoud Ibrahim Moussa, 32 anni, egiziano. Non sa l’italiano e parla un arabo con l’inflessione del delta del Nilo.
Magdi Allam ha scritto, in un secondo servizio su “la Repubblica” dell’8 giugno: «Egli è il prodotto genuino di una cultura e di una ideologia che oggi è imperante in seno all’università islamica di Al Azhar, una sorta di Vaticano dell’islam sunnita. Ma non si tratta affatto di un caso isolato. Altri esponenti islamici in Italia, legati ai Fratelli Musulmani e alle correnti di pensiero radicali, hanno espresso comprensione e solidarietà all’imam di Roma. […] Il problema vero è l’occupazione della maggioranza delle moschee da parte di reti integraliste internazionali. […] Il precedente imam della grande moschea di Roma, lo sheikh Mahmoud Hammad Sheweita, temette per la propria incolumità fisica quando condannò gli attentati suicidi, mettendosi contro una parte dei fedeli di tendenze radicali. […] Se oggi la stampa è in grado di rivelare quanto accade all’interno delle moschee, ciò si deve principalmente a una riscossa interna al mondo musulmano italiano. Da più parti c’è insofferenza e disagio per le prediche oltranziste e per il dominio degli integralisti».
Oltre che alla guerra santa, l’imam Moussa ha dedicato la predica riportata da “la Repubblica” anche alla morale famigliare. Dicendo tra l’altro: «L’uomo religioso è geloso di sua moglie. Saad bin Ubaida ha detto: ‘Se io vedessi mia moglie con un altro uomo lo colpirei con il filo tagliente della mia spada’. E a questo proposito il profeta disse ai suoi compagni: ‘Siete stupiti del senso di onore di Saad? In nome di Dio io ho un senso di onore più forte del suo e Dio ha un senso dell’onore più grande del mio’».
Il Vaticano dialoga con diversi rappresentanti musulmani, firma messaggi congiunti di pace. Ma intanto cosa accade nelle moschee? Se le idee che animano le prediche del venerdì sono del tipo di quelle che si odono nella moschea di Roma, è giusto non darvi peso?
Alla Mecca, culla dell’islam, opera da qualche anno un sito web che seleziona il “meglio” dei sermoni nelle moschee e lo invia agli imam di tutto il mondo come guida alla predicazione. Stando a quanto il giovane imam egiziano della grande moschea di Roma dice sul pulpito, potrebbe essere anche lui uno dei destinatari di questo servizio.
Perché le idee sono identiche: dall’apologia del delitto d’onore all’incitamento alla guerra santa contro gli ebrei, i cristiani, l’Occidente. Leggere per credere:
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Da “L’Espresso” n. 48 del 21-28 novembre 2002, titolo originale “Trincea moschea”
Alla Mecca un venerdì mezzogiorno. Ad ascoltare la predica modello
Dalla città del Profeta, un sito web seleziona il meglio dei sermoni nelle moschee e lo invia agli imam di tutto il mondo come guida per la predicazione. Contro gli ebrei, i cristiani, l’Occidente. Da non perdere
di Sandro Magister
La maratona islamica dell’imam Wajdi Hamzah Al Ghazzawi è cominciata tre anni fa con partenza dalla Mecca. «Ho visitato i più celebri imam di tutto il mondo e ho illustrato loro la mia proposta. Alcuni li ho trovati entusiasti. E questi sono i risultati: tremila imam di 62 nazioni visitano ogni settimana il mio sito web in arabo. Con la versione inglese conto di raddoppiare».
L’ha chiamato Al-Minbar il nuovo sito, parola che in arabo vuol dire pulpito di moschea. È il pulpito dal quale ogni venerdì a mezzogiorno, in tutto il mondo, gli imam pronunciano la khutbah, il discorso che orienta la vita e la mente di un miliardo di musulmani.
Al Ghazzawi ne ha raccolti a migliaia di questi discorsi del venerdì, li ha fatti vagliare da otto teologi di prim’ordine, sauditi come lui, e ora man mano li mette in rete: «Come modelli di giusta predicazione. Per tutti gli imam che hanno necessità di elevare la qualità e la profondità dei loro discorsi».
Ma non solo gli imam. Grazie ad Al Ghazzawi e ai suoi dottori del Corano, chiunque può oggi penetrare in questo mondo sino a ieri sconosciuto o precluso. Anche se infedele. Da una moschea all’altra in un viaggio virtuale: da Gerusalemme a Medina fino all’inviolabile Mecca.
Con a portata di mouse, e per la prima volta svelato, il top della predicazione musulmana secondo i canoni del wahhabismo saudita, la corrente superortodossa, il cui controllo sulle moschee di tutto il mondo è sempre più pressante.
I mistici non s’illudano. La khutbah del venerdì non è mai rarefatta e spirituale. Le moschee sono luogo politico per eccellenza. Da lì sono partite tutte le rivoluzioni. È lì che si proclama lo jihad, la guerra santa.
Nel mondo arabo, quasi sempre chi pronuncia la khutbah è autorizzato dallo Stato. E il suo testo è vidimato. Dalla Mecca, un sito come Al-Minbar non può nascere e vivere senza l’imprinting della monarchia dell’Arabia Saudita.
E allora non sorprende che Al-Minbar abbia una sezione speciale sulla Palestina. Con raccolti i discorsi modello sul tema. Tutti graniticamente concordi nell’elevare a dogma l’odio contro gli ebrei, nell’esaltare il «martirio» dei terroristi suicidi, nello sconfessare qualsiasi accordo negoziale, nel predicare come unica soluzione finale la cancellazione di Israele.
GLI EBREI
In alcune khutbah, Israele e gli ebrei non sono nemmeno chiamati per nome. Sono «l’entità criminale», sono «la nazione di porci e scimmie». L’odio e l’inimicizia nei loro confronti sono predicati con la forza di un imperativo teologico «a gloria di Allah». Sono «malvagi e traditori da sempre» e meritano solo guerra.
Ma non una guerra qualsiasi, come vorrebbero «i nazionalisti che combattono per la terra, gli oliveti, gli aranci e i cocomeri». «Il divino comando è per una guerra religiosa, combattuta per null’altro se non per i principi dell’islam».
Di ogni khutbah, Al-Minbar dà il nome dell’imam che l’ha pronunciata. E del luogo. Le più autorevoli sono quelle delle tre città sacre, nell’ordine La Mecca, Medina e Gerusalemme, e delle moschee prime per antichità: della Kaaba alla Mecca e di Al Aqsa a Gerusalemme, sopra la città vecchia.
Il sacro primato di questi luoghi è richiamato di continuo ed è esso stesso un messaggio politico.
Lo Stato d’Israele è definito inaccettabile per principio: ricade in quella terra sacra «che ha uno statuto speciale tra le terre musulmane e che oggi comprende la Palestina, la Siria, il Libano, la Giordania, e parti dell’Arabia Saudita e dell’Iraq».
Il falso antisemita intitolato “Protocolli dei savi di Sion”, dato per autentico, viene citato a prova del disegno ebraico d’impadronirsi del mondo.
In combutta con la massoneria, ma più ancora «con le benedizioni dei cristiani e dell’Occidente», nonché delle Nazioni Unite e di quei «musulmani solo di nome, ciechi» che confidano nei processi di pace israelo-palestinesi senza vedere che essi sono «soltanto una variante del piano sionista di dominio universale».
Tutto congiura contro le nazioni islamiche, sotto ogni cielo: «le repubbliche musulmane dell’ex Unione Sovietica possedevano le armi nucleari, ma l’Occidente gliele ha strappate per darle ai cristiani ortodossi russi».
Tutta la lode va invece ai «martiri» musulmani, ovvero ai terroristi suicidi, mai però designati così. Sono loro i «benedetti», mentre «veri terroristi» sono definiti gli ebrei. Il loro martirio «è il miglior sentiero per il paradiso». Là ciascuno di essi, «come dice il Profeta, avrà settantadue fanciulle e potrà intercedere per settanta suoi famigliari che altrimenti sarebbero destinati all’inferno».
L’OCCIDENTE
Questo nell’aldilà. Perché su questa terra c’è già l’inferno degli infedeli. Le loro conferenze internazionali per il controllo demografico sono «propagazione di licenziosità, sodomia, matrimonio di gay e lesbiche». Tutto per distruggere «la vera minaccia che li atterrisce: la crescita di popolazione dei paesi musulmani, l’islamizzazione del mondo».
Numerosi discorsi del venerdì prendono di mira l’allentamento dei costumi in casa islamica: le donne che non si coprono come dovrebbero; che si mescolano in pubblico al sesso maschile; che rinviano l’età del matrimonio; i giovani che tirano tardi la notte; le famiglie che vanno in vacanza nelle nazioni infedeli; tutti che si lasciano incantare dagli spettacoli televisivi via satellite.
E poi le gare sportive internazionali: diseducative perché «sradicano il naturale odio dei musulmani contro i miscredenti».
E poi le feste importate: il pesce d’aprile «inventato in Spagna per prendersi beffe dei musulmani», san Valentino ovvero «il giorno dell’immoralità e della prostituzione», il Natale che «condanna all’inferno chi vi partecipa»: vietati gli auguri, vietati i doni, vietato tutto.
Perché dietro c’è Satana. C’è l’Occidente, «civiltà senz’anima a detta dei suoi stessi intellettuali».
I CRISTIANI
E il dialogo interreligioso è la più insidiosa delle tentazioni.
Le khutbah sono concordi nel condannarlo senza remissione. Perché sotto l’insegna dell’«amicizia islamocristiana», spiegano, si cela la trappola «nella quale cadono anche molti che si credono musulmani», dimentichi che «Allah ha proibito al Profeta e ai credenti di invocare perdono per gli infedeli, anche se fossero loro parenti».
Per questo ogni idolo dev’essere distrutto. Bene hanno fatto i talibani d’Afghanistan a bombardare i Budda. È comando di Allah.
L’islam è la sola vera religione ed è l’unica ad avere il diritto di cancellare le diverse da sé. Può concedere che dentro le chiese i cristiani suoi sudditi tengano le loro immagini: ma che nulla appaia all’esterno. E passi per le Piramidi d’Egitto: «troppo grandi per essere distrutte, anche se un califfo ci provò». Quanto alla Sfinge, s’è salvata «solo perché coperta dalle sabbie».
I FALSI MUSULMANI
Ma poi c’è il nemico interno: i musulmani del partito sciita, andati al potere in Iran con Khomeini ma numerosi (e perseguitati) anche in Iraq e nella penisola arabica.
Contro di loro le khutbah sono di una veemenza inaudita. Gli sciiti «sono la creazione più malvagia che abbia messo piede sulla terra». «Vivono da sempre in falsità e ipocrisia». «Si alleano con miscredenti e politeisti per aggredire i musulmani». «I loro capi in Iran comandano alcuni una cosa, altri la proibiscono, per confondere tutti».
«Sono persiani che hanno in odio e inimicizia gli arabi, fino ad allearsi con gli ebrei contro di loro». «Il loro sistema dottrinale e pratico è costruito per distruggere l’islam dalle radici».
Conclusione: «È giunta l’ora di strappare il falso velo della rivoluzione iraniana. Essi hanno cambiato il Corano, hanno mentito contro il Profeta, hanno maledetto i suoi compagni, la menzogna è parte della loro fede. È mai possibile che siano musulmani? Se gli sciiti, nella loro storia, sono passati tra tante disgrazie e umiliazioni, questa è la ricompensa delle loro azioni».
E queste sono le khutbah modello. Le raccomandate dalla Mecca. Pronunciate da imam di chiara fama. Quelle che in Occidente sarebbero le omelie di un Karol Wojtyla o di un Carlo Maria Martini.
Da quali pulpiti
La Mecca, Medina e Gerusalemme sono nell’ordine le tre città sante dell’islam. Nelle loro moschee i discorsi pronunciati ogni venerdì prima della preghiera pubblica di mezzogiorno hanno grande peso. I predicatori sono scelti con cura. E pronunciano i loro discorsi da un pulpito in cima a una scala, collocato a fianco del mihrab, la nicchia che indica la direzione della preghiera.
LA MECCA
È la città del profeta Maometto, che vi ha restaurato il vero culto al vero Dio. Da tutto il mondo, i musulmani pregano rivolti a questa città. E almeno una volta nella vita sono tenuti a compiervi un pellegrinaggio sacro, tra il nono e il tredicesimo giorno dell’ultimo mese del loro calendario lunare.
Il pellegrinaggio culmina con la preghiera sul monte Arafat e comprende sette giri a piedi attorno al santuario cubico della Kaaba, al centro del cortile della Grande Moschea, nel luogo in cui Abramo, secondo la tradizione, avrebbe elevato a Dio il primo altare.
MEDINA
Il suo nome significa Città del Profeta. Qui Maometto emigrò dalla Mecca, perché rifiutato dai suoi concittadini, nel 622, la data che segna l’inizio del conteggio musulmano degli anni. E qui egli diede all’islam un’impronta marcatamente politica, organizzativa, legale.
È a Medina che Maometto combatté e sconfisse gli ebrei, con i quali si era all’inizio alleato. Ed è da Medina che mosse alla riconquista della Mecca, venendone finalmente accettato come profeta.
GERUSALEMME
Per i musulmani è da lì che Maometto salì al cielo: dalla roccia del sacrificio di Abramo, sul monte che domina la città. Sullo stesso monte sorge la moschea di Al Aqsa. Qui, secondo la tradizione musulmana, è discesa la divina rivelazione del Corano e qui avverrà la risurrezione finale.
Nella prima fase della sua attività di profeta Maometto pregava e faceva pregare rivolto a Gerusalemme. Anche l’osservanza del digiuno l’aveva ripresa dalla tradizione ebraica del Kippur. Ma poi la estese a un mese intero e la trasformò nella pratica del Ramadan.
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