di Corrado Gnerre
(docente di Storia delle Religioni all’Università Europea e all’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Redemptor hominis” di Benevento, nonché collaboratore di “Radici Cristiane” e de “Il Settimanale di Padre Pio”)
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Per modernità s’intende la sostituzione delle certezze religiose con certezze di ordine scientifico o parascientifico. La postmodernità, invece, è la negazione del concetto stesso di “certezza”: non più un ordine valoriale né un centro a cui far riferimento, bensì una prospettiva policentrica e complessa. Non a caso, oggi, si parla molto di teoria della complessità.
Attenzione però: questa diversità tra modernità e postmodernità è solo a livello d’identità filosofica, infatti vi è comunque una pretesa comune che le fonda così come comuni sono gli “ostacoli” che entrambe pretenderebbero rimuovere. Tutte e due (modernità e postmodernità) si basano sull’intenzione di rendere l’uomo fondamento di tutto, di liberarlo da qualsiasi vincolo dell’autorità: Dio, prima; la scienza galileiana con i suoi princìpi immutabili, dopo.
Tra gli ostacoli da rimuovere tanto nella modernità quanto nella postmodernità vi è stata e vi è la famiglia.
Perché questa avversione nei confronti della famiglia? Principalmente per quattro motivi.
Primo: perché la famiglia si pone come luogo del mistero della vita dell’uomo. Quel mistero che si radica nel limite come realtà costitutiva dell’esistere di ognuno. Nella famiglia si riconosce il bisogno reciproco e si riconosce l’interdipendenza, verità queste che, invece, la pretesa prometeica ed autosufficiente della modernità e della postmodernità hanno voluto dissolvere.
L’uomo non avrebbe bisogno di nessuno e di nulla perché lui (l’uomo) sarebbe il tutto. E non importa se questa pretesa autosufficienza naufraghi dinanzi ad un reale che dice tutt’altro, che costringe al bisogno. “In stracarichi tranvai accalcandoci insieme, dimenandoci insieme, insieme barcolliamo. Uguali ci rende una grande stanchezza” canta il poeta Evtusenko pensando al fallimento esistenziale dell’uomo contemporaneo che decide di trovare in se stesso il significato del suo vivere
Secondo: perché la famiglia è il luogo dove si realizza la tradizione. Quando la tradizione rimane ad un livello teorico non incide nella società. E’ quando si esprime concretamente che diviene civiltà e comportamenti sociali, che s’incarna e modella la storia. La tradizione diviene questo grazie principalmente alla famiglia: l’insegnamento dei genitori, l’ascolto dei figli…e poi i figli che a loro volta diventano genitori, ecc.
Terzo: perchè la famiglia è uno dei più importanti luoghi dove si perpetua la convinzione della perennità delle categorie del bene e del male. Detto più semplicemente: la famiglia è il tempio dell’educazione ai valori perenni, di quei valori che non cambiano e che non sono relativizzabili. Nella famiglia il bene è sempre riconoscibile come tale, così il male. Non ci può essere compatibilità tra famiglia e relativismo etico. L’uno esclude l’altro. Se tutto fosse possibile, se il bene si confondesse con il male e il male con il bene, la famiglia si dissolverebbe.
Quarto: perchè la famiglia è il luogo della persona. Ovvero di quella realtà individuale e razionale che si pone liberamente e protagonisticamente nel divenire dell’esistenza e dell’esistente, cioè all’interno della sua vita e di ciò che la circonda. L’interdipendenza e il reciproco bisogno (elementi su cui si fonda la famiglia) sono i segni evidenti che la famiglia stessa non può basarsi su un’antropologia in cui l’uomo è visto come momento transitorio del divenire, come onda sulla superficie del mare destinata a scomparire, ma sull’antropologia classica: l’uomo come rationalis naturae individua substantia, cioè come persona. La famiglia non è un magma informe ma un insieme di individualità umane unite nell’affetto parentale.
Quest’ultimo motivo può sembrare un po’ astratto, eppure, soprattutto oggi, è importante ribadirlo. C’è chi ha indicato la cultura contemporanea come una cultura sostanzialmente gnostica. La gnosi si fonda sulla convinzione che l’uomo sia una sorta di “scintilla” che momentaneamente si sarebbe separata da un divino impersonale.
Ciò vuol dire che la corporeità dell’uomo e quindi la sua individualità sarebbero o pure illusioni o “prigioni” da cui doversi liberare al più presto. L’essenza prometeica tanto della modernità quanto della postmodernità troverebbero proprio nella gnosi la loro ragion d’essere. Non a caso in un pensiero postmoderno come quello di Marcuse s’inneggia al dissolvimento dell’io: l’uomo deve rinnegare e dissolvere i limiti della sua creaturalità.
Ecco perché oggi –anzi, oggi più di ieri!- l’odio nei confronti della famiglia. Famiglia che è luogo di significato, di verità e di bisogno; luogo di limite, di umiltà e di riconoscimento di un giudizio al di sopra di sé.