(Marina di Pisa-Tirrenia-Calambrone)
Cinema Teatro Don Bosco – Marina di Pisa (PI)
Prof. Marco Tangheroni
Ordinario di Storia Medioevale all’Università degli Studi di Pisa
Responsabile regionale di Alleanza cattolica
Proprio ora ho preso l’ultimo numero di Cristianità e viene riportato l’ennesimo intervento del Papa e ne riprendo una piccola parte; è autorevole, autorevolissimo per i cattolici, ma mi sembra anche storicamente ineccepibile: «la mia preoccupazione più grande per l’Europa – discorso recente, del 23 febbraio – è che essa conservi e faccia fruttificare la sua eredità cristiana. Non si può infatti negare che il continente affondi le proprie radici oltre che nel patrimonio greco-romano, in quello giudaico-cristiano che ha costituito per secoli la sua anima più profonda. Gran parte di quello che l’Europa ha prodotto in campo giuridico, artistico, letterario e filosofico ha un’impronta cristiana e difficilmente può essere compreso e valutato se non ci si pone in una prospettiva cristiana. Purtroppo dalla seconda metà dello scorso millennio e dal ‘700 in poi si è particolarmente sviluppato un processo di secolarizzazione che ha preteso di escludere Dio e il Cristianesimo da tutte le espressioni della vita umana».
È un brano interessante anche nella sua completezza. E io, da storico medievale, avevo pensato di trattare questo argomento che mi è, evidentemente, molto familiare delle origini cristiane e medievali dell’Europa. E una piccola parte del mio intervento la riserverò a questo, anche perché instancabilmente in ogni sede – e lo faccio anche qui – denuncio che, invece, esplicitamente, non solo con i silenzi e già prima della Carta, l’attuale Unione Europea esclude il Medioevo. Lo esclude proprio esplicitamente.
Faccio un caso concreto: esiste a Fiesole l’Istituto Universitario Europeo che forma la futura classe dirigente dell’Europa e, esplicitamente – c’è scritto proprio sul dèpliant che lo presenta (e d’altra parta, nessun insegnamento di storia medievale di tiene in quest’Istituto Universitario Europeo – si comincia dal Cinquecento perché si dice che l’Europa dell’Unione Europea è l’Europa nata dal Cinquecento, quindi è una posizione culturale anche dichiarata. Però mi è stato proposto, invece, di parlare dell’Occidente e delle sue radici storiche. E io ho accettato di buon grado, perché accolgo di buon grado ogni stimolo che mi viene.
La pigrizia mi indurrebbe ad accettare dei temi per i quali non ho la particolare necessità di riflettere o di studiare, perché fanno parte della mia attività professionale, ma questa sollecitazione a riflettere sull’Occidente mi è parsa, proprio in questi giorni, diciamo almeno a partire dalla tragica giornata dell’11 settembre, m’è parso particolarmente interessante. Riflessioni dunque. Certo, riflessioni che vi proporrò in parte come uomo impegnato nell’attività culturale, civica in senso lato, riflessioni come storico, tenendo ben presente da un lato la necessità della storia. È necessario conoscere la storia, è la nostra memoria: come non c’è individualmente prudenza senza memoria, anche come collettività, come comunità, senza memoria non c’è prudenza.
Però anche i limiti della storia: la storia non si pronuncia sul futuro, la storia non decide chi ha torto o chi ha ragione, anche perché se lo storico qualcosa sa in più degli altri è che il “reale” di oggi e così anche il “reale” del passato sono estremamente complessi. Tanto per prendere un esempio che è di questi giorni, purtroppo, ormai da qualche tempo, la situazione che c’è in Terrasanta è una situazione drammatica ed è una situazione estremamente complessa in particolare agli occhi delle storico. Dunque, riflessione sul termine Occidente.
Se noi pensiamo, tranne i più giovani, alla situazione fino al 1989 in che senso parlavamo di Occidente? Lo usavamo in contrapposizione all’Oriente, era una contrapposizione non solo e non tanto geografica quanto politica, che era anche fisicamente rappresentata da un “muro”. Ma poi, che so, l’Australia era da considerare occidentale e Cuba, forse, orientale. Dunque l’Occidente in contrapposizione all’Oriente in termini politici.
Evidentemente la caduta del muro di Berlino, come simbolo di implosione dell’impero sovietico ha fatto venire meno questa contrapposizione. Comunque, che il termine Occidente viva in qualche modo di contrapposizioni è evidente, non solo perché etimologicamente, anche nel suo significato letterale si contrappone all’Oriente (l’Oriente è il luogo dove nasce il sole e l’Occidente il luogo nel quale il sole declina, scompare), ma in fondo anche nel passato.
Tanto per indicare un ricordo storico che penso presente alla mente di tutti, le guerre del V secolo fra Grecia e Persia erano, già dagli storici contemporanei, presentate come guerre fra Occidente ed Oriente. E con tutto il revisionismo storico filo-persiano che uno può anche accettare per non avere solo la versione degli storici greci, è certo che noi siamo più vicini alla Grecia che non alla Persia, ci sono più radici della Grecia in noi che non della Persia. Dicevo, l’Occidente: ho preso il Dizionario Italiano Ragionato della casa editrice Dann, dà prima il significato letterale “parte dell’orizzonte dove tramonta il sole” e poi, significato per estensione “l’Europa e le civiltà europee contrapposta a quella dei paesi orientali, cioè alla civiltà asiatica”.
Ora, riflettere su questo concetto di Occidente ci potrebbe portare molto lontani; mi verrebbe, e anche in modo suggestivo, dato che spero che qui molti abbiano letto Il Signore degli Anelli e abbiano visto il film, da dire che si collocano ad Occidente i Rifugi Oscuri, il luogo aldilà del mare e Tolkien raccoglie qui le tradizioni celtiche, i germani, tradizioni europee. Aldilà del mare, in Occidente, c’è il luogo dei morti, ma c’è anche il luogo di isole misteriose.
Nel Medioevo si collocavano lì isole leggendarie – a parte che delle isole c’erano davvero, come si vide quando si scoprirono le Canarie, le Azzorre e Madeira – ma si pensava che anche aldilà ci fossero delle isole. Uno dei testi più singolari e più diffusi (il testo originale è in latino, ma poi ebbe traduzioni in tutte le lingue) del Medioevo è la cosiddetta Navigazione di San Brandano, questo mitico, leggendario santo che racconta un viaggio fatto di isole cariche di simboli. Però, poi, questo influiva sulla visione del mondo e Colombo pensa di passare vicino a queste isole e c’erano delle carte geografiche dove venivano rappresentate.
L’Oriente è il luogo verso cui i medievali, i cristiani, si orientavano, appunto – le chiese, per esempio -, ma c’è un richiamo anche verso l’Occidente: da un lato i grandi pellegrinaggi medievali avevano tre poli di attrazione, uno dei quali era ovviamente Roma, il centro della Cristianità, dove c’erano le tombe di San Pietro e San Paolo, l’altro era a Oriente Gerusalemme, e l’altro, il più misterioso da spiegare (perché è ovvio che il cristiano andasse pellegrino a Roma e a Gerusalemme, ma molto meno ovvio che andasse a Santiago), era il terzo grande polo, in questo luogo lontano dove c’è, come dice Dante, “quel barone per cui in terra si visita Galizia”. E chi è stato a Santiago – chi non c’è stato gli raccomando di andare perché è un’emozione molto forte – sa che il pellegrino si spingeva anche oltre.
C’è un Capo, a qualche chilometro di distanza, sull’Atlantico, che si riteneva allora il luogo più occidentale del mondo conosciuto (in realtà, per poco, ma c’è un capo portoghese che lo è ancora di più) e a questo Capo fu messo il nome di Finis Terrae, Fine della Terra. E i pellegrini andavano, oltre Santiago, nonostante il lungo cammino e si recavano anche a questa estremità di Finis Terrae.
Giocando un attimo sulle parole e sulle etimologie, potrei dire che siamo “orientati” verso l’Oriente, ma siamo proiettati verso l’Occidente, che è poi l’esperienza storica dell’Europa. E, non so se ci avete mai riflettuto, la radice di Occidente è la stessa di “occasione” e potrei dire, giocando sulle parole, che l’Occidente è stato la grande occasione della nostra civiltà europea. Ma lasciamo queste vie suggestive a favore di una più razionale considerazione e a favore della storia.
Quando ho cominciato a riflettere sul concetto di Occidente (non che non ci abbia mai pensato), ma a concretizzare la mia scaletta di questa sera ho cominciato, come faccio quasi sempre, dalla Treccani, grande opera culturale degli anni ’30 (merito soprattutto di Giovanni Gentile, ma merito di tutta la cultura italiana fascista e non fascista dell’epoca), anche perché dà un po’ il polso di quello che si pensava a livello di alta cultura negli anni ’30.
È interessante vedere che se voi andate alla voce “Occidente”, le uniche due voci che trovate sono un rimando allo Scisma d’Occidente e poi, non lo sapevo, c’era nel 1932 una provincia russa a ovest di Leningrado che aveva il nome ufficiale di Occidente. Cosa voglio dire? Qual è la spia interessante di questa rapida consultazione? Che non c’era un concetto autonomo di Occidente negli anni ’30. Questo è abbastanza singolare ed interessante.
Sono passato poi ad un’altra iniziativa dello stesso Istituto dell’Enciclopedia Italiana che si chiama Enciclopedia del Novecento, enciclopedia fatta per diverse voci. E nemmeno lì c’è una voce Occidente e da un indice più particolareggiato ho trovato o meglio, ritrovato, perché già conoscevo questa voce, che del concetto di Occidente si parla nella voce “Autorità”, scritta da un grande filosofo cattolico, Augusto Del Noce.
In particolare, il paragrafo 4 di questo suo saggio si intitola L’Occidente e il tramonto dell’Autorità. Questa è del 1975. Poi nell’Enciclopedia del Novecento si trovano dei riferimenti all’Occidente solo alle voci “Distensione” e “Guerra fredda”, relativamente ai rapporti Occidente-URSS.
Mi soffermo un po’ su questo saggio di Del Noce che è ricco di idee brillanti, ma insieme di una suggestione che può essere pericolosa e senza dubbio ambigua e solo parzialmente vera. Del Noce dice – e come vedrete subito entro nel vivo del titolo di questo nostro incontro – che l’Occidente è l’epicentro della crisi dell’autorità e dice che l’Occidente è un’idea diversissima da quella di Europa: «anzi, la sostituzione del concetto di Occidente con quello di Europa, coincide – per Del Noce – con la crisi dell’autorità».
Del Noce mostra, direi con grande intuito, considerando che siamo nel 1975, di comprendere che ormai il processo rivoluzionario, questo processo di cui parla anche il Papa, dalla metà dello scorso millennio, è un processo che sta superando il marxismo. Non so se conoscesse l’aggiunta fatta dal professor Plinio Correa de Oliveira al libro Rivoluzione Controrivoluzione, dove, anche qui con molta intuizione, perché eravamo ben lontani dal 1989 – eravamo nel 1975 – e se riandiamo alla metà degli anni ’70, dobbiamo dire onestamente che noi non ci aspettavamo la caduta del Comunismo, questa improvvisa, enigmatica, misteriosa caduta del Comunismo.
Ma Del Noce, che era uno storico delle idee, oltre che attento ai fenomeni sociali, così come per sua parte il professor Plinio, che parlo di Quarta Rivoluzione, intendendo con Terza quella comunista, intuiva a metà degli anni ’70 che ormai si tendeva a superare il marxismo, lui parla di “oltre-marxismo”.
E la caratteristica di queste tendenze che lui intuiva e che si sono poi pienamente dispiegate – probabilmente aveva osservato con attenzione i movimenti del ’68 – andavano verso una accentuazione della negazione dell’autorità (e concetti come autorità, tradizione, metafisica, religione), nella direzione, sul piano delle idee, di una completa secolarizzazione e, nel piano della società, verso movimenti rivoluzionari incentrati su una critica radicale dell’autorità. È quello che aveva cominciato ad accadere nel 1968 ed è quello che aveva continuato a succedere più manifestamente dopo.
Fra gli esempi che portava Del Noce ce n’era uno molto interessante: apparentemente noi lo ricordiamo solo come un movimento artistico, quando ce lo ricordiamo, perché come movimento artistico ormai è stato superato, il Surrealismo, un movimento degli anni ’40, precursore di queste tendenze. E Del Noce cita ampiamente la grande mostra del Surrealismo fatta nel 1947 a Parigi, il manifesto dei surrealisti in questa occasione che rompeva esplicitamente col marxismo – ma perché? – considerandolo inadeguato e inadeguato a cosa?
Cito: «a un’offensiva in grande stile contro la civiltà cristiana». Cioè il Marxismo come rivoluzione insufficiente. E quali precursori individuava il Surrealismo? Sono due personaggi emblematici: uno era il marchese De Sade e uno, il fondatore della psicanalisi, Freud. Bréton, uno dei teorici del Surrealismo, cito ancora, diceva che bisognava: «rovinare definitivamente l’abominevole nozione cristiana del peccato, della caduta originale».
Guardate qui non è soltanto un andare contro il Cristianesimo, è un andare contro la natura e contro la realtà, perché l’esperienza antropologica nostra, di noi stessi in primo luogo e poi degli uomini tutti, è che ogni uomo è imperfetto, ogni uomo ha dei limiti – vecchia idea di tante eresie di cui potremmo tracciare una lunga storia che emerge come i fiumi carsici nel corso dei secoli e poi dei millenni – ed è un rifiuto del mondo in cui, tranne i residui, viviamo.
Qual è il pensiero oggi trionfante? Non certo il Marxismo. Ma è, filosoficamente il pensiero debole, moralmente il relativismo etico, il rifiuto della Verità. Come un amico, Massimo Introvigne, ha detto giustamente parlando de Il nome della rosa, pensate alle ultime pagine, con il rifiuto della ricerca della Verità, l’unica Verità, in un certo senso, è che non bisogna cercare la Verità. È un romanzo iniziatico alla Modernità. E già i Surrealisti nel 1947 dicevano che uno strumento fondamentale doveva essere la rivoluzione sessuale.
Non voglio ora annoiarvi con troppi riferimenti culturali che poi passano abbastanza di moda, ma che per chi ha seguito gli eventi culturali, le linee culturali, sa che andava oltre il Marxismo la Scuola di Francoforte, dalla Scuola di Francoforte veniva Marcuse, diciamo pure giustamente dimenticato, perché debole teoreticamente, ma che fu il filosofo mito, guida dei giovani del ’68, il quale sosteneva il primato della libertà – intesa come? Ecco il legame con Sade e Freud e col Surrealismo – intesa come libertà degli istinti, «libertà istintuale».
È uscito l’anno scorso, da Adelphi, un bellissimo libro di aforismi, l’autore, praticamente sconosciuto, ora morto, ma singolare scrittore della Colombia, si chiama Gomes Davila, e è veramente di singolare intelligenza, nel senso letterale del termine. Uno degli aforismi verso la fine del libro suona così: «Il mondo moderno è una rivolta contro Platone». È una frasetta, ma dice tantissimo, perché da Platone in poi – ecco la nostra eredità greca, oltre che cristiana – l’idea dell’uomo che abbiamo e che avevamo, era l’idea di un uomo in cui la ragione cercava di dirigere e organizzare la volontà e le passioni. Ed è proprio contro quest’idea che, in maniera più radicale del Marxismo, punta questa forma dell’oltre-Marxismo, per usare il linguaggio di Del Noce.
Il ’68 e i movimenti, le riprese sussultorie successive a distanza di qualche anno, esprimevano senza dubbio il disagio verso il mondo moderno. Anche quando ero giovane io e tanti amici che sono qui presenti con me, avevamo anche noi il disagio verso il mondo moderno, non ci piacevano i valori che già allora si affermavano e più oltre si sono affermati nell’Occidente, appunto, per cui il successo, il denaro erano metri di giudizio, valori di riferimento.
Il problema era che – non tutti subito allora lo capirono, anche da posizioni culturalmente diverse da quelle che esprimevano i movimenti del ’68, con i seguiti di Lotta Continua, Potere Operaio, ecc. – questo nascere il disagio dal mondo moderno, nasceva (e questa era la caratteristica centrale del ’68) da posizioni ultrarivoluzionarie e questo favorì allora equivoci anti-occidentali nella Destra tradizionalista e io credo che, in una parte della cultura della Destra di oggi, sopravvivono alcuni di questi equivoci anti-occidentali.
Farò un esempio tipico ed illustre, col quale discuto continuamente e lo faccio anche perché è conosciuto sui giornali e in televisione, ed è un mio fraterno, fraternissimo amico da sempre, da quegli anni ’60 ad oggi, Franco Cardini. Bisogna essere per forza contro gli Stati Uniti, gli Stati Uniti sono i portatori di ogni male, il concetto di Occidente è negativo e allora tutto ciò che “puzza”, diciamo così, di occidentale o di americano è condannato in blocco. Posizione che ha dei maestri illustri: un filosofo e uno scrittore di grande fascino, che ho anche amato nella sua parte descrittiva della crisi del mondo moderno, per prendere il titolo di un suo libro,
Renè Guènon, finisce per intravedere l’Oriente come salvezza e lo fece a tal punto che nel 1948 si fece musulmano. In realtà io on starò qui a fare la critica che Del Noce fa in modo molto acuto e lucido a questo processo di liberazione rivoluzionario che ha portato, di fatto, alla negazione [Fine facciata A 1a cassetta] Questa libertà istintuale porta, nelle sue estreme conseguenze, alla distruzione della vera libertà, di ogni possibilità di libertà.
Vedete, fino al 1989, se avessi voluto indicarvi un libro, in un certo senso descrittivo, del pericolo che incombeva, avrei indicato 1984 di Orwell, che descriveva questo stato totalitario col Ministero della Verità, con la riforma della lingua, i cinque minuti d’odio, ecc. Un libro che resta suggestivo ma che è stato superato.
Oggi, dovessi indicare un libro che, profeticamente, descrive il mondo come minaccia di diventare, indicherei il libro di Huxley, mi pare del 1932, ma che si trova negli Oscar Mondadori, Il mondo nuovo, dove viene descritta una società in cui solo alcuni selvaggi che vivono in riserva si riproducono per via naturale e ormai la riproduzione avviene, per intenderci, “alla Antinori”, cioè in provetta e questi barattoli poi vengono manipolati con vari interventi in modo che i proletari siano contenti di essere proletari, i Beta siano contenti di essere Beta, e che gli Alfa siano coloro che dirigono.
Prospettive terribili, soprattutto perché – ed è qui il legame col relativismo etico imperante – ormai la domanda sulla liceità di una cosa (ad esempio la clonazione) diventa in realtà una domanda sulla possibilità di farla e la risposta che viene data è che se è possibile fare una cosa è lecito farla. Allora mi sono qui segnato una bella citazione di Simone Weil, questo singolare personaggio, negli ani ’30-‘40: «se la giustizia è incancellabile nel cuore dell’uomo, vuol dire che essa ha, in questo mondo, una sua realtà, allora la scienza – nel senso di tecnica – ha torto; perché se la forza è assolutamente sovrana la giustizia è assolutamente irreale, ma non lo è, lo sappiamo per via sperimentale».
Ciò non toglie però, aggiungiamo, che questo sviluppo dell’Occidente possa andare nella direzione di provarci, perché noi sappiamo che fare “tabula rasa”, fare l’uomo nuovo, partire alla maniera di Rousseau dall’idea che l’uomo è perfetto e che solo il passato, solo la società sono negativi, porta a conseguenze terribili. Guardate, qui c’è un equivoco che va spazzato, era un equivoco che gravava già sul Comunismo: quante persone ci hanno detto “il Comunismo sarebbe una bella utopia, peccato che sia irrealizzabile”?.
Il problema è un altro, il problema è che proprio in quanto utopia è mostruoso. Questo i dissidenti russi l’hanno capito, ce l’hanno detto. La cultura occidentale e soprattutto quella italiana non ha voluto recepirlo. Perché l’utopia cozza contro la realtà ma non si rassegna, inventa i complotti, inventa i nemici e diventa inevitabilmente sanguinaria, perché nel cozzare contro la realtà rifiuta di mettere in discussione se stessa e quindi perseguita la realtà. Questo è stato il Comunismo, questa potrà essere la tecnocrazia degli scienziati.
Facciamo un passo indietro e torniamo a Del Noce. L’Occidente, allora, è identificato con tutto questo? Dobbiamo allora buttare via tutto? Dobbiamo andare a cercare la salvezza in mondi pseudo-tradizionali, difendere i burka, i cannoni che buttano giù i Buddha e tutto il resto? Ecco perché dicevo che può esserci un’ambiguità nell’uso delnociano del termine e nella contrapposizione troppo radicale tra Occidente ed Europa.
Perché che cos’è l’Occidente di oggi? Una volta secolarizzata e scristianizzata è ciò che resta della Cristianità. Ma ha pur sempre lì le sue radici. E gli americani non sono dei marziani, l’America è figlia dell’Europa, fa parte integrante dell’Occidente e è stata anch’essa raggiunta dalla crisi rivoluzionaria, per certi versi anche meno, perché non si può paragonare la Rivoluzione Americana alla Rivoluzione Francese, ad esempio, e in ogni caso è figlia e sorella dell’Europa.
Pensare che senza l’America l’Europa avrebbe conservato le proprie tradizioni è un atteggiamento assolutamente antistorico. Io ho citato Sade che non mi risulta americano, ho citato Freud che non mi risulta americano, ho citato i Surrealisti che non sono un movimento americano, ho citato la Scuola di Francoforte e non è una scuola di pensiero fatta da pensatori americani e potrei continuare.
Però questa visione che identifica tout court l’Occidente con la modernità, diciamo così, come categoria concettuale e non come puro riferimento cronologico, dipende in realtà dall’accettazione della filosofia della storia dell’Ottocento (Hegel, Marx), che dipende a sua volta dall’Illuminismo.
Diceva Chesterton: «Il mondo è pieno – e si riferiva al mondo occidentale – di idee cristiane impazzite». Ma di idee cristiane, idee, se volete, medievali. Il Medioevo lo si rappresenta spesso come un’epoca di pura negatività, è l’immagine corrente. Non vi dico quanto, come professore di Storia Medievale, ma anche come conoscitore della realtà storica mi sono irritato, quando si parlava dell’Afghanistan, e veniva sempre questo riferimento medievale. Tutto ciò che è negativo è medievale.
Mi ricordo un titolo, una volta che due giovinastri avevano sequestrato due turiste tedesche, rinchiuse in una roulotte e violentate durante la notte: «Notte medievale in Basilicata». Io avevo cominciato a fare una raccolta di ritagli di giornale, ma ho smesso perché ogni giorno dovrei passare una parte del mio tempo a mettere da parte questi ritagli.
In realtà, vi ricordate il film Il nome della rosa? A un certo momento Guglielmo di Baskerville, era Sean Connery, nasconde uno strumento perché arriva l’abate e dice che non bisogna far vedere queste cose. Ora, questo, qualunque studente di storia medievale – almeno spero! – lo sa che è falso e noi pisani ne abbiamo una prova: basterebbe con un binocolo leggere una delle epigrafi che ci sono sulla facciata della Cattedrale, quella in lode di Buschetto, l’architetto che aveva immaginato questo straordinario duomo. E di Buschetto, in versi latini, si dice che ha avuto il merito di progettare un tempio di bianco marmo più bello di quello dei Romani e poi si dice che ha avuto il merito di inventare delle macchine grazie alle quali quelle colonne che prima dovevano trascinare un’enorme quantità di buoi, adesso bastano poche ragazze.
Dunque, il Medioevo, XI secolo, era talmente appassionato di conquiste tecnologiche – si è anche scritto un libro, La rivoluzione industriale del medioevo – da farne un elogio pubblico, altro che nascondere le invenzioni. Il Medioevo, infatti, è stato – anche per ragioni economiche, ma non solo – l’epoca delle grandi invenzioni: la bussola, i mulini, le staffe, la ferratura dei cavalli, ma ance le università, gli ospedali, la banca, gli assegni, le cambiali, ecc. Allora vedete, perché questa riflessione interessante? Perché ci mostra che nel pieno dispiegamento di una civiltà cristiana, nella quale – è una constatazione – sono le nostre radici storiche, c’era un atteggiamento tipicamente europeo tipicamente europeo e, se volete, tipicamente occidentale.
Tant’è che uno storico, Christopher Dawson ha scritto un libro, Il Cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale e lo stesso amico Franco Cardini parla, ad un certo momento, di giardini d’Oriente e giardini d’Occidente, parla della cavalleria nella Cristianità occidentale. E qui introduco un altro elemento di riflessione anche se il tempo passa. I “poli” del mondo medievale – essendo la Cina e l’India molto lontane; alcuni, come Marco Polo o certi missionari francescani ci arrivavano, ma insomma…- erano tre: uno il polo islamico, uno il polo della Cristianità occidentale, che dobbiamo chiamare così, perché esisteva il mondo della Cristianità orientale, terzo polo, di coloro cioè che si consideravano gli eredi dell’Impero romano, mondo affascinante, ma diverso dalla Cristianità occidentale.
Un mio valentissimo collega del mio dipartimento, il professor Cesare Alzati, infatti, ha scritto un saggio molto interessante che, già nel titolo, dice: Cristianità occidentale e Oriente cristiano. E in effetti sono due mondi diversi, ed anche in questo intervento pontificio il Papa dice: «ho sempre ritenuto di grande importanza l’apporto dei popoli slavi alla cultura del continente, ma certamente, la dolorosa frattura tra l’Occidente, in gran parte cattolico, e l’Oriente, in gran parte ortodosso, è stato uno dei fattori che hanno impedito la piena integrazione di alcuni popoli slavi nell’Europa».
Certo, la Chiesa ha bisogno di due polmoni, quello occidentale e quello orientale, ma sono due polmoni diversi. Sono stati storicamente, in una certa misura – perché le culture, anche quando si laicizzano hanno sempre le loro radici religiose – ancora distinti. Non solo perché hanno avuto loro la disgrazia di conoscere il Comunismo reale.
Il termine Occidente, quindi, è un termine che trovo diffusissimo nella storiografia: quando si parla di Crociate si parla di rapporti tra Occidente ed Oriente, si parla spesso di Medioevo occidentale, appunto per distinguerlo dagli altri due poli, quello bizantino e quello islamico; Ariés ha scritto una Storia della morte in Occidente, Paolo Prodi – e sto citando ancora appunti scritti un po’ alla rinfusa – ha scritto un libro, Il sacramento del potere. Il giuramento politico nella storia costituzionale dell’Occidente; o, per uscire dalla storia, una delle opere di Solgenizyn s’intitola L’errore dell’Occidente.
Allora cos’è quest’Occidente? È una civiltà, una cultura che ha avuto e che ha una storia comune e che a partire da un certo momento ha seguito nelle idee e poi, anche, nelle realizzazioni storiche un certo itinerario di rinnegamento del proprio passato. Ma questo non significa che questo sia il mondo cui apparteniamo e che queste siano le sue radici storiche che, vedete, si possono rifiutare ma restano, non di meno.
Voglio adesso procedere verso un’altra riflessione. Nel riflettere su quello che dovevo dire stasera – poi la curiosità spinge spesso ad apparentemente perdere del tempo – sono andato a rileggermi un articolo scritto da uno storico israeliano, oggi morto, mio buon amico sulla Rivista Storica Svizzera nel 1983. Il titolo è La superiorità tecnologica dell’Occidente medievale. Vedete che si usa correntemente, piaccia o non piaccia – ecco l’ambiguità e l’errore della terminologia di Del Noce – l’Occidente medievale come sinonimo di Cristianità e di Europa medievale.
Ashtor era uno storico soprattutto del mondo arabo, personaggio singolare, conosceva perfettamente (nel senso che parlava e scriveva) 26 lingue; era stato favorito dal fatto che era nato in una regione che si chiamava Galizia che era al confine dell’Austria-Ungheria e quindi lì parlava ebreo, tedesco, lingue slave, ecc. Insomma, è partito con una certa base… Diceva che la lingua più difficile di quelle che conosceva era l’armeno e la più bella l’arabo e per lui, che era molto israeliano, era un riconoscimento significativo. Qual è il problema che pone e che si lega a quanto venivo dicendo sia pur rapidamente e confusamente?
Quando i crociati arrivano in Oriente, prima alla corte di Costantinopoli, poi a contatto con il mondo musulmano sono i rappresentanti di una civiltà tecnologicamente inferiore. Appaiono ai Bizantini in modo totale, ma sostanzialmente anche agli Arabi come dei barbari. E un po’ lo erano.
Quando si leggono i racconti di questi Normanni alla corte di Costantinopoli, anche diventati da poco cristiani, si viene a sapere che a un certo momento vedono un vecchio leone addomesticato e lo ammazzano; quando il figlio di un doge di Venezia sposò una principessa bizantina questa tentò di introdurre a Venezia l’uso della forchetta e la voce corrente era che lei introduceva usi effemminati.
Il mondo del Mille, il mondo occidentale dell’XI secolo, la Cristianità europea, latina dell’XI secolo era senza dubbio poco raffinata, le raffinatezze di Roma erano state dimenticate, c’erano state le invasioni germaniche, era un mondo duro e di condizioni materiali difficili. Bene, andiamo avanti. Il nostro Fibonacci (nostro nel senso di pisano), il più grande matematico del Medioevo, come si era formato? Il padre, che era console dei mercanti pisani, nella città di Bugia, l’attuale Beja in Algeria, chiamò il bambino (è Fibonacci stesso che ce lo racconta nel prologo del Liber Abbaci) per avere un’istruzione di qualità superiore.
Ancora alla fine del XII secolo la scienza araba, che aveva le caratteristiche di essere stata erede della cultura greca ed ellenistica, della cultura antica, molto più dell’Occidente che aveva avuto le invasioni e se ne era separato (il ritorno dei testi aristotelici in Occidente è proprio del XIII secolo e arriva attraverso la mediazione araba anche in filosofia) mostrava dunque questa condizione di differenza tecnologica. Oggi si direbbe un gap tecnologico.
Rapidissimamente le cose cambiano, ed è questo il problema storico che poneva Ashtor, dicendo: «a partire dall’epoca delle Crociate l’evoluzione industriale dei paesi cristiani dell’Europa centrale ed occidentale è caratterizzata da un progresso pressoché continuo delle tecniche, attraverso delle innovazioni importanti che hanno portato dei cambiamenti fondamentali nei metodi di produzione e sono arrivati a un novo sviluppo economico». Dall’altro lato, invece, nel mondo islamico che cosa troviamo? Un blocco assoluto. Non c’è più sviluppo, anzi, c’è decadenza economica e non c’è più sviluppo tecnologico.
Quando Ashtor, che è uno storico soprattutto della società e dell’economia, dice «dobbiamo dare delle risposte», afferma che è difficile trovare delle risposte soddisfacenti alla questione delle cause decisive dell’ascesa europea e del declino delle altre civiltà che erano pure uscite dalla civiltà greco-romana.
Non mi soffermo poi sulle varie ipotesi e tentativi di spiegazione materiale, economicistica, demografica che non reggono ala critica di Ashtor e che quindi chiude ancora con un interrogativo al quale cercheremo di dare una risposta. Una risposta duplice. In primo luogo un po’ più circostanziata, culturalmente e storicamente: il Duecento, il XIII secolo è stata l’epoca in cui la filosofia aristotelica è entrata, per buona parte proprio grazie alla mediazione araba, in Occidente.
Non senza contrasti nel Cristianesimo occidentale, perché, per esempio, nel 1277 l’arcivescovo di Parigi, un po’ improvvido e che non aveva capito molto, condannò una serie di tesi filosofiche, fra le quali anche tesi di San Tommaso. Quindi ci furono delle difficoltà, ma furono superate rapidamente.
Ma perché ci vieni a parlare di filosofia, cos’hai in mente? Ve lo spiego subito. Cosa portava e cosa si poteva accettare (perché era già nella natura, nella mentalità dell’Europa cristiana, anche per la sua eredità greca, con Platone e Aristotele, sia pure mediata attraverso i Padri della Chiesa) dell’idea fondamentale (e quando si parla dei rapporti tra Cristianesimo e Islam questo è uno dei punti di evidente differenziazione) del fatto che la natura ha una sua autonomia? Poi viene la Grazia e la Rivelazione ma, per dirla con una sentenza Grazia perficit natura, la Grazia perfeziona la natura. Questo vuol dire riconoscere al mondo naturale e alla società naturale degli uomini una sua autonomia.
Nel mondo islamico cosa succede? Nel mondo islamico il parallelo tentativo di introdurre Aristotele, cioè il concetto di autonomia della natura è fallito, i filosofi sono stati perseguitati ed è avvenuto il blocco. Ora, l’argomento richiederebbe evidentemente maggiori e più difficili approfondimenti e questa non è certo la sede, però questo è molto importante, perché ci rimanda ad un discorso più generale che distingue la civiltà europea ed occidentale (tant’è che l’Occidente è frutto proprio di questa mentalità). Cosa succede nel Quattrocento? Succede che due piccoli paesi, il Portogallo e la Spagna, compiono la planetarizzazione del mondo.
Prima erano mondi non in contatto fra loro e con quelle che si chiamavano, un tempo, senza preoccupazioni di esprimerci in modo politicamente corretto, “scoperte geografiche”, si legano i destini dell’Africa, si contatta l’Oriente indiano e, soprattutto, portano alla scoperta del Nuovo Mondo per eccellenza, cioè l’America o le Americhe che, badate bene, non erano nemmeno in contatto fra loro: fra gli Incas del Perù e gli Aztechi del Messico non c’era nessun rapporto.
Ancora prima, nelle saghe vichinghe – è una scoperta dimenticata – si dice che a un certo momento un certo Bjorn, portato dai venti, arriva dalla Groenlandia sulle coste di un territorio che poi sarà chiamato Vinland, probabilmente il Labrador, e quando ritorna viene molto criticato dai suoi perché non ha provveduto ad esplorare quel territorio e parte una nuova spedizione per esplorarlo. Quest’ansia della scoperta, questa tensione che è di Ulisse – pensate all’Ulisse di Dante – è un’ansia e una tensione tipicamente europea.
Ecco perché dicevo, in apertura, se siamo orientati verso l’Oriente siamo attratti dall’Occidente, e l’Occidente rappresenta l’occasione della nostra civiltà. E allora, la domanda ulteriore è: perché questo? E io credo che la risposta essenziale anche alla domanda posta da Ashtor e che spiega anche il differente atteggiamento verso la natura è in un differente atteggiamento proprio del Cristianesimo (e dell’Occidente in quanto ha le radici proprio nel Cristianesimo) nei confronti della storia e del tempo.
La storia e il tempo sono un aspetto di sostanziale decadenza nella visione islamica, sono un aspetto di condanna nelle filosofie orientali. Il tempo, la famosa reincarnazione, è un qualcosa da cui bisogna uscire, una condizione da cui bisogna uscire.
Invece, per il Cristianesimo, cioè per la cultura (perché tutte le civiltà, da quella egiziana, a quella indiana, a quella mesopotamica, poi hanno la loro visione del mondo determinata dalla loro religione) l’atteggiamento verso la storia è unico. Il Cristianesimo pretende, come dice San Paolo «scandalo per i Giudei e follia per i Gentili», che Dio si sia incarnato nella storia. Questo porta, automaticamente, a dare alla storia una importanza e un valore positivo, perché se Dio si è incarnato nella storia Dio in questa storia ha un valore positivo e ha un atteggiamento positivo ed ottimistico verso il tempo.
Allora, con questo cosa voglio dire? Voglio dire che questa apertura, questa ansia, questo desiderio di conoscenza che possono avere acquisito, che hanno certamente acquisito, in parte, un carattere prometeico, cioè di rivolta, per altro sono insite nelle radici della nostra civiltà. E questo ci deve dare molta cautela rispetto al problema [Fine facciata B 1a cassetta] noi siamo più lontani dagli Americani che dai Bulgari. Certe volte l’ho pensato anch’io quand’ero nella piazza di Marrakech sorseggiando tè alla menta o nell’amatissima (da me) città del Cairo, che per certi versi ero più Mediterraneo che occidentale.
L’ho pensato e qualcosa di vero c’è – del resto io non sono mai stato né negli Stati Uniti né a Londra e morirò senza esserci stato, penso – ma, riflettendoci, poi le cose non stanno esattamente così. Insomma, io penso che Europa contro Occidente è un falso dilemma, dipende, come ho cercato di dire dall’idea che abbiamo di Europa e dall’idea che abbiamo di Occidente. Ho cominciato dicendo che l’Istituto Universitario Europeo dice che l’Unione non è quell’Europa lì, quindi vedete che si può avere anche una concezione negativa dell’Europa.
Un pensatore spagnolo, Elias de Tejada, contrapponeva infatti la Hispanidad, la tradizione spagnola, all’Europa, intendendo per Europa tutto quello che Del Noce intendeva sotto la categoria Occidente e allora, come diceva San Tommaso all’inizio di un suo libretto, il De malo, «molto dipende da come usiamo le parole».
Insomma, ve l’avevo detto, le cose sono complesse. Non so se ho chiarito le idee, anzi, non le ho io stesso chiare. Vi avevo avvisato della complessità della questione, spero soltanto di avere stimolato qualche riflessione e se sono riuscito ad averla stimolata, qualche obiettivo l’ho raggiunto. Domanda – Io le pongo una domanda, non so se provocatoria, però mi piacerebbe avere una sua risposta. Non crede che il superamento, o meglio, il rifiuto che la civiltà europea contemporanea fa di se stessa – e intendendo con “civiltà europea” la civiltà profondamente connaturata col Cristianesimo – non sia figlia proprio del Cristianesimo, una cioè delle idee impazzite del Cristianesimo di cui lei ci ha parlato nella prima parte della sua relazione.
Mi spiego meglio. Ha parlato del rifiuto del concetto di autorità, ha parlato di relativismo etico, ha parlato della demonizzazione dell’America che è vista un po’ come il peggio dell’Europa, come la parte peggiore della civiltà europea, una parte impazzita. Allora io mi chiedo se proprio questo rifiuto e questo superamento che l’Europa fa delle sue radici, questo taglio traumatico di un cordone ombelicale secolare, non sia proprio frutto del Cristianesimo. Un esempio: il relativismo etico forse ha le sue radici nell’individualismo cristiano e nel fatto, cioè, che si dice nel Vangelo, che l’uomo è superiore alle regole.
Se il rifiuto dell’autorità non è proprio figlio a sua volta del principio della libertà di coscienza che è stata introdotta come novità dal mondo cristiano. Se certi movimenti contemporanei che vedono nell’America il peggio della nostra civiltà europea, non sia a sua volta figlia del pauperismo evangelico. E questa è una delle osservazioni che le volevo fare e sulle quali mi piaceva sentire un suo ampliamento.
L’altro aspetto però è connaturato a questo: l’Europa rifiuta le sue radici cristiane portando a uno sviluppo disordinato quelle che sono certe intuizioni e certi principi cristiani, però la seconda fase della nostra civiltà ci porrà in contatto con un’altra civiltà che, invece, certi principi li riporta e li ripropone. E alludo alla civiltà musulmana, che riporta pari pari, sotto certi aspetti, alcune idee che la nostra cultura contemporanea sta rifiutando, per esempio la subordinazione dell’individuo allo stato, la subordinazione dell’individuo alla religione. Ecco, non rischiamo proprio questo? Qual è il suo pensiero? Grazie.
Domanda – Dal momento che, come ha detto lei, il concetto di Occidente è assimilabile al concetto dell’Europa cristiana, intendendo cattolici e protestanti insieme, a questo punto quest’idea di Occidente a noi, oggi, che andiamo verso un’integrazione europea che dovrebbe essere, secondo alcuni, allargata e andiamo anche verso una nuova definizione geopolitica mondiale dopo l’11 settembre, come lei ha precedentemente detto, questo concetto a cosa ci serve? E in quali termini ci serve, se ci serve?
Domanda – Io, volevo fare una considerazione. Lei, professore, ha detto che Marcuse è ormai desueto. Ma per me l’idea di Marcuse è stata riattualizzata. Sotto sotto ci sono moltissimi autori che proclamano ancora, in qualche maniera, il suo ordo ab caos e le dirò un’altra cosa: io ci rivedo tutta l’ideologia che attualmente sta imperversando nel cosiddetto Quinto Stato attuale, cioè i cosiddetti marginali – Black Block, centri sociali, cultura giovanile – in cui, in pratica, quello che esiste è soltanto una sorta di “libertismo puramente soggettivo”, cioè loro vogliono semplicemente sfruttare la modernità per poi distruggere tutto ciò che no gli sta bene, nel senso che non gli permette di esercitare la loro libertà assoluta, quindi l’abolizione di ogni norma, l’abolizione di ogni giudizio, il selvaggio completo; figlio, credo, di un errore pedagogico illuminista, di esprimere liberamente tutto ciò che si vuole e quindi, secondo me, ancora Marcuse, dal punto di vista della prassi politica sia ancora attuale.
Risposta – Dunque, mi libero subito dell’ultima domanda, perché sono d’accordo con quanto mi è stato detto. Quando ho detto che Marcuse era desueto intendevo lui come autore, i suoi libri, ma succede agli autori di cui si inverano in qualche modo le idee. Semmai è stato superato in questa direzione. Semmai, la cultura di sinistra che dopo l’89 è entrata in crisi, specialmente in Italia è spaventoso come mancasse, nella cultura più che nella politica. Quando già Berlinguer in una famosa intervista aveva detto «ma, in fondo io sto meglio sotto l’ombrello della NATO che sotto il Patto di Varsavia», ma ancora la casa editrice Einaudi – c’è un bel libro di Pier Luigi Battista che lo documenta bene, un libro di Granville – effettuavano una censura su qualsiasi libro che parlasse male del comunismo.
Dopo la crisi dell’89 – l’ho visto succedere in tanti miei colleghi, orfani improvvisamente – hanno sposato tutte le cause “ultra”, hanno sposato la causa del femminismo selvaggio, ecc. Lo avete sentito Bertinotti? Era tutto: gay, lesbico, negro, ebreo, palestinese, ecc. Più pensiero debole di questo, più crisi d’identità di questa veramente non si saprebbe dove trovare. E quindi sono semplicemente d’accordo e la ringrazio di avermi permesso di chiarire il mio pensiero. E vengo alle altre domande che richiederebbero, una in particolare, un’altra conferenza che non vi voglio fare, ovviamente.
Certamente certe idee impazzite sono figlie del Cristianesimo, l’ho anche detto. Solo che, badate bene, ci sono, come dire, i figli illegittimi. Le metafore rendono fino a un certo punto. C’è un rapporto di filiazione che è insieme di rivolta. Anzi, per certi versi una certa cultura cattolica è stata spesso in ritardo, scopriva il Marxismo quando il Marxismo era in crisi e così via. Senza dubbio nei no-global, a Genova, c’erano degli Scout – ahimè! -; Agnoletto, per dirne una tipica, è di estrazione, credo, Scout. C’è un certo pensiero cattolico debole che però, in realtà, nasce dalla rinuncia alla propria identità cristiana.
Il pauperismo non è un’interpretazione legittima del Cristianesimo, ma un’interpretazione debole, di chi non ha il coraggio della propria identità e della propria cultura e si confonde in questo movimentismo. C’è un processo anche all’interno della cultura cattolica che è stato in questo senso. Ma, naturalmente – si parlava qui di crisi dell’autorità – quando i Farisei per tentare Cristo gli presentano una moneta, Cristo risponde con quella famosa frase, che poi nell’esperienza concreta non è facile definire, «date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio». Le potrei ricordare San Paolo: «non est potestas nisi a Deo», non c’è potere che non venga da Dio. Poi – e qui comincio a passare alla risposta alla seconda domanda -, ma chi te l’ha detto che questo non è vero Cristianesimo?
Mah, diciamo che il Cattolicesimo ha un vantaggio rispetto all’Islam, che c’è qualcuno che può parlare a nome del Cattolicesimo e che nei secoli ha parlato. Essere cattolici significa riconoscere qualcuno che parla a nome dei cattolici e che può decidere chi è cattolico o no. E non basta definirsi cattolici. Quel prete di Avellino dei no-global, non mi ricordo come si chiama, che naturalmente veste da prete quando deve andare nei cortei, altrimenti non veste da prete, non è la stessa cosa del Papa. E qui abbiamo un primo punto da mettere in rilievo nelle differenze con l’Islam, ed è che nessuno nell’Islam può parlare a nome dell’Islam. Non esiste un’autorità che possa dire «questo non è Islam».
Quando Cardini dice – e dice una cosa vera perché lui l’Islam un po’ lo conosce – che nessuno può parlare a nome dell’Islam, dice una cosa vera. Lui lo dice per dire che i Talebani non rappresentano tutto l’Islam, che il terrorismo – ed è verissimo – non è l’esito obbligato dell’Islam e neppure che l’Integralismo è l’esito obbligato dell’Islam. Ma è anche vero che non esiste un’autorità che possa dire né ai Talebani né a Bin Laden né a chicchessia che non è islamico. Faccio un ulteriore passo e vengo al problema della persona che è indubbiamente un problema centrale.
Il Cristianesimo ha sempre insistito sulla nozione di persona che è centrale e fondamentale: la persona umana. Ma qui ricorro a San Tommaso che, da questo punto di vista, non mi pare superato: egli dice che l’uomo non può vivere da solo. Robinson Crusoe sopravvive – a parte che poi incontra Venerdì – perché si considera ancora appartenente ad una società. Noi, naturalmente, la persona umana, ci completiamo nei rapporti con gli altri: nella famiglia, nelle realtà locali in cui viviamo, nelle realtà professionali e poi, su su, in una Patria e poi ancora, ove possibile, in organismi sovranazionali.
Dice San Tommaso che l’uomo non può vivere se non nella comunità (e riprende la famosa definizione di Aristotele dell’uomo come animale politico), cioè la persona umana non si perfeziona se non è radicata nella società. Però dice anche che l’uomo non appartiene alla comunità nella sua integrità, perché integralmente può appartenere solo a Dio. Allora, il problema è di un equilibrio che non sia quello di un individualismo assoluto, perché contraddice alla natura dell’uomo, ma nemmeno quello in cui sia asservito alla comunità che, invece, è l’esito non solo del Marxismo, ma dell’”ultra-marxismo”, per usare i termini di Del Noce.
Ora, nella civiltà musulmana – ed è qui il grande equivoco di chi pensa che questa possa essere una civiltà tradizionale nel senso “nostro” – la comunità politica e la comunità religiosa coincidono. La Umma è insieme comunità religiosa e comunità politica. Nell’Europa medievale, anche nei momenti di maggiore teocrazia (diciamo così per intenderci, anche se il termine non è poi esatto) c’è sempre stata una distinzione tra la Chiesa come Popolo di Dio (per usare un termine tornato di moda di questi tempi) e la Cristianità come insieme di popoli e di comunità civili.
Altra distinzione molto importante è l’inesistenza nel mondo islamico del diritto naturale. Vedete che quella che può esservi sembrata una divagazione sul rifiuto dell’autonomia della natura è fondamentale. Cioè non esistono diritti della persona umana in quanto persona umana. Poi tutti i dialoghi sono possibili, ma è bene avere le idee chiare. E questa è la realtà di queste diverse civiltà.
E allora vedete che, quando in un libro che è stato tradotto in italiano, mi pare nel ’95, di Huntington, uno studioso americano – libro che non dico di accettare in toto – come ipotesi si pone il problema: prima del 1989 la situazione era chiara, avevamo un mappamondo sul quale, ogni giorno, sentendo di un colpo di stato nel Burundi, in Afghanistan, che in quei tempi sembrava una realtà lontana, ci domandavamo «sta di qua o sta di là?». E lo tingevamo di rosso, di rosa acceso, oppure cancellavamo quel rosa. E il mappamondo era tanto rosso. Ce n’è ancora di rosso, perché non è sparito, però le cose sono un po’ cambiate e si sono complicate.
Allora la situazione era, come dire, più facile da interpretare. Noi eravamo di qua, perché avevamo la libertà, non ci stavamo bene, perché eravamo a disagio – parlo di me – però sapevamo che fra i due, qualcuno gridava lo slogan “meglio rossi che morti”, noi pensavamo che era meglio essere morti che rossi, cioè, che era meglio lottare per non essere rossi. E ce n’era tanto di mappamondo rosso.
Io mi ricordo che manifestai queste preoccupazioni ad un amico, nel ’75 c’era stata una rivoluzione comunista in Portogallo, durata poco nel suo aspetto comunista, e dicevo: «qui diventa tutto rosso, è un pasticcio». E lui mi disse una cosa che era profondamente vera: «il Comunismo non può vincere perché, per cattivo che sia, non può uccidere tutte le nonne». Perché la nonna chi è? È quella che conserva, nonostante tutti gli sforzi di creare l’uomo nuovo, fare tabula rasa del passato, le statue distrutte della Rivoluzione Francese, la cancellazione delle tradizioni; ma le nonne sopravvivono, ricordano, tramandano.
Avete visto nel 1989, quando fu ammainata la bandiera rossa con la falce e il martello dal Cremlino, spuntarono delle icone, nascoste, conservate, non l’avranno dipinte tutte quel giorno, non sembrav…, le avevano conservate le nonne. Bene, dopo il 1989, la situazione è diventata estremamente più complessa, non è così facile capire, e allora l’ipotesi di Huntington è questa: i conflitti futuri – perché la storia non è finita, come credeva Francis Fukuyama, il quel libro La fine della storia – quali saranno? Perché non potevano più essere conflitti ideologici.
Fino all’89 erano, con componenti geopolitiche, storiche e tutto quello che volete, conflitti ideologici. Adesso non era più possibile interpretare il mondo e cercare di orientarci nel futuro su questa base. E allora cosa propone come ipotesi Huntington? I futuri scontri siamo scontri di civiltà. E designa una mappa delle otto – mi pare – civiltà del mondo che hanno una radice storica e quindi una radice religiosa.
Lì c’è un problema di rapporti tra Cristianità occidentale e Cristianità o Cristianesimo orientale, mondo slavo, ma c’è soprattutto un rapporto con l’Islam ecc. È inevitabile no, perché nella storia non c’è nulla di inevitabile, ma è un’ipotesi che indubbiamente occorre prendere in considerazione riflettendo seriamente e non in modo improvvisato sui problemi che preesistevano, ma che dopo l’11 settembre sono emersi in maniera ancora più grave.