(Marina di Pisa-Tirrenia-Calambrone)
Cinema Teatro Don Bosco – Marina di Pisa (PI)
Prof. Marco Tangheroni
Ordinario di Storia Medioevale all’Università degli Studi di Pisa
Responsabile regionale di Alleanza cattolica
Ora, indubbiamente, il fatto è questo, che sicuramente ciò è deplorevole, però bisognerebbe forse tenere presente che gli organizzatori di questa scuola hanno prevalentemente sottolineato un fatto, cioè che la cultura rinascimentale, che poi si è perfezionata con l’Illuminismo e con il pensiero illuminista, è indubbiamente un fatto molto importante nella formazione dell’identità europea.
Non dimentichiamo che l’Illuminismo, contrariamene a quello che si crede, non fu la causa della Rivoluzione Francese, ma fu un fenomeno che interessò molti sovrani della fine del Settecento, tanto è vero che c’erano i principi illuminati che andavano da Caterina di Russia, ma lo stesso Luigi XVI, per tacere di Pietro Leopoldo di Lorena e di tanti altri, che ebbero dei riflessi positivi anche nelle legislazioni dell’epoca che, naturalmente, ebbero un grande impulso anche a favore dei diritti umani: pensiamo ai codici leopoldini che abolivano la pensa di morte, ma che erano dei codici avveniristici, non solo per quell’epoca, ma forse anche per l’epoca attuale. E quindi, per me, anche il fenomeno illuminista che è stato un po’ sottaciuto nella relazione del prof. Tangheroni andrebbe valutato in modo più attento.
Anche perché io, poi, sono convinto che, considerato il fatto che l’Illuminismo aveva anche un’altra caratteristica, la preoccupazione di diffondere la cultura in vasti strati della popolazione, io penso che questo si sia molto meglio realizzato in Europa che all’Est, per cui se oggi noi non siamo come Khomeini o come Bin Laden, forse lo dobbiamo anche all’Illuminismo.
Indubbiamente c’è una preoccupazione del prof. Tangheroni, il fatto che l’Illuminismo, secondo lui, abbia avuto anche dei figli che si chiamano Hegel e compagnia bella. Ha avuto anche dei figli come Rosmini e come Manzoni, ha avuto dei figli come Tocqueville, il quale, non a caso, ha descritto molto bene la storia della Rivoluzione Americana e, indubbiamente, teniamo presenti questi aspetti dell’Illuminismo, non gli aspetti, diciamo, caricaturali, che sono stati deformati dalla Rivoluzione Francese. Quindi a me questo sembra un fatto molto importante.
Poi un altro fatto. Il prof. Tangheroni, riportando Del Noce, era preoccupato del fatto che Del Noce lamentasse che il principio di autorità venisse contestato [Fine facciata A 2a cassetta] nessuna contrapposizione tra il principio di libertà, che è il principio degli Illuministi, dei liberali italiani, di quelli che hanno fatto l’Unità d’Italia ecc., e il principio di un’autorità fondata ovviamente su queste libertà.
Quindi, il concetto di autorità – io non sono un filosofo e non so come Del Noce lo concepisse – ma va messo nella giusta prospettiva. È chiaro che tutti quelli che sono utopisti e che fondano le loro teorie, siano essi marxisti, siano surrealisti, o cos’altro siano, sono comunque delle persone che, di fatto, arrivano alla negazione del principio di libertà.
Risposta – Me la sono voluta!! Nel senso che se uno tocca tanti temi poi si trova nei guai! Allora, non farò una conferenza sull’Illuminismo. Dov’è il punto delicato della questione? È in una nozione che Rosmini e Manzoni, invece, avevano che non consideravano l’uomo perfetto, mentre l’Illuminismo, se Rousseau è illuminista… Se noi guardiamo la Grand Encyclopedie, che gira poco, ma io ho fotocopiato delle pagine. Le pagine, per esempio sulle Crociate o sui preti, il giudizio negativo sul Medioevo è indubbiamente illuministico.
Ma io non voglio ora qui entrare in questo problema, tra l’altro Tocqueville, ad esempio, è un autore di grandissimo valore, dal quale è partita, per altro, la critica alla Rivoluzione Francese. Ora non voglio entrare in questa questione su cui ognuno ha le sue posizioni e il discorso si dovrebbe diversificare. Ti ringrazio, invece, della domanda in questo senso: prima di tutto perché è evidente che autorità e libertà devono conciliarsi, bisogna trovare un equilibrio tra libertà e autorità come fra persona e comunità, ma la libertà di cui si comincia a parlare in un certo momento è la libertà che parte dal rifiuto dei limiti.
7Comincia dal rifiuto del primo limite, che è l’esistenza di valori al di fuori dell’uomo, la giustizia di quella citazione di Simone Weil; comincia a eliminare Dio anche come qualcosa che pone un limite alla natura dell’uomo, e questo è il processo che anche il passo di Giovanni Paolo II che ho letto in apertura indica. Quindi questo è il concetto di libertà. Se mi richiamerete farò una conferenza su Liberté, Fraternité ed Egalité nella Rivoluzione Francese e affronterò queste questioni. Però ti ringrazio anche della domanda perché non vorrei essere sembrato, come dire, uno che rimpiange il passato in modo nostalgico.
Vedete, io abito in un paese; nei paesi la bottega del barbiere è un posto dove si va, non solo per farsi fare la barba e i capelli, ma anche per fare quattro chiacchiere. E io ho sentito, dai vecchi – i vecchi cioè che appartenevano a un mondo contadino, che quello che dicevano l’avevano pensato con la loro testa, non l’avevano sentito alla televisione o letto su Panorama – una bellissima discussione se si stava meglio un tempo o ora. E, da tanti punti di vista, io non ho dubbi: si sta meglio ora.
Le vecchie lavandaie che ho interrogato andavano a Pisa a piedi con le suole di cartone. Non è questo. Però è anche vero – e qui riprendo una frase di Charles Péguy – che nel campo delle idee il progresso sia come il progresso tecnico: «non si può dire che Kant abbia superato San Tommaso così come il pneumatico ha superato la ruota di gomma piena». E d’altra parte questo processo tecnologico ha i suoi pericoli che sarebbe sciocco non intravedere. Quando parlavo di Huxley mi riferivo anche a quello. Quindi questa domanda mi ha permesso di chiarire se ci fosse stato questo eventuale equivoco.
Domanda – Ha parlato dell’89, più volte, come evento epocale. Ora, facendo poi riferimento a Del Noce, nel ’75, parlando dell’Occidente si riferiva principalmente alla guerra fredda. Tra pochi mesi vivremo un altro evento del quale volevo un suo giudizio: se si pensa che poche decine di anni fa la Russia, come si sa bene, ha invaso l’Ungheria ed altre regioni europee, si va ridisegnando l’Europa militare occidentale, per cui si presume che alla fine di maggio venga sottoscritto un nuovo patto che vede l’allargamento del Patto Atlantico e passare da 19 a 20 e quindi l’ingresso della Russia nella NATO.
Io le chiedo, appunto, se questa ridefinizione, questo concetto dinamico di Occidente e di Occidente militare può essere per lei un evento epocale anche questo o se la cosa può o deve passare così, forse in maniera secondaria. Secondo me sicuramente no e volevo un suo giudizio.
Risposta – La Russia, anche prima di cadere sotto il regime comunista, è storicamente un paese in parte orientale e in parte occidentale, in parte europeo in parte asiatico. Quale potrà essere il destino della sua storia? Vedremo. Situazione contingente, cosa c’è dietro… È difficile esprimere un giudizio, almeno lo è difficile per me. Putin è quello che se sembra, quello che vuole apparire, non lo è? È un problema aperto. Non bisogna chiedere agli storici di profetizzare il futuro, hanno già fatto tanti guai nel cambiare il passato.
Sapete, diceva uno scrittore inglese, la differenza tra Dio e gli storici? Che Dio non può cambiare il passato, gli storici sì e lo fanno spesso. Figuriamoci se si mettono a profetare sul futuro. Nel contingente lo reputo un fatto positivo. Le grosse preoccupazioni, a breve – e speriamo che possano portare un vantaggio questi rapporti – evidentemente sono per la possibilità che armi atomiche russe siano o possano finire in altre mani. A me stesso, per esempio, a suo tempo l’embargo contro l’Irak lasciò perplesso, ho anche firmato cose contro questa direzione. Ma un domani che l’Irak si impadronisse delle armi nucleari…
Abbiamo de paesi che se le sono costruite le armi nucleari, il che è diverso dal possederle anche, e sono l’India e il Pakistan. Allora, questo è uno degli aspetti per cui è possibile che, sul breve, questa collaborazione sia positiva. A medio e lungo termine – diceva Keynes «sul lungo termine saremo tutti morti», quindi non ci riguarda. Ma non è proprio così per chi pensa alle generazioni future – credo che sia un destino ancora aperto.
E, in fondo, quello che diceva Giovanni Paolo II, questo essere in una tradizione religiosa diversa, ne fa un mondo di radici cristiane, ma diverse fin dal IV secolo, e quindi, è un dialogo e una convivenza e anche una possibile amicizia e integrazione più facile, però fra realtà che hanno radici storiche parzialmente diverse. E a questo la storia può servire: a far vedere la diversità delle radici storiche.
Il futuro è imprevedibile anche perché è nelle mani libere degli uomini, e questo lo dimentichiamo spesso. Lo dimentichiamo anche quando ricostruiamo il passato in termini di necessità. Questo mi porta a fare una piccola postilla nelle osservazioni di Pedrazzoli: l’Umanesimo è stato diverse cose, come tutti i fenomeni storici, complesso. C’è stato un Umanesimo cristiano e c’è stato un Umanesimo anti-cristiano.
Forse ha figliato di più l’Umanesimo anti-cristiano. E così via per altri fenomeni storici. Importante è avere forte questo senso della libertà della storia. Noi siamo condizionati dal passato che abbiamo ricevuto, non partiamo da zero, ma il futuro è, anche, nelle nostre mani di uomini e donne liberi. Questo è bene sempre ricordarcelo. Siamo noi, ognuno in piccolissima misura, ma siamo noi i protagonisti della storia, ed è proprio per questo che alla fine la storia è imprevedibile.
Domanda (si sente poco) – Volevo sapere in cosa consiste la differenza tra la religione cristiana e quella ebraica?
Risposta – Anch’io me le voglio le cose!! Allora, intanto c’è un problema che è molto forte. Io conosco Israele e il problema è molto forte e molto sentito. Anche Israele è stata toccata dalla secolarizzazione. Questo non lo si sa, ma il Sionismo, Hertzl, è un movimento del tutto laico. Quello che Hertzl voleva – fondatore del Sionismo – alla fine dell’Ottocento, anche vedendo i segni – l’affare Dreyfuss in Francia, ecc. – di un antisemitismo che stava nascendo, per il suo popolo disperso la riunione in un unico paese e compiere una rivoluzione nazionale come l’avevano compiuta, nell’Ottocento, gli italiani, i tedeschi, ecc.
Il Sionismo in un certo senso ha perso, perché non è vero che tutti gli Ebrei sono andati in un’unica terra, anzi, ce ne sono molti di più fuori. Ora, io che sono stato in Israele e che ho molti colleghi e amici israeliani, so bene che loro hanno un problema, come il nostro, di secolarizzazione. La maggioranza degli Ebrei non è praticante, non è, di fatto, credente. Però questo pone un grosso problema di identità: chi è israeliano? Chi ha diritto a chiedere la cittadinanza israeliana?
Quando si va a Gerusalemme, per salire dal Muro del Pianto alla Spianata del Tempio, un cartello dei due grandi rabbinati d’Israele, cioè quello Sefardita e quello Askhenazita, proibiscono di salire sulla spianata del tempio perché si potrebbe calpestare, non essendo più identificabile, il Sancta Sanctorum, la parte sacra alla quale non si potrebbe accedere sulla quale sorgeva, un tempo, il centro del Tempio. E un solo collega israeliano ci ha accompagnato sulla spianata del Tempio e tutti gli altri, come Ashtor, che non erano assolutamente credenti erano, in un certo senso, praticanti e osservanti.
Io ho una nonna materna ebrea e credo che avrei diritto a chiedere la cittadinanza d’Israele, perché per la legge ebraica la discendenza femminile è l’unica che conta quindi io sarei ebreo al 100%, ma un Domenicano che era in questa condizione e che chiese la cittadinanza ebrea ha provocato un caso finito all’Alta Corte israeliana che non so poi come si è pronunciata. Allora, questo per dire quanto sia complicato.
La riscoperta dell’Ebraismo – Hertzl non conosceva l’ebreo, era laico – è avvenuta proprio alla ricerca di un’identità e di qui il carattere religioso che ha lo stato d’Israele, perché in Israele, per esempio, il diritto matrimoniale, per i matrimoni dei cittadini cattolici – che ce ne sono – israeliani decidono i tribunali cristiani, per il diritto matrimoniale arabo decidono i tribunali arabi, ecc. È uno stato, in un certo senso, a diritto religioso.
In Israele non esiste una costituzione, proprio per difficoltà di questo tipo. Detto questo, sulla realtà complessa che ha l’Ebraismo – appunto Israele non si identifica col Sionismo, non si identifica con la religione, ecc. – dal punto di vista della visione della storia in qualche modo, e non potrebbe essere diverso, il Cristianesimo ha una visione simile a quella dell’Ebraismo. Non una concezione ciclica del tempo, ma una concezione lineare.
Anche nell’Ebraismo Dio agisce costantemente nella storia e l’Antico Testamento ce lo fa vedere. Solo che è una concezione proiettata in modo indefinito, è una linea che non ha un moneto centrale, va in avanti ma che non si sa fino a quando. Mentre per il Cristianesimo, questa storia che ha, come per l’Ebraismo, una dimensione lineare non ciclica, però al centro di questa linea c’è un momento centrale che, per il Cristianesimo, è appunto la pretesa di essere l’unica religione vera e che Dio si sia incarnato nella storia.
E allora, questo punto centrale che definirei “il punto del già e non ancora”, il momento in cui – nella visione della storia che è propria del Cristianesimo – la battaglia decisiva è già vinta, anche se la guerra, in un certo senso, deve finire, pur con un destino segnato, c’è un momento centrale, c’è un prima e c’è un dopo, mentre per la concezione ebraica della storia c’è solo un indefinito futuro.
Domanda – Il problema che le pongo è questo: ha usato per la seconda volta l’espressione bellissima “Dio si è incarnato nella storia”. Ha parlato poc’anzi, invece, della libertà individuale. Questo rapporto quando scatta? E qual è il senso di Dio nella storia e se riesce a dare una direzione a questa storia, l’intervento di Dio, umanizzandosi?
Risposta – Dio ci ha dato un punto di riferimento. Agisce indubbiamente nella storia ma, così ha voluto – e rientra poi nel discorso dell’autonomia umana – che gli uomini fossero gli attori principali della storia. È il segreto, poi, della libertà umana e il dramma della spiegazione del Male. Quando i cristiani vinsero la Prima Crociata (Dio lo vuole! Dio lo vuole!), poi hanno cominciato a perderle e a domandarsi come mai Dio non voleva più la loro vittoria, hanno cominciato a cercare le risposte nelle loro colpe, nei loro peccati, ecc.
Però anche Dante dice: «se licito m’è, o sommo Giove» e mette queste parole in bocca a San Pietro, e si chiede perché Dio non interviene. Perché Dio non interviene continuamente nella storia? Se Dio esiste sarebbe facile, è l’Onnipotente per definizione. E qui sta poi il mistero della libertà umana per un credente, per un cattolico. E la constatazione per un non-cattolico, a cielo chiuso, della libertà umana.
Vedete, normalmente, Dio, certo, fa i miracoli, però chiede una partecipazione dell’uomo e ve lo spiego con un esempio evangelico: la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Qual è la domanda che fa Gesù? Ci sono dei pani e ci sono dei pesci? C’erano 3 pani, 5 pesci, le cifre cambiano secondo i diversi Vangeli sinottici. Ma, già che c’era, uno potrebbe dire – scusate se mi esprimo così banalmente – che domanda ha fatto? Tanto valeva che anche per il primo pane e il primo pesce lo facesse lui il miracolo. No? Poteva partire dal nulla.
Che insegnamento c’è dietro? C’è dietro che l’uomo ci deve mettere del suo. E questo vuol dire che noi non possiamo sfuggire alla nostra responsabilità nella storia. L’uomo ci deve mettere del suo. Dice un proverbio persiano, mi pare: “la storia è come un tappeto che noi vediamo al rovescio”. Se vediamo un tappeto al rovescio noi capiamo che c’è un disegno, ma qual è questo disegno? Non lo vediamo preciso. Un altro proverbio portoghese dice: “Dio scrive diritto con linee storte” e noi vediamo i segmenti, non il disegno complessivo.
Allora, il credente sa che c’è una direzione nella storia che, fra l’altro, è la storia della Salvezza, c’è un compimento del tempo, sa che il compimento definitivo di questa storia è segnato, perché il Dio incarnato in cui crede ha detto «Io ho vinto il mondo». Ma la stessa Apocalisse ci dice come finirà il mondo, non ci dice quando finirà il mondo. Allora, da tutto questo cosa voglio dire? Che forzare, come a volte nel Medioevo si è fatto o ancora Bossuet faceva, nello spiegare dettagliatamente i disegni della Provvidenza bisogna stare molto attenti.
C’è un senso generale della storia che noi abbiamo, c’è un punto di riferimento che c’è, ma il cristiano non ha i segreti per leggere tutti i dettagli, per ricostruire tutto il disegno. Questo vale per la storia come vale per gli individui. Il problema del credente che si domanda “perché mi accade questo?”. Non ha la spiegazione pronta. Non esiste il Manuale delle Giovani Marmotte per interpretare la storia alla luce della Provvidenza.
È molto difficile, anzi, non bisogna farlo. C’è un passo diciamo stranissimo del Vangelo in cui Cristo, a proposito della fine, dice «nemmeno il Figlio conosce l’ora». Ma, aldilà della spiegazione, l’ammonimento qual è? Non forzate la lettura della storia! Ripeto: l’Apocalisse descrive il come finirà la storia, per categorie simboliche, non il quando finirà la storia. Trascrizione non rivista dal relatore