Da padre Damiano Puccini, missionario in Libano, riceviamo queste informazioni, raccolte da profughi iracheni in Libano
Alcune chiese sono chiuse, gli ultimi attentati hanno aumentato la paura, la gente non va in parrocchia, e, quando ci va, lo fa di nascosto. I Sacramenti si celebrano nei locali sotterranei, nel segreto. I cristiani sono confinati in casa e sono stanchi di questa situazione. Per questo molti, tormentati da questa nuova oppressione che viene dal pericolo terrorista, preferiscono emigrare. E’ la situazione descritta da fonti locali di Fides sull’attuale situazione dei cristiani in Iraq.
«Le condizioni di noi cristiani sono peggiorate», dicono le fonti di Fides nella chiesa siro-cattolica, all’indomani dell’episodio del rapimento e della liberazione dell’Arcivescovo siro-cattolico Mons. Basel Geroge Casmoussa. «Il gesto, come quello degli attacchi alle chiese, ha un significato altamente simbolico: i terroristi vogliono intaccare nel profondo la fede, le certezze, l’identità stessa dei cristiani».
Le famiglie cristiane hanno paura per i loro bambini e le loro donne, per questo molte fuggono dal paese. Dopo il primo attentato alle chiese di Baghdad, nell’agosto 2004, già oltre 4.000 famiglie cristiane sono fuggite in Siria e Giordania. Anche se altri fedeli dicono di voler restare e di non aver paura di morire. Nella storia dell’Iraq sono già avvenute stragi della comunità cristiana. I cristiani hanno definito il 1 agosto 2004 – il giorno degli attentati alle chiese, un grave atto intimidatorio avvenuto per la prima volta nella storia dell’Iraq – “giorno del sangue”. E l’altro attentato alle chiese del 16 ottobre scorso dimostra che le minacce continuano.
I fondamentalisti islamici vogliono cacciare i credenti in Cristo dall’Iraq: dicono che l’Iraq è una terra musulmana. I gruppi radicali trascinano gli altri fedeli musulmani, che spesso sono fomentati dai loro capi. Fonti di Fides in Iraq affermano che l’80% dei mullah sono predicatori di odio e alimentino il fondamentalismo. Purtroppo, se continuerà questa tendenza, ben presto l’Iraq sarà una terra senza cristiani.
Le fonti notano che molti cristiani continuano a lasciare l’Iraq, presi dalla paura, fuggendo soprattutto in Giordani e Siria: il numero degli esuli, secondo alcuni dati non ufficiali, potrebbe aver già raggiunto quota 40.000 persone. Ma molti cristiani, religiosi e laici, dicono a Fides: «Noi non potremo mai lasciare la nostra terra. Siamo iracheni e resteremo nel nostro paese. Inoltre noi cristiani qui abbiamo una tradizione millenaria, che risale a molti secoli prima dell’arrivo dei musulmani».
I cristiani in Iraq, ricorda la fonte di Fides, appartengono al gruppo Assiro-caldeo, il terzo gruppo etnico presente oggi in Iraq, dopo arabi e curdi. Gli Assiro-caldei sono i discendenti del popolo degli Assiri che abitavano la Mesopotamia 6.700 anni fa, con capitale Ninive. Gli Assiro-caldei non sono arabi e hanno mantenuto nei secoli una identità, lingua e cultura propria, precedente all’arabizzazione. Furono i primi ad accogliere il messaggio cristiano nel I sec. d.C. in seguito alla predicazione di San Tommaso Apostolo (40 d.C) e dei suoi discepoli.
Nonostante l’avvento degli arabi musulmani nei secoli successivi (le conquista arabe del VII secolo e la definitiva assimilazione nell’Impero Ottomano nel sec. XVI), gli Assiro-Caldei mantennero la loro cultura, lingua semitica (l’aramaico) e religione, subendo anche persecuzioni e massacri. Nell’era moderna, durante la Prima Guerra Mondiale, la Gran Bretagna li annoverò fra i propri alleati e gli Assiro-caldei subirono per questo la violenta repressione dell’Impero Ottomano.
Oggi in Iraq gli Assiro-caldei sono circa 2 milioni, stanziati perlopiù fra Bagdad e Mosul, ma considerando la diaspora nei cinque continenti, si arriva a circa 4,5 milioni di persone. Come cristiani hanno sempre espresso il loro desiderio di contribuire alla costruzione del nuovo Iraq.
«Ai cristiani occidentali chiedo prima di tutto di pregare per la pace, poi di sensibilizzare l’opinione pubblica e di fare pressione sui governanti perché l’azione politica sia basata sul dialogo, e non sugli interessi economici e commerciali» ha detto S.E. Shlemon Warduni Vescovo ausiliare caldeo di Baghdad, nella sua testimonianza a Sguardi sui cristiani del Medio Oriente, lo spazio culturale promosso da Custodia di Terra Santa, Edizioni Terra Santa, Azione cattolica italiana e Forum internazionale di Azione cattolica in occasione del Sinodo sul Medio Oriente.
Mons. Warduni descrive così la situazione del suo Paese: «La situazione è molto tragica: abbiamo vissuto tante guerre, il regime, le sanzioni che ci hanno strangolato poco a poco fino a farci quasi morire, e poi l’occupazione degli Alleati. Morti ammazzati, mutilati, orfani, vedove: c’è la guerra e c’è il fondamentalismo, e da sette anni continuiamo ad andare indietro. La guerra ha segnato bambini e giovani soprattutto: c’è la rassegnazione di non avere un futuro, di non avere la garanzia di una vita sicura nel proprio Paese. Vorremmo la democrazia, ma la democrazia non è, come da noi, uscire di casa senza sapere se si rientrerà»
«Non si può parlare di guerra civile vera e propria» ha affermato Mons. Warduni ma «il peggior nemico degli iracheni è il fondamentalismo religioso». (L.M.) (Agenzia Fides 18/10/2010)
«Urge un’inchiesta internazionale delle Nazioni Unite per indagare e capire chi c’è dietro le continue violenze e gli attacchi alla comunità cristiana in Iraq»: è quanto dice in un’intervista all’Agenzia Fides S. Ecc. Mons. George Casmoussa, Arcivescovo siro-cattolico di Mossul, presente a Monaco di Baviera su invito di Missio, le Pontificie Opere Missionarie in Germania. L’Arcivescovo terrà diversi incontri anche con i Vescovi tedeschi, ragguagliando sulle critiche condizioni dei cristiani in Iraq.
Mons. Casmoussa è intervenuto sull’attuale fase calda nello scenario iracheno, dopo gli attentati in serie del 10 maggio (20 esplosioni e 125 morti in una sola giornata), mentre un leader di primo piano come Iyad Allawi ha prospettato perfino il rischio di una nuova “guerra civile settaria” in Iraq. L’Arcivescovo ha detto a Fides : «Tutti parlano della pace e dicono di volerla, ma chi si fa realmente operatore di pace? Una responsabilità chiave sta nei nostri politici che devono dare prova di avere a cuore il bene e la sicurezza della popolazione irachena. Se i politici hanno rapporti all’insegna della pace, della maturità, della correttezza, tutto il paese sarà in pace».
In questo scenario, la presenza dei cristiani e delle altre minoranze religiose si fa sempre più difficile: «Noi cristiani chiediamo un luogo dove poter vivere pacificamente, coltivando la nostra fede e contribuendo allo sviluppo e al progresso della nazione», sottolinea l’Arcivescovo. «Abbiamo bisogno che il governo ci garantisca protezione contro chi vuole eliminarci. Dopo numerose violenze e attacchi subiti, ho chiesto l’intervento delle Nazioni Unite non per un nuovo contingente militare, ma per avviare una inchiesta che accerti chi c’è dietro questi continui atti di violenza contro i cristiani».
In questa fase la comunità internazionale e i governi occidentali «sono chiamati a fare pressioni perchè in Iraq si mettano in moto tutti gli strumenti necessari per garantire la vita delle minoranze».
Anche le parole e gli appelli del Santo Padre nota Mons. Casmosussa, «costituiscono per noi un grande aiuto, un incoraggiamento e un forte sostegno psicologico. Le avvertiamo come parole di un padre che si prende cura dei suoi figli. A tutta la Chiesa universale chiediamo di continuare a prendersi cura del piccolo gregge dei fedeli iracheni».