Rassegna Stampa lunedì 21 settembre 2009
di Aldo Ciappi
Non è possibile relegare anche questa volta nelle pagine della cronaca nera l’uccisione a coltellate di Sanaa, la diciottennenne marocchina di Pordenone, da parte del padre. E’ giunto il momento per tutti noi di fare i conti con la realtà.
Di tragedie familiari ne sperimentiamo tutti i giorni: di genitori che uccidono i figli, a cominciare da quelli ancora non venuti al mondo, e viceversa, sono piene le pagine dei giornali tanto che, ormai, si ingurgitano notizie del genere con gli stessi automatismi con cui si sorseggia il cappuccino mattiniero, passando rapidamente alla pagina sportiva.
E’ la società dell’indifferenza, ce lo diciamo sempre, in cui siamo immersi: stuprano una donna nel metrò e i passanti si girano dall’altra parte e proseguono. Ma questa volta non si tratta (solo) di stigmatizzare un’ indifferenza generale verso un efferato delitto; questa volta (e non è certo la prima) il movente dell’assassino è qualcosa di ben più angosciante: il padre, mosso da un imperativo di obbedienza assoluta alla propria religione, ha punito personalmente ed esemplarmente la propria figlia perché ella aveva disobbedito alla legge coranica che le impone una sottomissione assoluta all’autorità familiare (maschile) e le vieta di legarsi sentimentalmente ad un “infedele”.
Questa, dunque, è la motivazione che ha spinto l’uomo, probabilmente sostenuto e incalzato all’azione da qualche “imam” (guida) locale, a recidere in questo agghiacciante modo il più profondo dei legami affettivi naturali, carne della propria carne, una bellissima ragazza di appena diciotto anni, colpevole soltanto di seguire, in maniera forse troppo esuberante o, secondo alcuni incosciente, tipica di quell’età, il suo desiderio di vivere la propria vita in mezzo ai suoi coetanei italiani.
In questo (come in tanti episodi più o meno analoghi che l’hanno preceduto nell’oblio generale) non possiamo non cogliere tutta la drammatica incompatibilità con il nostro indelebile modo di pensare, sedimentato nella coscienza di ciascuno in secoli e secoli di cristianesimo, aperto al perdono ed alla riconciliazione da parte dei genitori verso quei figli che decidono di allontanarsi dalla traccia educativa trasmessa loro e che si impone sull’istinto di vendetta e di riparazione dell’onore violato che pure talvolta, ma assai di rado, anche nella nostra cultura riesce ad imporsi.
L’esemplarità e la fredda predeterminazione dell’ “esecuzione” della ragazza da parte del padre (in tutto simile al caso di Hiina, risalente a circa tre anni fa) fa emergere il macigno culturale che grava sul modo di pensare di tutta questa povera gente, entrata senza alcun filtro o controllo nel nostro paese a cercar fortuna e chiama duramente in causa la responsabilità di coloro che non hanno fatto mai nulla per affrontare il nodo della loro integrazione (che è quanto di più delicato si possa immaginare) con il nostro modo di vivere, nascondendosi dietro il comodo feticcio di un gaio “multi-culturalismo”, portatore, chissà perchè, di un valore aggiunto “a prescindere”.
Sarebbe ora che la nutrita schiera di esponenti del mondo politico, culturale e religioso, i quali ancora oggi ostinatamente cercano di occultare con la loro irresponsabile retorica la gravità del problema, ammettano il fallimento delle filosofie “buoniste” a senso unico e si facciano finalmente da parte.
Sarebbe anche ora che si proceda ad una moratoria nella costruzione delle moschee ed alla redazione di uno scrupoloso inventario dei “luoghi di preghiera” dove si riuniscono i fedeli dell’Islam e delle loro “guide religiose”, in modo da avere un quadro preciso del brodo di cultura in cui vengono tirati su questi immigrati onde poter intervenire ogni qualvolta siano inculcati loro, da parte di questi “imam” (quasi sempre autoreferenti o addirittura con referenti, anche economici, fuori dal nostro paese), dei principi in contrasto con le nostre leggi fondamentali in materia di parità di diritti e di dignità tra i sessi, di libertà di espressione e di culto, anche all’ interno della loro comunità, ecc..
Non sarebbe poi così male, nello stesso tempo, imporre l’affissione all’ingresso di detti luoghi dei relativi articoli della nostra costituzione che tali principi sanciscono e l’obbligo, per i responsabili di tali comunità, di ottenere l’ accreditamento alla loro funzione da parte dei gruppi islamici moderati riconosciuti dal nostro Stato, nonché di prestare un atto formale di ossequio ad essi.
Senza, peraltro, trascurare un sistematico monitoraggio da parte delle forze dell’ordine circa gli spostamenti in entrata e in uscita degli “imam”, nonché sui modi di finanziamento delle suddette comunità che devono essere del tutto trasparenti. Alcune di queste procedure sono già in atto, ma l’opinione pubblica non ha la minima percezione che vi sia un effettivo ed incalzante controllo su ciò che avviene all’interno delle comunità islamiche, laddove esse si dotano di “strutture” sempre più ampie, di “scuole coraniche”, di “luoghi di incontro”, ecc.
Senza invocare per essi uno stato di polizia, che non si vorrebbe mai per nessuno, alla luce del ripetersi di questi episodi tutt’altro che sporadici (senza arrivare all’omicidio, si registrano quotidiani soprusi e violenze fisiche e morali contro le donne, contro chi intendesse convertirsi al cristianesimo, ecc.) e prima che cali su di essi la solita cappa di silenzio e di ipocrisia (meglio parlar d’altro no? Di calcio, di escort, di super enalotto…) c’è da chiedersi che cosa debba mai accadere ancora affinché ci si muova decisamente in questa direzione.
E che cosa deve ancora accadere affinché lo stuolo delle (attempate) femministe, con figlie e giovani nipoti al seguito, si decidano a lasciare i loro comodi salotti per riversarsi, alla vecchia maniera, sulle nostre piazze, a lottare contro il potere maschilista islamico ed in favore di quelle povere donne ridotte in schiavitù?
Sta a vedere che, proprio adesso che (finalmente) c’è una nobile battaglia da combattere, se ne stanno tutte rintanate in casa (già; non sarà perchè qui non si tratta più di prendersela con il Papa e i cattolici che, si sa, devono “porgere l’altra guancia”?).