Bouchra ha 35 anni, è marocchina e schiava dei nostri tempi. Sottomessa ai dettami della sharia (la legge islamica), costretta a subire la tirannia del marito padrone. Un uomo di 40 anni, stessa nazionalità, uguale religione
di Fawzia Tarek
TRENTO – Poligamia, un secco no a “concedere il ripudio” e tanta violenza. Bouchra ha 35 anni, è marocchina e schiava dei nostri tempi. Sottomessa ai dettami della sharia (la legge islamica), costretta a subire la tirannia del marito padrone. Un uomo di 40 anni, stessa nazionalità, uguale religione. Se lei disobbedisce e non si concede perché lui divide la casa e il letto con un’altra donna, l’ammazza di botte.
Prende in mano il coltello e davanti ai bambini minaccia di risperdirla a Rabat, dov’è nata. «Ti ci mando a pezzi, dentro un sacco nero», urlava Hakim Driouache, rincorrendola intorno alla tavola della cucina, con la lama puntata contro il cuore di lei. Un giorno, vicino all’ingresso secondario del cimitero di Trento, le ha rotto le ossa della faccia con un pugno. Questo perché sua moglie aveva osato parlare senza il suo consenso.
Piange Bouchra mentre racconta di quel pomeriggio: « “Stai zitta, taci”, mi diceva. “Tu non devi parlare, altrimenti ti spacco la bocca!”. Avevo osato dirgli che doveva smettere di torturami, di riempirmi di botte davanti ai bambini solo perché chiedevo rispetto. Così lui mi ha rotto la faccia ». Lei ha raccolto il coraggio, è andata davanti a un giudice e ha chiesto la separazione. Ma Hakim nel frattempo l’aveva già punita, nel modo più tremendo, portandole via i suoi amori. Youssef e Zohra, due anni e mezzo lui, un anno lei. Li ha rapiti un pomeriggio d’agosto, con la scusa di accompagnarli in piscina. Dal ’97 li tiene prigionieri in Marocco, nonostante il Tribunale di Trento li abbia affidati alla madre, con sentenza datata 15 marzo 2002.
Questa signora (lavora in regola all’autogrill di Rovereto) ha accettato di parlare. Ci ha fatto entrare nel suo appartamentino che sta a dieci minuti dalla stazione di Trento e ha lanciato un appello alle autorità italiane, perché l’aiutino a riportare a casa i suoi bambini. «Mio marito ha cominciato a diventare violento quando l’ho raggiunto in Italia e ho partorito sua figlia. Zohra è una femmina, lui voleva un maschio. Ma io il maschio glielo aveva già dato.
Non c’era motivo di reagire in quel modo. E di costringermi ad abitare con la sua seconda donna, senza neanche ripudiarmi. Oltretutto lei era inferiore a me: Dio non le ha proprio dato la possibilità di avere figli». Piange Bouchra, mentre gira le pagine di un album con le foto dei bambini: «La religione islamica e la nostra legge consentono all’uomo di avere una seconda moglie, ma solo se lui è in grado di mantenerla. E questo non era certo il caso di Hakim, se c’era un piccolo problema lui non si presentava al lavoro. E a un certo punto ha anche perso lo stipendio. Un uomo ha diritto alla seconda donna se la prima è vecchia o non ci sta con la testa. Ma io sto bene, sono più giovane di lui e anche della sua amante».
La storia di Bouchra comincia diversi anni fa, nell’estate del ’95, quando raggiunge il coniuge in Italia, con regolari permessi. Si erano sposati quattro anni prima, a Rabat, dove lei aveva continuato a vivere. Il loro percorso è simile a quella di tanti altri stranieri che contraggono matrimonio nel loro Paese e si riuniscono dopo anni: «Sono arrivata a Trento un mese prima di partorire la bambina. Ero felice perché la nostra famiglia si sarebbe finalmente riunita. La piccola stava per nascere e io avevo il problema di Youssef. Qualcuno doveva occuparsi di lui. Hakim si rifiutava: Sono impegnato, devo montare mobili, non posso guardarlo”, protestava.
Alla fine sono arrivate le doglie e lui mi ha costretta a portarlo a casa di una sua amica, a Bolzano. Più tardi ho capito che avevano una relazione. Ma io avevo obbedito e Youssef di colpo si è trovato nelle mani di quella marocchina (anche lei sposata, con un camionista italiano). Io intanto ho partorito la femmina, in solitudine. All’ospedale non si è presentato nessuno per tre giorni. Mio marito, ilmio bambino e quella donna… più niente», racconta e si asciuga le lacrime Bouchra.
«Ero disperata, umiliata. In quella clinica di Bolzano parlavano tutti tedesco, non riuscivo a dire che avevo un marito anch’io, come le altre donne appena diventate madri. Volevo sapessero che Zohra aveva un padre. Ma lui l’ha fatta passare per una bastarda ». E com’è finita? «Il quarto giorno si è presentata l’amica di mio marito. Mi disse: “Youssef sta bene e Hakim è impegnato. Mi prendo cura io di te”.
Ma il colpo di scena è arrivato quando lui, con un serie di bugie l’ha portata in casa nostra. Era il giorno in cui abbiamo sgozzato l’agnello e dato un nome alla piccola. Da allora quella donna non se n’è più andata. “Dio non le ha dato figli”, ripeteva Hakim. Tenerla con noi è il solo modo per ricompensare la sua gentilezza nei nostri confronti». Da questo momento sono cominciate le violenze. «Pretendeva che io mi concedessi a lui anche se c’era l’altra.
Negava fosse la sua amante e la trattava meglio di una moglie. Quando allattavo mi chiudeva in camera a chiave. Diceva che non dovevo essere disturbata, intanto faceva i suoi comodi con l’amante. Eppure non ne voleva sapere di chiudere con me e quando Zohra aveva solo nove mesi sono rimasta incinta di nuovo. Ho dovuto abortire, mi hanno costretta e per me è stato come morire. Lui mi picchiava tutte le sere. Ho minacciato di tornare in Marocco e così mi ha rubato tutti documenti».
Una sera Bouchra ha ingoiato un intero flacone di pasticche. Youssef ha visto la mamma cadere sul pavimento tutta sudata e ha pianto, è arrivata l’ambulanza e all’ospedale di Trento l’hanno salvata. Ma quello non era il primo ricovero.
Ci sono 11 denunce – querela nei confronti del marito che la riempiva di pugni. Hakim Driouache è stato condannato a quattro mesi di carcere dal Tribunale di Trento, il giudice ha pronunciato la sentenza il 19 gennaio di quest’anno, ma il marocchino si trova già in un carcere della Spagna. «Ha promesso che quando uscirà di galera verrà a sgozzarmi», dice Bouchra. E questa minaccia è rintracciabile anche nella sentenza di condanna. Ma lei ripete di non avere paura. «Non mi importa delle sue minacce. E nemmeno del male che mi ha fatto, delle botte che mi hanno segnato il corpo, delle umiliazioni subite.
Voglio solo riportare a casa i miei figli. Youssef e Zohra sono prigionieri nella casa della mia ex suocera, in Marocco. Ma loro non sono orfani, hanno una mamma che li aspetta. Qui è tutto pronto per loro. Ho un lavoro e uno stipendio fisso ma non posso tornare al mio Paese, perché Hakim mi ha denunciata per abbandono del tetto coniugale. E nel mio Paese questo è un reato grave». L’Italia è piena di storie simili a quelli di Bouchra. E anche di più strazianti. Libero ne racconterà qualcuna. Intanto i consolati arabi nel nostro Paese registrano centinaia di casi che coniugano la poligamia alla violenza. Ma preferiscono tacere. Contando sulla ritrosia delle autorità italiane a intervenire.