Dopo l’articolo di Alessandro Gnocchi, critico su Tiziano Terzani , il nuovo “santone” della sinistra radical chic, interviene anche Socci, polemicamente ripreso con una “lettera al giornale” da uno dei seguaci. Segue la pungente risposta (n.d.r.)
di Antonio Socci
Le loro risposte sono un po’ da “indignati speciali”, ma meritano attenzione. Intanto costoro esigono che Gnocchi “ragioni con il cuore”. Bello, ma perché poi trinciano giudizi spietati su chi dubita del loro guru? Il loro candido mondo ecopacifista, che non parrebbe attraversato da grandi letture critiche, sembra tuttavia rinfrescato da una sincera domanda religiosa.
Infatti tuonano contro il “capitalismo” e la “società della tecnica” dove peraltro sembrano vivere agiatamente (come quelli del ‘68, la generazione di Terzani, incendiari diventati facoltosi pompieri). Ma si scagliano soprattutto contro il “materialismo”. E questa è una novità. Che vorrà dire questo inveire contro il materialismo?
Furio Colombo scrive sull’Unità: “il mondo raccontato da Terzani è una grande avventura di esseri umani veri, doloranti, felici, capaci di gioia e di sogni, che non hanno voglia di diventare reclute del rigoroso esercito dei consumi, senza convertirsi al supremo ordine del profitto”. Bello. Mi chiedo se Colombo da presidente di Fiat America disdegnasse i “consumi” e il “profitto”. Ma questi devoti di Terzani che tuonano contro il “materialismo” sono forse degli asceti, che campano di elemosina, vestono un povero saio, digiunano due volte alla settimana, che vivono, in totale castità, di contemplazione e preghiera? Non risulta. E allora contro quale “materialismo” tuonano
Contro quello degli altri. Cosa facciano loro per sentirsi fuori da codesta orrida categoria non è chiaro. Si capisce solo che si sentono coraggiosi anticonformisti nella tetra società materialista, del capitalismo e della tecnica. Sembra sfuggire loro che il “caso Terzani” è un fenomeno mediatico, costruito col meccanismo industriale delle mode, proprio da tv, case editrici, internet e giornali, ovvero dal circo dei media consumisti in cui peraltro il guru ha lavorato – molto stimato – per decenni.
Ad aprile l’amministratore delegato della casa editrice Longanesi, Stefano Mauri, comprensibilmente si leccava i baffi vedendo le tirature dell’ultimo libro di Terzani: “non sarò soddisfatto finché non raggiungeremo il milione”. Aveva ragione. Aveva un affare fra le mani ed era intenzionato a farlo fruttare più possibile. Meno comprensibili sono i devoti di Terzani, così obbedienti e funzionali ai meccanismi del mercato che credono di contestare.
Lungi da me l’irridere a questo fenomeno che probabilmente manifesta un’ansia sincera, una vera domanda di “spiritualità”. Il dubbio è sulla fontana a cui si abbeverano. E’ una fresca sorgente di montagna o un vecchio chiosco di bibite di fabbricazione industriale che semplicemente inalbera la bandiera della pace e qualche simbolo noglobal?
Conosco gente veramente anticonformista che ha seriamente rifiutato la “società materialista”. Un esempio – ma potrei farne tanti altri – sono due giovani ragazze entrate nel monastero di clausura di Trevi, fra le clarisse, e la gioia che esprime il loro volto fa pensare che davvero abbiano trovato la felicità.
L’anticonformismo è questo.
Infatti non è di loro che parlano i media consumisti (che anzi ridicolizzano in ogni modo la loro fede), non è con loro che le case editrici fanno affari. Loro non fanno mercato, non sono un target interessante per i pubblicitari. Terzani sì, invece. Qualcuno, fra i suoi devoti, ogni tanto è assalito dal dubbio: “Il messaggio di Tiziano in questi ultimi due anni è arrivato a tantissima gente, i suoi ultimi due libri hanno venduto oltre un milione di copie, c’è tantissima attenzione attorno al personaggio…. Questo è bello,” scrive il fan. ”Ma è anche pericoloso… I pescecani dell’editoria spalancano la bocca affamati…. I suoi libri si trovano negli autogrill di fianco alle riviste di gossip….non credo gli avrebbe fatto molto piacere…”.
Il dubbio viene anche a loro, ma poi si consolano subito dicendo a se stessi che a Tiziano non avrebbe fatto piacere. Ma come no? Era lui che scriveva quei libri e c’è da credere che volesse venderli. Dunque Terzani negli autogrill, a fianco delle riviste di gossip. Merce del grande mercato come ogni altro prodotto. Come l’odiata Coca Cola. Come le scarpe Nike. Un prodotto che fa tendenza. Che tira. Che l’industria mediatica e culturale cavalca.
Le mie amiche clarisse invece, nella loro clausura umbra, loro sono totalmente controcorrente. Rinunciare al mondo, rinunciare alla carne, come si dice in linguaggio biblico, nella società “materialista” suscita solo ironie. E’ troppo. Per scegliere la verginità e la castità a 20 anni ci vuole troppo coraggio, troppo eroismo silenzioso. Nel facile mercato delle chiacchiere non c’è posto per l’eroismo praticato.
Invece al mercato dei libri tirano quelli di Terzani. Il quale non era un discepolo di Gesù Cristo come le due clarisse di cui ho parlato che lo amano e vivono per Lui. Però – ci racconta La Repubblica – il “grande giornalista”, che riteneva antiquata la Chiesa, credeva a “un indovino” e per questo “non prese l’aereo per un anno” (a quanto pare per salvarsi da un incidente aereo). Sarà anche una nuova spiritualità, ma a me fa sorridere. Lo scrittore inglese, convertito, Gilbert K. Chesterton descrisse bene il fenomeno: “da quando non credono più in Dio, non è che non credano a nulla, credono a tutto”.
Non si crede a Gesù Cristo, ma al ciarlatano indiano o all’indovino che legge i fondi di bicchiere sì. Magari pure agli oroscopi. Le mail dei fan poi concordano che il “grande giornalista” oltre al capitalismo denunciò anche “le profonde contraddizioni strutturali del comunismo e le atrocità di tutti i regimi totalitari.
Quindi non può essere sospettato di faziosità”. Mi chiedo se conoscano i fatti. Penso al padre Piero Gheddo. Il missionario fu tra i primi, nell’Italia degli anni Settanta, a far conoscere le atrocità che si verificavano nel Vietnam conquistato dai comunisti. E si prese insulti come “servo degli americani”. Poi l’evidenza si impose, ma dopo.
Ho qui davanti a me un suo libro del 1979: “Vietnam-Cambogia. Non stiamo a guardare”. A pagina 10 cita un articolo di Terzani sull’Espresso: “Il Vietnam che ha fallito”. Scrive padre Gheddo: “Terzani due anni fa attaccava quanti osavano affermare la violazione dei diritti dell’uomo in Vietnam! Ora Terzani usa un linguaggio ben più duro, senza spiegare perché fino a poco tempo fa difendeva quel regime”.
Padre Gheddo fu anche tra i primi a denunciare il genocidio perpetrato dai Khmer rossi in Cambogia. E il “grande inviato” Terzani? Cosa scriveva e pensava dei macellai comunisti che, fra 1975 e 1979, massacreranno 2 milioni di persone su 7 milioni di abitanti? Lo raccontò in un famoso articolo uscito su Repubblica, il 29 marzo 1985, col titolo “Pol Pot, tu non mi piaci più”.
A rileggerlo si capisce quanto fu cieco il giornalismo dei “grandi inviati”. Infatti Giampaolo Pansa ne ha riprodotto gran parte nel suo libro “Carte false”. E subito dopo Pansa pubblicò anche la lettera di commento, uscita sempre su Repubblica, della lettrice Fiorella Franceschini che strapazzò Terzani: “Quella che vuol sembrare una onesta autoaccusa è in realtà un facile lavaggio di coscienza. Chi risarcisce tutta quella generazione che credette ai rapporti giornalistici di chi era in prima fila sul posto? Ora scopro che impunemente si può dire: ‘Ho sbagliato, ero lì a vedere ma ho sbagliato a giudicare; ero un giornalista, un professionista e ho dato giudizi distorti; ho visto eccidi di civili compiuti dai Khmer rossi e li ho giudicati strumentalmente camuffati dalla Cia perché le ideologie dovevano essere sostenute anche a dispetto dell’accaduto’. I giovani degli anni Settanta, signor Terzani, avrebbero preferito sapere la verità allora”.
Dunque Terzani maestro di vita? No grazie. Molto meglio qualunque parroco di paese o qualunque umile suorina.
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Libero – 1 agosto 2006
Botta e risposta sul “popolo di Terzani”
Buongiorno dottor Socci,
sono Max De Martino e coordino da sette anni il sito dedicato a Tiziano Terzani. Sarei lieto se, da professionista quale la considero, pubblicasse questa mail senza tagli.
Sono felice che il vostro giornale dedichi spazio a Tiziano. Mi dispiace però osservare che molte delle osservazioni sul “popolo di Terzani” (e su Terzani stesso) che lei espone nel suo articolo siano figlie di una analisi a mio giudizio sommaria e superficiale: non ha letto i libri di Tiziano.
Innanzitutto lei ripete più volte che noi consideriamo Terzani un “guru”. Nulla di più sbagliato. Se fosse venuto ad una delle oltre 100 proiezioni pubbliche dell’ultima intervista rilasciata da Tiziano, si sarebbe reso conto che, dietro a questo “popolo” di lettori ci sono operai, avvocati, manager, e, si immagina? Anche sacerdoti! Nessuno in cerca di un guru. Tutti però alla ricerca di una vita “altra”, in cui magari si possa dedicare più spazio ai sentimenti e meno alla materialità.
Anche dei Francescani, che hanno dedicato ad un incontro con Tiziano una pubblicazione (http://www.dioesiste.org/prefazione.htm) che contiene molti riferimenti al Vangelo e un richiamo di Tiziano all’elogio della povertà. Saranno forse anche loro degli “ecopacifisti”, come lei ci dipinge? O forse stanno seguendo, sempre come lei dice “la moda del momento”?
Lei dice di non voler irridere il fenomeno che si è sviluppato intorno ai libri e alle letture di Tiziano, però poi ci descrive come degli allocchi che cercano in un “guru” la verità. E mette tra virgolette “grande inviato” parlando di Terzani, alludendo che non lo sia stato. Questo, da giornalista, non le fa affatto onore. E credo che i colleghi di Tiziano (Ettore Mo, Valerio Pellizzari, Martin Woollacott, Ryszard Kapuscinski) avrebbero molto da dire in merito.
Tiziano era schierato politicamente ed era partito per l’Asia alla scoperta dell’ideale comunista (che sul suo sito dice “farle schifo”, quale finezza!). Era la fine degli anni sessanta. Poi fu cacciato dalla Cina perché criticò i comunisti cinesi, scrisse male di Pol Pot… Si, ritornò sui suoi passi.
E’ un peccato mortale? Forse significa essere coerenti col mestiere di giornalista che nel proprio lavoro “mette il cuore”. E Tiziano, seppure avesse un carattere “tosto”, perlomeno non si è mai vantato, come invece fa lei sul suo sito, di aver scritto dei libri “polemici, integralisti e maleducati”. Tanto per farle capire chi è parte di questa community, la invito a partecipare questa sera, 28 luglio, agli incontri “autoorganizzati” che si svolgono in tutta Italia per ricordare Tiziano, leggendo brani dei suoi libri. Ha visitato il nostro sito e sa dove trovarci.
Cordiali saluti e, dato che questa è una “moda del momento”, lasciamola ai “modaioli”. Non ci interessa avere spazio su Libero che credo abbia cose più importanti di cui parlare.
Max De Martino
P.s.: Saluti alle amiche suorine di clausura che ammiro per la loro scelta, certo difficile e coraggiosa. Se mi manda l’indirizzo, manderò loro “Lettere contro la guerra”. Vedremo cosa ne pensano…
Caro De Martino,
ebbene sì, glielo confermo: il comunismo “mi fa schifo”. Non trova “fine” questa mia convinzione? Non ci perderò il sonno. Però mi incuriosisce sapere se invece le sembra “fine” essere comunisti o esserlo stati o aver sostenuto, in qualche periodo della vita, organizzazioni come vietcong e khmer rossi o regimi rossi.
Per quanto mi riguarda, le dirò di più. Il comunismo mi ha sempre fatto schifo, già da ragazzo, cioè a 14 anni, verso il 1974, quando lessi “Vivere senza menzogna” e poi “Arcipelago Gulag” di Solzenicyn. Da anni si sapeva già tutto quanto bastava per inorridire del comunismo. Ogni comunismo.
E se un ragazzino di provincia come me (di famiglia proletaria, senza mezzi) poteva maturare allora questo giudizio, confermato dalla storia, com’è possibile che luminari della cultura o del giornalismo, con più mezzi per informarsi, viaggiare e vedere di persona, non volessero vedere e talora contribuissero alla grande menzogna dell’ideologia? Considero i loro tardivi ripensamenti come la lettrice di Repubblica (citata nel mio articolo): troppo comodi. E poi bisognerebbe discutere su che tipo di ripensamenti sono stati. E sulle cose scritte successivamente.
Vede, negli anni Sessanta e Settanta era molto “fine”, molto chic professare “l’deale comunista”. Oggi è molto chic e “fine” quel catalogo di idee, pompate dai media, che vengono esposte anche nella vetrina del suo sito. Liberissimi voi di professarle, ma lasci anche a me e ad altri la libertà di ritenere che continuate ad essere nella corrente del pensiero dominante e dei luoghi comuni (spesso un apparato di banalità politically correct che definirei “luogocomunismo”).
Rispetto la vostra ricerca – come dice lei – di una vita “altra” dove “si possa dedicare più spazio ai sentimenti e meno alla materialità”. Ma allora si rilegga i messaggi dei suoi amici che pubblica nel suo sito, non di rado pieni di livore, rivolti a Gnocchi e a me. Vedrà che se la moda del momento (a chiacchiere) induce a parlare di “sentimenti”, poi il cuore è duro da cambiare, rischia di restare sempre quello. Prigioniero dell’ideologia del nemico. E’ il conformismo di sempre, sotto altre forme.
Lei insiste nel dirmi che anche dei religiosi seguono il Terzani-pensiero come se questo mi potesse stupire. Sapesse quante follie in questi anni sono state propalate da certe sacrestie… Parla infine di miei presunti “giudizi sommari e superficiali”. Ne prenderò atto volentieri se me li indicherà.
Nel frattempo sommarietà e superficialità mi sembrano abbondare nel “popolo di Terzani”. E sinceramente anche nella “filosofia” di Terzani che ormai – anche se uno volesse evitare i suoi libri – è costretto a sorbirsi a reti unificate, visto che tre giorni fa gli ha dedicato una lunga trasmissione Rete 4 e l’altroieri è stata la volta di Rai 3. Il conformismo, il pensiero dominante, come vede, accostano Rete 4 a Rai 3.
Anche Giuliano Amato, sul Corriere della sera di domenica, pur in un ricordo molto affettuoso di Terzani, segnala la tendenza rischiosa di trasformarlo in guru. Francamente io non mi accodo al coro “Terzani santo subito”, proprio no. Preferisco altri maestri (capaci, peraltro, di parlare al cuore senza preoccuparsi di darsi un look da guru orientale).
P.S. Una richiesta finale, credo accettabile: per favore, non attribuisca a me cose scritte su di me da altri
Antonio Socci