La demografa Fausta Ongaro, dell’Università di Padova, ha pubblicato uno studio sociologico – intitolato Le scelte riproduttive tra costi, valori, opportunità (Franco Angeli editore, Milano 2006, pp. 160, euro 13,00) – nel quale esamina l’atteggiamento verso la natalità tenuto da alcune migliaia di giovani coppie italiane istruite, benestanti e “benpensanti”.
Pertanto questo cittadino rifiuta ogni forma d’impegno, di lotta e di sacrificio; in particolare rifiuta il legame coniugale stabile, la rinuncia in favore del prossimo, la progettazione dell’avvenire, la lotta per progredire verso il meglio.
Questa mentalità porta ad avere preconcetti, paure e perfino avversioni riguardo la prospettiva stessa di generare figli. Mettere al mondo un bambino diventa solo una delle tante scelte possibili, da soppesare col bilancino valutandone il rapporto tra impegno e risultato, tra costi e benefici, come si fa per l’acquisto di un’auto o di un mobile o di una casa.
Il figlio è ritenuto un bene di consumo di lusso che, al massimo, viene programmato solo dopo essersi “sistemati” ed aver ottenuto altri beni di consumo ritenuti più importanti ed urgenti o meno impegnativi e costosi. Chiaramente, questa mentalità favorisce o la rinuncia ad avere figli, o il generarli solo in tarda età; in entrambi i casi ciò diminuisce notevolmente la natalità e impedisce il ricambio generazionale.
La denatalità viene gravemente danneggiata anche dalla mentalità femminista, che vede la donna come imitatrice e rivale dell’uomo nel lavoro, nel potere e nel successo. Il figlio viene quindi considerato come un fattore di limitazione, di stress e di schiavitù, da evitare o da liberarsene al più presto. Come hanno affermato alcune donne intervistate, «quando si ha un figlio, non si è più la persona più importante, non si vive più per sé stessi». Secondo la Ongaro, le donne in età fertile si dividono in due categorie.
La prima è quella delle donne che hanno escluso per principio la prospettiva di procreare. La seconda è quella delle donne che vorrebbero farlo, ma rimangono incerte per motivi psicologici, sociali o economici, rinviando continuamente la decisione, come se fossero eternamente fertili; quando finalmente si decidono, è ormai troppo tardi, poiché sono diventate sterili.
Un’altra causa della denatalità è la progressiva precarizzazione dei rapporti di coppia, che stanno passando dal matrimonio indissolubile a quello dissolubile alla convivenza stabile a quella instabile. «Il costo dei figli – afferma la Ongaro – è ancor più pronunciato per l’aumento della instabilità matrimoniale, che significa un aumento del rischio per le donne sposate di doversi mantenere da sole».
Le convivenze, poi, di per sé ostacolano la natalità; esse difatti sono vissute dagli interessati come periodo di prova, durante il quale generare un figlio diventerebbe controproducente in quanto li costringerebbe a regolarizzare e stabilizzare un legame che hanno voluto in partenza come irregolare e instabile.
La conclusione dello studio è che, per rimediare alla crisi demografica, la società deve favorire la maternità e la famiglia tanto quanto finora l’ha penalizzata: a livello non solo economico e lavorativo, ma anche culturale, morale e psicologico.