Niente celebrazioni ufficiali per il centenario della “Pascendi”. Bruciano i “metodi indegni” con cui si combatté quella battaglia. Ma le questioni al centro di quello scontro sono tuttora aperte. E il libro “Gesù di Nazaret” ne è una prova
di Sandro Magister
Questo ha detto il nuovo direttore dell'”Osservatore Romano”, il professor Giovanni Maria Vian, nella prima importante intervista rilasciata dopo la sua nomina: “Pio X fu un grande papa riformatore, che sulla questione modernista capì benissimo quale era la posta in gioco e i pericoli per la fede della Chiesa. Purtroppo la sua fama è ora legata per lo più ai modi con cui il modernismo venne combattuto, spesso con metodi indegni della causa che si intendeva difendere”.
E questo dicono i due unici articoli sulla “Pascendi” usciti nelle ultime settimane su organi di stampa controllati dalla gerarchia della Chiesa: “La Civiltà Cattolica”, la rivista dei gesuiti di Roma stampata con l’autorizzazione previa delle autorità vaticane, e “Avvenire”, il quotidiano di proprietà della conferenza episcopale italiana.
Su “Avvenire” il teologo Corrado Pizziolo ha sottolineato la perdurante attualità delle questioni centrali affrontate dall’enciclica. Su “La Civiltà Cattolica”, invece, lo storico gesuita Giovanni Sale, nel ricostruire la genesi e gli sviluppi di quel documento, ne ha evidenziato gli elementi ritenuti più caduchi: lo schema troppo “dottrinario”, il tono troppo “duro e censorio”, la successiva applicazione “eccessivamente integralista e intransigente”.
Padre Sale smentisce che dei gesuiti siano stati gli effettivi scrittori della “Pascendi”. Ne indica gli autori materiali nel cardinale Vivès y Tuto, cappuccino, e in padre Lemius dei missionari di Maria Immacolata. Conferma però che “uno dei maggiori ispiratori dal punto di vista teologico e culturale” dell’enciclica fu proprio un gesuita della “Civiltà Cattolica”, padre Enrico Rosa. A giudizio di padre Rosa – e di Pio X – il modernismo era “un cristianesimo nuovo che minacciava di sopprimere l’antico”.
Per contrastarlo bisognava colpirlo nella sua radice filosofica, nell’errore dal quale derivavano tutti gli altri errori nella teologia, nella morale, nella cultura, nella vita pratica. L’errore fondamentale attribuito ai modernisti era di negare alla ragione la capacità di conoscere la verità; per cui tutto – anche la religione, anche il cristianesimo – si riduceva a esperienza soggettiva.
Padre Sale fa notare, però, che i modernisti non accettarono mai questo schema interpretativo: “Secondo essi il movimento di riforma delle scienze religiose, come era chiamato da loro, non era iniziato partendo da determinate teorie filosofiche, bensì dalla critica storica e dalla nuova esegesi della Sacra Scrittura. Essi cioè ponevano a fondamento della loro svolta non la filosofia, bensì la storia, o meglio la storia sacra, liberata dalle adulterazioni e restituita alla sua genuinità originaria, attraverso il nuovo metodo storico-critico”.
Inoltre, padre Sale scrive che la tendenza modernista non si estese mai alle masse popolari come invece temevano padre Rosa e Pio X: “Il movimento dei ‘novatori’ (almeno quello dottrinale e teologico) rimase confinato entro cerchie ristrette di studiosi cattolici, per lo più giovani preti o seminaristi”.
Ciò però non trattenne “alcune forze conservatrici cattoliche”, negli anni successivi alla “Pascendi”, dallo scatenare dentro la Chiesa “una violenta polemica antimodernista, spesso con pochi scrupoli”. Il più attivo in questa campagna fu un prelato della curia vaticana, monsignor Umberto Benigni, che si mosse – annota padre Sale – “con l’approvazione e benedizione dello stesso papa”. Su Benigni e sul “Sodalitium Pianum” da lui creato – una sorta di centrale spionistica nella Chiesa dell’epoca, correntemente chiamata “la Sapinière” – ha scritto studi fondamentali lo storico francese Émile Poulat.
Diverso è l’approccio alla “Pascendi” che don Corrado Pizziolo, professore di teologia e vicario generale a Treviso, la diocesi natale di san Pio X, fa su “Avvenire”. Egli richiama l’attenzione soprattutto su due questioni che erano al centro dello scontro tra Pio X e i modernisti. Per mostrare quanto esse siano ancora attuali. La prima questione riguarda l’esegesi biblica. Secondo i modernisti, in particolare Alfred Loisy, l’esegesi scientifica applicata alla Bibbia è la sola che accerta cose sicure e verificabili. La lettura di fede, invece, “non è reale: è una lettura puramente soggettiva, frutto del sentimento religioso”.
Scrive Pizziolo: “La condanna decretata dal magistero antimodernista concerne non l’esegesi scientifica in quanto tale, ma la dichiarata opposizione, professata dal modernismo, tra la fede e la storia, tra l’esegesi teologica e l’esegesi scientifica”. Tale opposizione “continua a proporsi ancor oggi come una questione con cui fare i conti. Non si spiegherebbe altrimenti perché, cento anni dopo, Benedetto XVI dedichi la premessa del suo recente libro su Gesù di Nazareth proprio a ricordare il valore e i limiti del metodo storico-critico, insistendo sulla necessità di un’esegesi scientifica illuminata dalla fede”.
La seconda questione riguarda la rivelazione divina. I modernisti identificavano tale rivelazione in un’esperienza puramente interiore, nel sentimento religiose o mistico. L’enciclica “Pascendi” ribadì invece che la rivelazione viene da Dio, è Dio che parla all’uomo. E con ancor più forza il Concilio Vaticano II, nella costituzione “Dei Verbum”, sottolineò che tale comunicazione si identifica nella persona di Gesù Cristo. “Tuttavia – scrive Pizziolo – tale apparente ovvietà non è affatto da dare oggi per scontata.
La sensibilità della cultura anche religiosa attuale tende ad equiparare tutte le religioni esistenti, ponendole tutte sullo stesso piano. Non riappare forse l’idea che la religione – ogni religione, quindi anche il cristianesimo – non sia altro che il prodotto dello spirito umano? Che la cosiddetta ‘rivelazione’ non sia altro che una generica e inesprimibile esperienza del trascendente, esclusivamente frutto del sentimento religioso?”.
Conclude Pizziolo: “Alla luce di questi brevi cenni si può comprendere l’importanza dei temi toccati dall’enciclica ‘Pascendi’. Essa affronta i fondamenti della fede cattolica, in un momento storico in cui apparivano messi seriamente in discussione. Va certamente detto che i problemi sollevati dagli autori accusati di modernismo erano problemi reali: il rapporto tra fede e storia e tra fede e scienza; la relazione tra coscienza umana e rivelazione di Dio; il rapporto tra il linguaggio umano del dogma e la verità soprannaturale che esso esprime; il senso di un’autorità nella Chiesa… Ma va anche affermato che molte delle soluzioni che venivano prospettate non erano compatibili con la fede cattolica. Di qui la doverosa necessità di un intervento del magistero.
“Possiamo anche aggiungere che il magistero del tempo non disponeva di una teologia adeguata per affrontare le questioni che la nuova cultura moderna suscitava. In questo senso l’intenzione dell’enciclica non fu quella di risolvere tutti i problemi in questione, ma quella di ribadire l’identità e l’integralità della fede cattolica, riassegnando alla teologia il compito di ripensare le tematiche in questione.
Un frutto di questa rinnovata riflessione possiamo certamente riconoscerlo nel Concilio Vaticano II, senza però pensare che tutti gli interrogativi sorti nel periodo modernistico abbiano trovato adeguata e definitiva soluzione. Essi rimangono, in buona parte, ancora molto attuali e richiedono nuovi sforzi di riflessione. Si tratterà però, alla luce dell’insegnamento della ‘Pascendi’, di uno sforzo che dovrà compiersi nel pieno rispetto dell’identità della fede e della tradizione di quel popolo di Dio che è la Chiesa”.
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