Scopo dell’enciclica Arcanum Divinae Sapientiae, del 10 febbraio 1880, è illustrare i principi che reggono la «società domestica», la famiglia, che trova il suo fondamento nel matrimonio. Secondo l’«arcano consiglio della Divina Sapienza», Gesù Cristo è venuto a «restaurare tutte le cose».
Benché la restaurazione riguardi principalmente l’ordine della grazia soprannaturale, «i preziosi e salutari frutti della medesima ridondarono largamente altresì nell’ordine naturale», cosi da procurare «dignità, stabilità e decoro» anche alla società e alla famiglia.
1. Origine e storia del matrimonio
L’origine vera del matrimonio è nel disegno di Dio che fin dal principio creò l’uomo e la donna, volle che i due fossero «una sola carne» e che la loro unione fosse dotata dei caratteri dell’«unità» e della «perpetuità». Il disegno di Dio è stato manifestato nella Rivelazione fin dal Genesi, ma la ragione lo ricava dalla stessa differenza e complementarietà dei sessi.
Dopo il peccato la forma di connubio voluta da Dio cominciò a corrompersi e a venire meno. Anche presso gli stessi Ebrei si introdusse la poligamia; e perfino Mosè permise il ripudio, lasciando così «aperto l’adito al divorzio». Presso i popoli pagani, poi, gli storici attestano una «corruttela e depravazione» incredibili, con un particolare disprezzo per la dignità della donna. Molti popoli consideravano lecito e normale l’adulterio del marito, e spesso le mogli erano comprate e vendute. Il diritto romano considerava la moglie, come i figli, proprietà del marito, in balia dell’autorità assoluta del pater familias che arrivava fino al diritto di vita e di morte.
Gesù Cristo viene a restaurare il disegno originario di Dio. Questo tema dell’enciclica Arcanum Divinae Sapientiae sarà sviluppato dal venerabile Giovanni Paolo II, che del ritorno al «principio» in tema di matrimonio farà l’oggetto di un lunghissimo ciclo di catechesi del mercoledì. Non a caso, nota qui Leone XIII, il primo miracolo di Gesù avviene in occasione di un matrimonio, alle nozze di Cana.
«Chiunque rimanderà la propria moglie – proclama il Signore – e ne sposerà un’altra commette adulterio; e chi sposerà colei che fu ripudiata commette adulterio» (Mt 19, 9); «ciò che Dio ha congiunto, l’uomo non separi» (Mt 19, 6). Cristo si richiama appunto al disegno originario del Padre nella creazione: Mosè – dice agli Ebrei – ha permesso il ripudio «per la durezza del vostro cuore»; ma «da principio non fu così» (Mt 19, 8).
L’insegnamento di Gesù, ripreso dagli Apostoli, innalza il matrimonio a sacramento, ne fa scuola di santità e immagine della stessa unione di Cristo con la sua Chiesa. In questo modo attira particolarmente l’attenzione sul carattere indissolubile dell’unione, che rende sacro e inviolabile. «Ai coniugati – insegna san Paolo – ordino, non io ma il Signore, che la moglie dal marito non si separi; e, ove si sia separata, rimanga senza rimaritarsi o si ricongiunga con il suo marito» (1 Cor 7, 10 – 11).
Con il cristianesimo i doveri e i diritti dei coniugi sono «pareggiati», restaurati nella loro uguaglianza originaria di fronte alla legge morale – l’adulterio dell’uomo e della donna è considerato ugualmente peccaminoso –, senza che venga negata la gerarchia. Così pure i figli hanno il dovere di obbedire ai genitori, e i genitori hanno il dovere di osservare nei riguardi dei figli la legge di Dio.
Cristo affida «il governo dei matrimoni alla Chiesa», che ha sempre esercitato il suo potere «in tal maniera che chiaro apparisse come esso fosse soltanto proprio di lei», senza riconoscere nessuna autorità agli Stati sui principi fondamentali del connubio. La Chiesa ridiede dignità alla donna, salvò nella storia il matrimonio dai suoi vari nemici – dagli gnostici nemici della procreazione fino ai sostenitori della poligamia e ai moderni divorzisti –, impose giusti limiti alla patria potestà – contro il diritto di vita e di morte sui figli del diritto romano –, rimosse per quanto possibile dalle nozze «l’errore, la violenza e la frode», promosse in ogni modo la pudicizia e la dignità. Non si tratta di piccoli meriti, né è inutile – afferma il Pontefice – soffermarsi a riconoscere quale grande progresso il matrimonio e la famiglia cristiana segnarono rispetto ai costumi del mondo pagano.
In epoca più recente, «per opera del nemico dell’umana famiglia» si è scatenata un’autentica guerra contro il matrimonio, «fonte e origine della famiglia e della società umana». Il primo attacco è stato sferrato sostenendo che principio e fonte del matrimonio è lo Stato, e quindi il matrimonio dev’essere regolato dallo Stato, che ha il potere di definirne le linee fondamentali. È così nata la moderna nozione di «matrimonio civile», la quale comporta che lo Stato possa «fare» matrimoni, fissare gli impedimenti e verificarne la validità.
La Chiesa – fino ai tempi di Leone XIII, e ancora fino ai giorni nostri – ha invece sempre mantenuto il principio che lo Stato non «crea» il matrimonio e le leggi che lo regolano. Il matrimonio, nelle sue caratteristiche fondamentali, è un’istituzione naturale, e deriva da Dio autore della natura. Lo Stato deve limitarsi a riconoscerne le caratteristiche, che non sono una creazione dell’ordinamento giuridico. Anche quando la Chiesa è stata costretta a prendere atto, in numerosi Paesi, dell’ingerenza dello Stato nella regolamentazione dei matrimoni, non ha mai mutato il suo insegnamento.
Questa posizione della Chiesa non è cambiata dopo Leone XIII. Perfino nel Concordato del 1984 con l’Italia, la Chiesa ha voluto inserire una riserva all’art. 8, con la nota che «nell’accedere al presente regolamento della materia matrimoniale, la Santa Sede sente l’esigenza di riaffermare il valore immutato della dottrina cattolica sul matrimonio».
I commentatori successivi a Leone XIII si sono semmai posti il problema del matrimonio fra non cristiani e non battezzati. Questo matrimonio, cui la Chiesa rimane estranea, «appartiene» allo Stato? Risponde un grande specialista di dottrina sociale del secolo XX, il domenicano tedesco Eberhard Welty (1902-1965): per i non battezzati il matrimonio «sottostà ben più ampiamente al potere statale, che però non è in nessun modo padrone e signore assoluto neppure di questo matrimonio non cristiano».
Può fissarne gli impedimenti, «ma solo nell’ambito assai limitato che è effettivamente richiesto dal bene comune». Anche il matrimonio fra non battezzati non sorge in virtù dell’intervento dello Stato, ma sorge per via naturale in virtù della dichiarazione di volontà dei coniugi che costituisce l’essenza del contratto matrimoniale.
2. Confutazione del naturalismo
Tutti i popoli hanno riconosciuto «un non so che di sacro e di religioso» nel matrimonio, e ne hanno fatto oggetto di riti sacri. Questa circostanza, attestata dalla voce comune dei popoli, già indica che il matrimonio dev’essere regolato dalla Chiesa, che «sola ha il magistero delle cose sacre».
La storia mostra come sempre la Chiesa ha regolato il matrimonio in nome di Dio, per un suo diritto originario e non per semplice delega o tolleranza del potere statale, come vorrebbe qualche laicista; e i principi cristiani hanno sempre riconosciuto questa potestà alla Chiesa. Leone XIII fa notare che rivendicando, in particolare, il compito di fissare gli impedimenti alle nozze, la Chiesa ha tutelato la libertà contro il possibile arbitrio dei principi. E si può notare che, dopo Leone XIII, la storia darà nuovo fondamento a questa argomentazione, perché la Chiesa si rifiuterà di accettare nuovi impedimenti al matrimonio di carattere razziale introdotti, per esempio, nella Germania nazional-socialista o nel Sud Africa dell’apartheid.
Alcuni autori statalisti, rileva Leone XIII, distinguono fra il contratto nuziale, che sarebbe regolato dallo Stato, e il sacramento che – per i credenti – rimarrebbe regolato dalla Chiesa. Ma questa distinzione, argomenta il Pontefice, è totalmente teorica: in concreto non si può separare il contratto dal sacramento. È il contratto che, al tempo stesso, è stato elevato da Gesù Cristo a sacramento.
C’è anche un argomento di fatto contro la concezione naturalistica del matrimonio. Se si nega, infatti, che il matrimonio sia una realtà sacra, si apre la strada a tutte le calamità per la famiglia e per la società. Se il matrimonio è un’istituzione puramente umana, a uno sguardo soltanto naturale gli obblighi che il matrimonio impone possono sembrare insopportabili, e possono cominciare ad affermarsi le basi – psicologiche prima che dottrinali – dell’ideologia del divorzio.
Che poi il divorzio sia un fenomeno negativo e rovinoso per i singoli e per le società «è appena il caso di ricordarlo». Leone XIII, in particolare, elenca otto ragioni, tutte di diritto naturale e di retta ragione, che motivano l’opposizione al divorzio. Con il divorzio, infatti, «si rendono mutabili i maritaggi», cioè si modifica la struttura del matrimonio anche di coloro che non intendono divorziare.
Così è confutata la nota argomentazione divorzista, ancora oggi diffusa, secondo cui chi non intende divorziare potrebbe farlo senza limitare l’esercizio della libertà di divorzio altrui, che in nessun modo lo danneggerebbe. Leone XIII risponde che l’esistenza stessa del divorzio modifica la natura del matrimonio.
In secondo luogo con le leggi divorziste «si sminuisce la mutua benevolenza» e si favoriscono le discordie familiari, in quanto in ogni lite si può sempre minacciare l’altro coniuge di ricorrere al divorzio. Terzo: si favorisce l’infedeltà, aprendo all’adulterio una possibilità di consolidarsi in un futuro «matrimonio», possibilità che senza il divorzio non esisterebbe. Quarto: «si arreca pregiudizio al benessere e all’educazione dei figli». È un argomento che ai giorni nostri non ha certo bisogno di essere dimostrato, dopo tante ricerche sociologiche sul disagio dei figli dei divorziati.
In quinto luogo si abbassa «la dignità delle donne» che, nonostante tutte le proclamazioni di uguaglianza, rimangono spesso – nota Leone XIII, e l’argomento è spesso valido ancora oggi – il partner debole, che è posto in condizioni di difficoltà dal divorzio. Sesto: si aumenta il numero delle separazioni, che sarebbe minore se non ci fosse la prospettiva del divorzio. È un altro argomento di Leone XIII che è oggi convalidato da solidi dati statistici. Settimo: si alimenta un generale clima di pubblica immoralità.
L’enciclica riporta l’esempio di certi periodi dell’antica Roma in cui, mentre gli uomini designavano gli anni con il nome dei consoli, le donne «computavano gli anni con la mutazione dei mariti». Infine l’ottavo argomento: posto che la famiglia è la cellula fondamentale della società, con il divorzio si crea lo scompiglio sociale, favorendo – nota il Pontefice – i piani delle «ree sette dei socialisti e dei comunisti».
Non si deve, pertanto, poca gratitudine alla Chiesa per avere – e per molti secoli con successo – difeso la famiglia dal divorzio, ed essersi anche posta in urto con potenti sovrani pur di non cedere su questo punto. L’esempio più clamoroso, naturalmente, è dato dal rifiuto opposto al divorzio del re d’Inghilterra Enrico VIII (1491-1547). La Chiesa preferì perdere l’Inghilterra con conseguenze che durano ancora oggi dopo cinque secoli che non acconsentire a un solo divorzio di una sola persona. Mostrò la stessa fermezza con altri sovrani. Peraltro nei casi difficili la Chiesa si comporta, per quanto può, con benignità e indulgenza, senza però mai venire a patti con l’errore e senza dimenticare «la santità dei suoi doveri».
Si tratta di un insegnamento che la Chiesa ha sempre riaffermato, fino a Benedetto XVI. Il venerabile Giovanni Paolo II (1920-2005) nel Discorso ai partecipanti al Convegno ecclesiale di Loreto dell’11 aprile 1985, affermava: «Nella pastorale di casi difficili, come quelli che riguardano divorziati risposati […] è necessario […] tenere simultaneamente presenti il principio della compassione e della misericordia, secondo il quale la Chiesa cerca sempre di offrire, per quanto è possibile, la via del ritorno a Dio e della riconciliazione con Lui, e il principio della verità e della coerenza, per cui la Chiesa non accetta né può accettare di chiamare bene il male e male il bene».
3. Rimedi alla crisi del matrimonio
Sotto i colpi dello statalismo naturalista e del divorzismo il matrimonio è in crisi. Quali, si chiede Leone XIII, i rimedi? Il rimedio maggiore e risolutivo sarebbe quello di una corretta impostazione dei rapporti fra Stato e Chiesa come collaborazione. Senza confusione: «nessuno mette in dubbio che il fondatore della Chiesa, Gesù Cristo, volesse che la potestà sacra fosse distinta dalla civile, e che l’una e l’altra avesse, nell’ordine proprio, libero e spedito l’esercizio del suo potere».
Ma anche senza separazione, favorendo invece una «unione e concordia» che, anche sul tema matrimoniale, sarebbe estremamente fruttuosa. Ci sono, infatti, aspetti del matrimonio, per esempio di natura patrimoniale ed economica, che appartengono all’ordine civile, e il procedere di pieno accordo fra Stato e Chiesa darebbe i maggiori benefici.
Consegua o no questo primo scopo, la Chiesa deve comunque – per arginare in qualche modo la crisi del matrimonio – ribadire la propria dottrina, e insegnare incessantemente ai fedeli una serie di verità essenziali: l’origine del matrimonio, stabilito indissolubile da Dio; la sua elevazione a sacramento da parte di Gesù Cristo, che ha dato alla sua Chiesa sul matrimonio «il potere legislativo e giudiziale»; il principio secondo cui «se tra i cristiani si contragga l’unione dell’uomo e della donna senza che sia sacramento, essa manca della natura e dell’efficacia di legittimo matrimonio», anche se è stato celebrato un «rito» civile; il corollario secondo cui il diritto civile può regolare validamente solo gli effetti civili del matrimonio; il rifiuto assoluto del divorzio perché «sciogliere il vincolo del connubio rato e consumato fra cristiani non è in facoltà di veruno».
Permessa e ammissibile è invece la separazione, quando «le cose giungano a tal punto che il convivere insieme non sembri potersi sopportare più a lungo». Naturalmente, si parla della separazione non seguita da nuovo matrimonio. Avverte e insegna tuttavia Leone XIII che le separazioni sarebbero rare in una società dove prima di sposarsi s’imparasse a disporsi bene al matrimonio e a ponderarne con cura i motivi, senza precipitare le scelte ed evitando i rapporti prematrimoniali.
Il Pontefice raccomanda poi di evitare, per quanto possibile, le nozze con non cattolici, che non sono vietate ma che la Chiesa sconsiglia. E conclude con la considerazione secondo cui la dottrina cattolica del matrimonio non è un semplice insieme di precetti morali per la salvezza individuale, ma è parte integrante di ogni disegno di restaurazione sociale. Questa dottrina, infatti, è «di grande utilità non meno alla conservazione della civile comunanza che all’eterna salute degli uomini».