di Dom Gérard Calvet O.S.B., Abate di Le Barroux
(Traduzione di Massimo Introvigne)
Al momento della sua morte Benedetto XVI – che aveva visitato Le Barroux come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede – ricordava in un messaggio di condoglianze che “Dom Gérard ha passato la maggior parte della sua esistenza rivolto verso il Signore (…) perché tutti siano sempre più vicini al nostro Creatore e Salvatore”.
Dom Gérard non era affatto quello che una certa letteratura definisce un “islamofobo”. Era stato da giovane in terra d’islam e aveva tra i suoi amici diversi musulmani. Tuttavia, come è stato detto. Dom Gérard “amava i musulmani ma non amava affatto l’islam”.
Traduco qui – mantenendo lo stile parlato – una delle sue ultime conferenze pubbliche fuori da Le Barroux, tenuta a Marsiglia nel settembre 2007. Gli islamologi di professione potranno discutere su questo o quel dettaglio, ed è giusto che sia così. Mi sembra che il testo, certo poco “politicamente corretto”, sollevi però questioni di fondo che meritano un’attenta riflessione]
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Nonostante il suo profondo sentimento religioso, che noi ammiriamo, l’islam tutto intero è chino in adorazione del Dio Onnipotente: Allah Akbar, ma è un Dio solitario, senza incarnazione, senza capacità di essere rappresentato, un Dio astratto. I musulmani sono prigionieri di un enorme equivoco mentale.Obbedendo al Corano, da buon musulmano, un ragazzo affonda il coltello nel cuore di sua sorella perché sa che esce con un infedele.
E noi pensiamo, con ragione, che sia il massimo della barbarie. Ma quello che non vediamo abbastanza è che, a monte della barbarie del coltello, c’è un’altra barbarie, una gigantesca eresia sull’idea di Dio, e questo errore è la fonte stessa della barbarie del coltello.
Per il modo in cui è concepita la sua onnipotenza, il Dio del Corano si situa al di fuori di ogni categoria. Una trascendenza che supera l’orizzonte del bene e del male. Diciamo subito che si tratta di una falsa trascendenza.
Perché? Ma perché le categorie del bene e del male sono create da Dio e dunque sono dipendenti da Dio. Non è Dio che è sottoposto alla morale, è la morale che è sottoposta a Dio. Dio e l’ordine morale non possono essere senza rapporto. Quella che chiamiamo legge naturale ha a che fare con la coscienza umana in cui vi è il riflesso della legge eterna. La coscienza di Dio è per così dire iscritta nella coscienza dell’uomo.
E, dato che questa percezione della coscienza è resa disagevole in seguito al peccato originale, Dio l’ha fatta incidere sulle tavole dei Dieci Comandamenti, quelli che noi chiamiamo la Legge di Dio. Ecco quello che l’islam ignora: con un drammatico rovesciamento s’immagina che Dio sia estraneo alla Legge che egli stesso ha instaurato. Al limite, un pensatore musulmano si spinge fino a dire: se avesse voluto, Dio avrebbe potuto ordinarci di essere idolatri. Ma questa è un’assurdità allo stato puro!
Si comprende così anche come il jihad possa coniugarsi con la violenza e con il crimine. Se Alì accoltella sua sorella, ci si dirà che un qualunque Pietro, Paolo o Giacomo qualche volta fanno lo stesso. È vero. Ma è più difficile che lo facciano dicendo che la coltellata è gradita a Dio.
Ecco il problema dell’islam. I teologi chiamano questo “volontarismo divino”, una volontà indeterminata. Lo spettacolo della trascendenza divina che colpisce all’inizio favorevolmente il turista o il viaggiatore e può perfino tentarlo alla conversione – ricordiamo il caso di Ernest Psichari [1883-1914] – è di una falsa trascendenza, e falsa la prospettiva.
La vera trascendenza è quella che innalza l’uomo: “Chi si umilia sarà esaltato”. Dio vuole la grandezza dei suoi figli, non che siano schiacciati. La nostra adorazione non sarà mai il prosternarsi dello schiavo di fronte al padrone.
Ascoltiamo San Paolo (Rom 8, 15): “Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: ‘Abbà, Padre!’”. Un’adorazione piena di tenerezza filiale: “Abbà”, cioè il nome stesso che i bambini ebrei davano al loro papà terreno. Tutto il cristianesimo èqui, così come tutto l’islam è nella sottomissione.
“Islam” significa appunto “sottomissione”. Una sottomissione cieca al destino: “mektoub”, sta scritto. Vietato all’intelligenza entrare davvero nelle vie del Signore.
Così, se facciamo notare a un musulmano che nel Corano ci sono delle incongruenze, non reagisce. Per esempio in questo racconto che deriva dal libro dell’Esodo nella Bibbia. Ci si dice che Muhammad avrebbe ricevuto questa visione trecento anni dopo l’Esodo. All’improvviso riceve questa visione dell’Angelo Gabriele che gl’insegna quello che dice l’Esodo.
Sembra già un po’ un sotterfugio. Per esempio leggiamo che Myriam,la sorella di Mosé che accoglie il fratello al suono di un tamburino per celebrare il passaggio del Mar Rosso (come dice in effetti l’Esodo) è la stessa Maria Madre di Gesù. Un anacronismo di 1.500 anni, ma non fa paura ai musulmani! Perché? Perché il Corano è divino, per molti di loro è increato.
Il Corano ha sempre ragione. Non lo si può discutere. Ma così muore lo spirito critico e propriamente si apre la porta al fondamentalismo. Falsa trascendenza, fatta di lontananza e di divieti e non di pienezza.
Quando nel 922 al-Hallaj [857-922], che era un vero musulmano, un mistico dell’unione dell’anima con Dio, predicava testimoniando il fuoco d’amore che lo divorava, il fuoco dell’amore divino comune a tutti i mistici, gli ‘ulama, i guardiani dell’ortodossia musulmana, gli vietarono di predicare questo amore. Era un sacrilegio nei confronti del Dio inconoscibile e inattingibile del Corano. Giacché continuava a predicare, nello stesso anno 922 fu crocifisso a Baghdad, trecento anni dopo l’Egira.
Si capisce qui il pericolo di una religione astratta, senza nozione di analogia, senza conoscenza di Dio, senza partecipazione all’Essere divino, e soprattutto senza possibilità d’imitare i costumi divini, dunque aperta a tutte le derive del fondamentalismo.
Torniamo al discorso di Benedetto XVI a Ratisbona. Il Papa, tra l’altro, segnalava una differenza essenziale fra islam e cristianesimo in una frase corta, perfetta e chiarissima: “la fede della Chiesa si è sempre attenuta alla convinzione che tra Dio e noi, tra il suo eterno Spirito creatore e la nostra ragione creata esista una vera analogia” . E il Papa conclude: “Non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio”.
Ricorderete che questo discorso è stato seguito dalle urla e dalle proteste scomposte di certi musulmani. Prova che Benedetto XVI aveva messo il dito sulla piaga.
Dunque, come si è visto, il Corano cade in un enorme equivoco di ordine metafisico quando dichiara che comunicare con Dio è una bestemmia contro la trascendenza.
Un bambino di sette anni capisce che il sole non patisce una diminuzione a causa della luce che diffonde, né diminuisce l’intelligenza del maestro quando illumina il discepolo. Al contrario al vertice della trascendenza c’è la capacità di comunicare se stessa.
Un vecchio adagio aristotelico recita: “Bonum est diffusivum sui et communicativum” (il bene ha come sua natura diffondersi e comunicarsi). La negazione di questo principio porta con sé il rischio della barbarie. L’affermazione di questo principio permette la nascita di una cristianità.