La Croce quotidiano 27 gennaio 2016
40mila hanno marciato il 22 gennaio, sotto la neve, a Washington, per la 43ma “March for Life”. Fra i pro-lifers americani anche l’indimenticabile protagonista della sit-com “Cin Cin” (“Cheers”), Kelsey Grammer. Ha marciato con la moglie e tanti altri per dire “Sì alla vita” e “No all’aborto”
di Giuseppe Brienza
Molte migliaia di pro-lifers si sono presentati venerdì scorso, a Washington, nonostante le previsioni minacciassero una vera e propria bufera di neve (e poi ne abbia fatta quasi un metro). Parlo di quelli che hanno partecipato alla 43ma “March for Life” che, questa volta, non ha visto un’affluenza come negli scorsi anni, ma nemmeno è stato il “flop” che i grandi media hanno cercato di accreditare.
È vero che a causa del mal tempo molte corse di treni e mezzi pubblici sono state cancellate per motivi di sicurezza ma, come si può vedere anche nella foto, a marciare sono stati almeno 40mila americani. Che poi il giochino della propaganda lo fanno i giornali laicisti in tutto il mondo, è storia che si ripete. Infatti, il “New York Times” ha parlato di «centinaia di manifestanti», il “Post”, alcune migliaia (cfr. Steve Jalsevac, Solid evidence reveals large March for Life turnout vs. NY Times’ “hundreds” and Post’s “thousands”, in “Life Site News”, Juanuary 23, 2016).
Permettetemi la battutaccia: è evidente che il Gruppo editoriale “Repubblica-L’Espresso” ha ramificazioni anche negli Stati Uniti…. Oppure, come mi ha obiettato scherzosamente (ma non troppo) un’amica, «hanno lo stesso tipo di proprietari di qua e di là dell’oceano».
Ma tant’è, andiamo alla cronaca della Marcia statunitense. La grinta, come al solito, non è mancata a quanti, cattolici, protestanti, ebrei ed ortodossi, hanno partecipato all’appuntamento di tutti i movimenti per la vita americani, iniziato nel 1974 dopo la famigerata sentenza abortista della Corte Suprema “Roe vs. Wade”. A partire dagli splendidi frati che hanno marciato scalzi sotto la neve, per finire con i gruppi che hanno intonato a squarciagola slogan irriverenti come «Hey, Obama your mama chose life!» («Hey, Obama, tua madre ha detto sì alla vita!»), oppure cantato nelle strade ghiacciate ritornelli contro i giudici costituzionali del tipo: «Hey Hey, Ho Ho, Roe vs. Wade has got to go» («Hey Hey, Ho Ho, la sentenza Roe contro Wade deve finire»).
Nel suo discorso d’inizio il presidente della Marcia, Jeanne Mancini, ha spiegato il motivo di tutto questo: «Non c’è sacrificio troppo grande per una lotta come quella che stiamo conducendo, contro quest’abuso dei diritti umani che è l’aborto» (cit. in Chelsea Schilling, Hollywood superstar joins thousands at “march for life”, in “WND”, January 23, 2016).
Fra gli altri leader che hanno tenuto interventi dal palco, tutti all’insegna del tema della manifestazione, “Pro-vita è pro-donna”, Marvin Bennett, il “Pro-Life Team sponsor”, Charmaine Yoest, dell’associazione “Americans United for Life” e, infine, Samuel Rodriguez, della “National Hispanic Christian Leadership Conference”.
Lo scoop, quest’anno, è che anche uno dei protagonisti della spassosissima sit-com degli anni Ottanta-Novanta, “Cin Cin” (in inglese “Cheers“), Kelsey Grammer, l’interprete dello psichiatra Dr. Frasier Crane, ha marciato sotto la neve, assieme alla moglie Kayte Walsh. Per chi la ricorda, “Cin cin” è stata una serie di telefilm di enorme successo, andata in onda dal 1982 al 1993, per un totale di 11 stagioni televisive e 270 episodi. Candidata 117 volte all’Emmy Awards, l’ha vinto ben 28 volte.
Il sessantenne Grammer, che ha alle spalle un’infanzia decisamente critica (il padre assassinato quando era piccolo, la sorella stuprata e uccisa, il fratello morto in mare durante un’immersione), si è sposato ben quattro volte ed ha sei figli. Ora però sembra aver messo la testa a posto, è felicemente sposato con Kayte, dalla quale ha recentemente avuto un maschietto, Kelsey Gabriel (2014), e si è definitivamente iscritto al Partito Repubblicano (ha persino espresso interesse per un suo futuro ingresso nel Congresso degli Stati Uniti).
Con il binomio vita/donna gli organizzatori della 43ma “March for Life” hanno voluto sottolineare come l’aborto non è solo l’uccisione di una vita nascente ma anche una ferita indelebile per la donna che lo pratica. La Marcia di quest’anno è stata inoltre preceduta da una veglia di preghiera notturna all’interno della Basilica del Santuario nazionale dell’Immacolata Concezione (aperta e conclusa da una Messa) e da una celebrazione ecumenica alla Constitution Hall. Vi è stata inoltra la prevista manifestazione dei giovani e la Messa per la vita promossa dall’Arcidiocesi di Washington.
Nella mattinata il corteo, dopo essersi raggruppatosi presso il National Mall alle 12 (ora locale), a partire dalle 13 si è snodato fino a confluire nell’area attorno al Washington Monument, presso il quale è avvenuto l’incontro dei partecipanti con diversi leader politici.
Un «rinnovato impegno» per la difesa di una visione della vita e dell’amore che «non esclude nessuno» è stato chiesto dal card. Timothy Dolan, presidente della Commissione per le attività pro-life della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, nel messaggio per il 43mo anniversario della “Roe contro Wade”. Il messaggio è stato pubblicato qualche giorno prima della Marcia, proprio per valorizzare l’appoggio dei vescovi americani a questo importante appuntamento.
«La maggior parte degli americani si oppone a politiche che permettono l’aborto legale per qualsiasi ragione, eppure molti non si rendono ancora conto che questo è quello che ci ha dato la Corte Suprema», ha scritto il card. Dolan. «Molti vogliono proteggere la vita dei bambini non nati nelle fasi più avanzate della gravidanza, regolare o limitare la pratica dell’aborto e fermare l’uso dei soldi dei contribuenti per la distruzione della vita di un bambino non nato. Eppure, molti di quelli che sostengono importanti obiettivi del movimento pro-vita, non si considerano pro-life. Questo – ha affermato il porporato americano – dovrebbe indurci a riflettere su come presentiamo la nostra visione pro-vita agli altri».
«Nonostante gli americani siano turbati dall’aborto – ha osservato ancora nel suo messaggio l’arcivescovo di New York – una potente lobby ben finanziata sostiene che esso sia un bene per le donne e la società e che coloro che, in coscienza, non possono praticarlo siano da condannare per avere dichiarato guerra alle donne». Di qui, in conclusione, l’invito ai cattolici e «a chiunque abbia a cuore la tragedia dell’aborto» a diventare «migliori messaggeri» della cultura della vita.