Articolo pubblicato su Il Giornale del 19 novembre 2000
di Ferdinando Adornato
Caro Umberto, non so se l’antica amicizia mi faccia velo ma credo che bisogna esserti davvero grati per I’articolo che hai scritto martedì scorso su Repubblica. Hai infatti portato in dote al feroce dibattito sui libri di testo intelligenza, misura e senso critico, segnando una significativa distanza da chi preferisce lanciare anatemi piuttosto che costruire dialoghi.
Consentimi allora di raccogliere il tuo invito a ragionare. Tu proponi in sostanza due argomenti: 1) I libri si battono con i libri. All’inizio degli anni Settanta partì, anche grazie a te, una radicale contestazione ai vecchi manuali nazional-retorici e patriottardo-militareschi che raggiunse un certo risultato. Perché Storace e chi la pensa come lui non fanno la stessa cosa? 2) Non e vero che la cultura italiana sia stata egemonizzata dal marxismo. Semmai trionfò un punto di vista laico, liberale e azionista. E non certo per “complotto”. ma per la maggiore capacità di quel mondo di interpretare lo spirito del tempo, favorita da un sostanziale disinteresse della Dc verso la cultura.
Quasi ogni riga del tuo testo è condivisibile. Ma se considero l’insieme della trama disegnata mi pare di cogliere, tra le righe, un piccolo grande reato di “omissione di soccorso” e uno, più decisivo, di “occultamento dell’arma del delitto”.
Cominciamo dal primo. Perché mai se un libro di testo racconta che le foibe furono I’esito di “una rappresaglia nazista” o che gli “ebrei compivano omicidi rituali di bambini” o che i “principi del comunismo sono comunque nobili” o che Stalin era un capo “duro ma giusto”, perché mai queste falsità non dovrebbero riguardare anche te? Perché mai il doveroso compito della denuncia dovrebbe spettare solo a “Storace e a chi la pensa come lui”?
A te stanno bene questi “pàmpini bugiardi” di oggi? Non ti propongo, anche se non sarebbe male, di riscrivere oggi un pamphlet come facesti allora. Ti segnalo soltanto che c’è una colpevole “omissione di soccorso” nell’idea che la sinistra politica e quella intellettuale non nutrano alcuna preoccupazione sul fatto che i nostri ragazzi debbano studiare tante tragiche amenità.
Lasciamo stare la commissione di Storace: i libri si combattono con i libri. Ma perché inviti solo la destra a scriverli? In base a quale sorta di complice omertà gli intellettuali di sinistra dovrebbero difendere (o ignorare che è peggio) testi cosi faziosi, antisemiti e filostalinisti? E siccome, ahimè, è proprio ciò che sta avvenendo, ti domando: perché? Bisogna forse immaginare che la sinistra italiana, al contrario di quanto va proclamando, non sia ancora uscita dalla guerra fredda?
Che non sia ancora guarita dalla sindrome del “totalitarismo bifronte”, quel gigantesco abbaglio storico che ha fatto considerare il comunismo un semplice errore commesso a fin di bene di contro al nazismo considerato, invece, una disumana abominia. Se cosi fosse (e così è fino a che anche la sinistra non si indignerà contro questi libri di testo) vorrebbe dire che, nonostante tutto, essa non è affatto liberale.
Pazienza: ma come puoi allora, caro Umberto, immaginare che addirittura lo fosse ieri? Perché infatti, come detto, tu sostieni che la tanta contestata egemonia sulla cultura italiana non sia stata marxista, quanto piuttosto laica, liberale e azionista. Ed è proprio qui che si nasconde il tuo secondo reato: l’occultamento dell’arma del delitto. In parte quel che tu dici è vero.
Il marxismo di Gramsci non fu quello di Lenin. E i comunisti italiani lavorarono intorno a un impianto idealista hegelo-marxiano nel quale proposero una sintesi di Gramsci e di Croce, legandoli peraltro a De Sanctis e Labriola. E queste tradizioni costituirono il cuore dell’ideologia italiana dominante. Laica, sicuro. Marxista, quanto bastava. Liberale, direi poco.
Ma attenzione: il cocktail, cosi, non è completo. Bisogna aggiungere un nome: quello di Giuseppe Dossetti. E se nel Pantheon entra anche il suo nome il tuo schema, Umberto, non regge più. Perché, sì, è vero, la Dc si occupava di partecipazioni statali non di cultura ma ci fu anche un’altra semplice ragione a consentire il trionfo dell’ideologia dominante: il fatto che la cultura maggioritaria nel mondo cattolico ne faceva parte a pieno titolo. Non fu il cattolicesimo liberale, la cultura di De Gasperi, di Adenauer, di Erhard o di Sturzo a imporsi nel partito di maggioranza e nei suoi ambienti di riferimento.
Fu, viceversa, il cattolicesimo sociale di Dossetti. II quale, ecco il punto, aveva più di un motivo di vicinanza con la sinistra. Non una, allora, ma tre furono le sinistre egemoni in Italia: quella cattolica dossettiana, quella azionista liberal-gobettiana, quella comunista gramsciana. Esse hanno finito con l’assumere mitologie talmente convergenti sul caso italiano da determinare un lungo e diffuso potere sulla vita intellettuale del Paese. Quali? Ne cito solo due:
1) La cosiddetta terza via. L’arretratezza italiana non fu mai vista dalle tre sinistre come un ritardo da colmare. Al contrario: venne considerata l’occasione per fare dell’Italia il laboratorio di inedite teorie politiche. Il nostro Paese fu invitato a trovare un modello sociale che realizzasse, in un colpo solo, il superamento del regime capitalistico e di quello del socialismo reale. La componente dossettiana e quella gramsciana trovarono qui la loro simbiosi nella comune denuncia del mercato, del profitto, della centralità dell’individuo. Generando una diffusa diffidenza verso l’economia di mercato che ancora oggi continua a penalizzarci.
2) Il giudizio sugli italiani. Qui dettava il passo la scuola azionista, gobettianamente rintracciando l’origine di tutti i mali del Paese (il Risorgimento fallito, il fascismo visto come autobiografia della nazione) proprio nello spirito degli italiani: conformista, codardo, volubile. Ed e per questo che gran parte del nostro establishment culturale, caso unico in tutti i Paesi occidentali, si è fatto e si fa ancora gran vanto di dichiararsi “antitaliano”.
Come se le élites non avessero alcuna responsabilità nella determinazione dello spirito pubblico. Questa ideologia influenzò politica, cultura, editoria, letteratura,” cinema descrivendo gli italiani come un popolo a metà tra Nietzsche e Alberto Sordi, perennemente tentato dal superomismo, dall’avventura mistica e totalitaria ma quasi sempre rassegnato all’arte di arrangiarsi, alle meschinità semimafiose della vita quotidiana.
La colonna sonora della nazione andò avanti pressappoco sempre così: tra uno squillo d’allarme contro la reazione sempre in agguato e una rassegnata deresponsabilizzazione del cittadino favorita dal dominio di uno Stato padre- padrone. Personalmente non credo che gli italiani siano davvero così. Ma quel che mi importa segnalarti e che anche un filone decisivo del mondo cattolico partecipò all’egemonia italiana, la quale dunque non fu, come tu dici, solo laica, liberale e azionista.
Fu qualcosa di più complesso e sofisticato. Prova ne sia il fatto che, con l’avvento del maggioritario, le tre sinistre si sono unite, oltre che culturalrnente, anche politicamente. Se non ci fosse stata una precedente weltanschauung comune, come avrebbero potuto ritrovarsi insieme Rifondazione comunista, il Ppi, il Pds, Scalfari, il gruppo editoriale L’Espresso-Repubblica, persone come Maccanico, De Mita, Amato, Prodi, i Verdi, e persino l’area del Manifesto?
Tra l’altro essi non sono quasi mai d’accordo su specifici punti di programma, ma proprio su un unico motivo ideologico: la delegittimazione delle destre. Certo, caro Umberto, l’Italia, anche grazie a questa ideologia, è diventata meno provinciale. Come tu dici, abbiamo conosciuto Sartre, Freud, Wittgenstein. Aggiungo pure Keynes e Marcuse. Ma non mai abbiamo davvero frequentato Tocqueville, Hayek, von Mises e perfino i nostri Tornmaso d’Aquino o Luigi Einaudi. Milton Friedman, poi, e tuttora presentato come una specie di Mengele, compare del “fascista” Reagan.
Per non parlare, ma con te sfondo una porta aperta, della disattenzione riservata alla cultura scientifica. Ma qui mi fermo e dico assieme a te: a diffondere il pensiero liberale deve certo pensarci chi si ritiene liberale. Ma sui libri di testo, no. Se ce ne sono che raccontano bugie, caro Umberto, dobbiamo fare di tutto, tutti insieme, per liberarcene. La qualità dell’istruzione è un bene comune. A meno che tu non voglia subliminalmente suggerire che ormai la può difendere solo la destra. Ma allora…