Il presidente del Movimento per la Vita, Carlo Casini, scrive al Ministro della Salute
i giornali di oggi (unisco copia de “La Repubblica”) riportano il caso di un aborto alla 22° settimana deciso a causa di una presunta malformazione, poi, risultata inesistente al controllo del bimbo nato vivo, ma in gravissimo pericolo di vita ovvero di malformazioni causate dalla sofferenza cerebrale dovuta alla prematurità della nascita.Il caso drammatico non è il primo che si verifica in Italia e pone problemi di interpretazione e attuazione della legge 22/5/78 n. 194 sui quali è opportuno che intervenga codesto Ministero con apposita circolare o con proposte legislative di interpretazione autentica e, comunque, suscitando una adeguata riflessione mediante la relazione annuale al Parlamento prevista dalla citata L. 194/78.Le questioni che il caso pone sono le seguenti: 1) l’ultimo comma dell’art. 7 della legge stabilisce che “quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto” l’I.V.G. può essere praticata solo “quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna”.
Tutti i commentatori hanno sottolineato che la “possibilità” è qualcosa di diverso dalla “probabilità”. Anche un evento che si verifica in una percentuale minima di casi è “possibile”, sebbene “poco probabile”.
Siamo a conoscenza di altri casi di sopravvivenza di feti espulsi dal corpo materno (naturalmente o a seguito di I.V.G.) alla 22° settimana.
Nel caso di Firenze la sopravvivenza (Dio solo sa quanto potrà durare) è un fatto.
L’aborto provocato era dunque illecito. Ma la questione è più generale. I grandi progressi della neonatologia, dal ’78 ad oggi, hanno anticipato di molto la “possibilità di sopravvivenza”.
Per evitare il ripetersi di altre situazioni simili a quella descritta da “La Repubblica” è necessario che codesto Ministero, consultati gli organi competenti, dia istruzioni a tutti i presidi sanitari indicando l’età gestazionale altre la quale l’I.V.G. non è più praticabile se non quando il pericolo grave riguarda la vita della madre.
2) L’art. 6 lettera b) della legge 194/78 consente l’aborto dopo i primi 90 giorni “quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”.
Dal testo de “La Repubblica” risulta che l’anomalia del concepito non era stata accertata. Era soltanto sospettata ed era stata consigliata una ulteriore indagine, che non è stata effettuata. In tale situazione l’I.V.G. non poteva essere fatta.Vero è che sarebbe stata certificata – così dice il quotidiano – una malattia psichica, ma questa era in dipendenza dell’accertamento della malformazione. Non è stata integrata, quindi, la fattispecie descritta dall’art. 6 lett. b) L.194/78.
Al riguardo si ha frequente notizia di vicende giudiziarie nella quali a causa della nascita di un figlio portatore di qualche aniomalia i genitori chiedono al medico curante che non l’aveva diagnosticata durante la gravidanza, il risarcimento del danno per non aver potuto effettuare l’aborto. Non si ha invece notizia di casi inversi, in cui il risarcimento sia chiesto per un errore nell’aver dichiarato una malformazione in realtà non sussistente. Non se ne ha notizia perché nel caso dell’aborto l’errore non è accertabile se non con un riscontro autoptico, che non viene mai eseguito.
La conseguenza facilmente immaginabile è che il personale sanitario di fronte al dubbio di una malformazione preferisce consigliare l’aborto piuttosto che consigliare alla donna la prosecuzione della gravidanza. Ciò può far sospettare anche che gli accertamenti, in qualche caso, possono essere frettolosi.
Sarebbe pertanto opportuno disporre l’obbligatorietà del riscontro disgnostico a seguito di ogni aborto effettuato ai sensi dell’art. 6 lett. b) L.194/78 per anomalie o malformazioni del feto, con una conseguente informativa a codesto Ministero, affinchè ne possa a annualmente riferire nella relazione di cui all’art. 16 della L.194/78. Questi adempimenti sarebbero non soltanto un modo di massima responsabilizzazione del personale sanitario, ma anche uno strumento per monitorare la frequenza delle malformazioni, studiarne le cause, predisporre interventi atti a contrastarle.
Va altresì sottolineato che il citato art. 6 lett. b) esige che le anomalie o malformazioni siano “rilevanti”. I criteri della rilevanza non sono indicati. Si ha invece notizia di I.V.G. effettuate anche per anomalie di importanza assolutamente marginale e comunque riparabili con interventi terapeutici dopo la nascita o anche in corso di gravidanza. In che misura e per quali patologie può essere ritenuta la “rilevanza”? Quale ruolo può giocare la riparabilità delle anomalie? Anche su questi punti il Ministero dovrebbe svolgere un compito di orientamento e la relazione ex art 16 L. 194/78 potrebbe introdurre una significativa riflessione.
Va segnalato che nel caso in esame l’anomalia sospettata era l’atresia dell’esofago, che può essere risolta chirurgicamente, dice “La Repubblica”, nel 97% dei casi.
3) Stabilisce ancora l’ultimo comma dell’art. 7 che quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto “il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto”. Nel caso in esame risulta che il bimbo è stato trasportato dall’ospedale di Careggi in altro presidio sanitario.
E’ giusto chiedersi se a Careggi era immediatamente possibile l’intervento di un neonatologo e se vi erano le attrezzature immediatamente disponibili per l’assistenza al bambino. E’ ovvio che la tempestività è decisiva in casi del genere e il tempo perduto nel viaggio da un ospedale ad un altro può aver pregiudicato le terapie possibili.
A prescindere dalla situazione concreta di Firenze pare che codesto Ministero possa e debba fornire indicazioni precise affinchè sia rispettato ovunque l’ultimo comma dell’art. 7 L. 194/78.
4) Sulla legge194/78 da tre decenni sono divampate le polemiche. Ma è giunto il momento di trovare l’accordo su un punto: che la nascita è preferibile all’aborto e che le istituzioni devono fare tutto il possibile per attuare questo principio. E’ quanto ha detto la Corte Costituzionale nella sentenza n. 39 del 10.02.97. Perciò è urgente una complessiva revisione del modo in cui fino ad ora la legge 194/78 è stata applicata. Si può cominciare dalla relazione prevista dall’art. 16 L, 194/78: l’auspicio è che essa non comunichi soltanto il numero degli aborti, ma dedichi la più grande attenzione ai vivi, cioè chiarisca quanti bambini sono nati nonostante il rischio di aborto durante la gravidanza e quale ruolo abbiano svolto in questa direzione i consultori, le istituzioni publiche e il volontariato privato.
Cordialmente.
N.B. L’errore nel temere di malformazioni sembra essere piuttosto frequente.
Presso la Clinica Ostetrica e Ginecologica del Policlinico Universitario A. Gemelli, in Roma è stato da anni istituito un servizio telefonico denominato “Telefono Rosso” (06.305007) che offre gratuitamente consulenza medica ed informazioni precise e corrette su eventuali rischi di malformazioni del feto. Facendo riserve di fornire documentazione dettagliata, si può attendere che in molti casi il consiglio di ricorrere alla I.V.G. dato dal medico di base è sbagliato o superficiale. Telefono Rosso vive con modesti contributi di volontari, ma è un servizio la cui dimensione di pubblico interesse e di servizio alle madri che il figlio lo vorrebbero è indiscutibile.