di Lucetta Scaraffia
“Pensare a una società libera e responsabile, anche di decidere quando procreare, se farlo come bestie o con amore”: così Gaia Carretta, della Giunta dell’Associazione Luca Coscioni, in una lettera sulla Ru486 pubblicata sul Foglio di sabato a cui ha risposto esaurientemente Nicoletta Tiliacos. Sono parole molto pesanti, che contrappongono il procreare per scelta e quello per caso, ma soprattutto discutibili.
Gli esseri umani, almeno sino alla metà del Novecento e oltre – me compresa – sono nati tutti “come bestie”; nonostante questo sono stati allevati quasi sempre con amore dai genitori e sono diventati donne e uomini forse non del tutto spregevoli.
Ma su questa realtà i sostenitori della “scelta procreativa” non amano soffermarsi: basta ripercorrere la propaganda che ha accompagnato la diffusione del controllo delle nascite a partire dalla fine dell’Ottocento per rendersene conto.
Questo controllo infatti è stato propagandato non tanto quale è – e cioè un metodo per avere figli quando faccia comodo – ma come speranza per un miglioramento dell’umanità. Secondo i malthusiani di quegli anni, il controllo delle nascite doveva infatti essere applicato con un criterio eugenetico: dovevano nascere solo i migliori, i più sani, intelligenti e benestanti, perché così si sarebbero risolti i conflitti sociali, le invidie, le sofferenze provocati dalle disuguaglianze naturali.
Negli anni del secondo dopoguerra, dopo che il nazismo aveva reso impresentabile l’eugenetica (almeno nella sua forma più esplicita), il controllo delle nascite viene proposto sotto il nome di “pianificazione familiare”, termine coniato sulla pianificazione economica allora in auge e metodo che appariva infallibile per eliminare le differenze di sviluppo e cancellare la povertà.
Gli avversari, cioè la Chiesa cattolica e “i padroni”, vi si opponevano perché interessati a bassi salari e a mantenere il potere su masse povere e infelici. Accanto al beneficio economico, però, in Italia i fotoromanzi di propaganda dell’Aied ricominciano a parlare di miglioramento dell’umanità: i figli “desiderati” sarebbero stati migliori perché amati ed educati meglio.
Una sorta di eugenetica psicologica, quindi, che nessuno però ha mai voluto verificare: anche se oggi nei paesi occidentali la maggior parte dei figli, almeno fino ai quarant’anni, è nata “desiderata” e non “per caso”, non si vedono gli auspicati e promessi miglioramenti degli esseri umani.
Anzi, periodicamente ricorrono interventi per mettere in guardia i genitori dall’educare figli unici viziati che si credono onnipotenti. E tuttavia l’utopia dei figli “nati per amore” e destinati a essere migliori viene di continuo evocata, e non solo di fronte al controllo delle nascite, ma anche davanti ad un atto drammatico come l’aborto, in qualsiasi modo venga praticato.
Quando avremo il coraggio di dire che dietro la “libera scelta procreativa” vi è, nella maggior parte dei casi, almeno nel mondo occidentale, solo l’interesse egoistico di una o due persone, e non il benessere dell’umanità? Cominciare a dire le cose senza ipocrisia è il primo passo per affrontarle con onestà.