Zenit, mercoledì 6 giugno 2007
Intervista a Leonardo Macrobio, docente di Bioetica
Iniziamo con un doveroso distinguo lessicale: qual è la differenza sostanziale tra eugenismo ed eugenetica?
Macrobio: Prendendo a prestito il linguaggio della matematica: l’eugenismo sta all’eugenetica come la teoria sta alla pratica. Sembra una distinzione puramente linguistica o accademica, ma non lo è. Una cosa, infatti, è sostenere, come fa l’eugenismo, che la specie umana vada migliorata con qualsiasi mezzo: dagli aborti per eliminare i figli “non perfetti” all’eutanasia per eliminare le vite “senza senso”.
Un’altra cosa, invece, è riconoscere che l’aborto e l’eutanasia – per continuare gli esempi precedenti – non sono un mezzo lecito per ottenere quel fine anche se, purtroppo, ci sarà sempre qualcuno che ucciderà i bambini nelle pance delle loro mamme e gli anziani nei loro letti. Per dirla con Péguy: il punto è chiamare le cose con il loro nome. Il male è male, e non importa se, statisticamente, è molto diffuso: non può essere né commesso né giustificato. Ora, l’eugenismo ha storicamente tentato, molte volte riuscendoci, a chiamare diritto un delitto.
Dal saggio emerge un “eugenismo degli antichi” che sarebbe andato in crisi con l’avvento della civiltà cristiana, per poi riemergere con la modernità e la secolarizzazione. Possiamo affermare con sicurezza che la Chiesa Cattolica sia stata per molti secoli il principale baluardo contro l’avanzata di queste teorie?
Macrobio: Una posizione fortemente avversa alle teorie eugenetiche è, per così dire, nel DNA della Chiesa, e non potrebbe essere altrimenti. È solo alla luce di Cristo che l’uomo – ogni uomo ed in qualsiasi situazione si trovi – riceve piena dignità. È alla luce di Cristo, dunque, che già i primissimi cristiani si sono trovati a condannare le pratiche dell’infanticidio e dell’aborto.
Dobbiamo fare un piccolo sforzo (non molto grande, in verità, vista la cultura oggi dominante…) per metterci nei panni dei cristiani dei primi secoli. La civiltà greca e romana giustificavano, per il bene della polis o della res publica, queste pratiche: gli unici ad andare contro corrente – ed era una corrente veramente impetuosa – erano quelle poche migliaia di uomini che si dicevano cristiani.
È un fatto storicamente incontestabile che, nella misura in cui la civiltà mediterranea diventava cristiana, queste pratiche andavano via via perdendo credito. Dire che l’aborto è un peccato, così come da sempre ha fatto la Chiesa cattolica, ha una doppia valenza. L’una è, per così dire, culturale: il male viene indicato come tale e, dunque, insegnato come qualcosa da evitare. L’altra è, direi, “teologica”: il male è già vinto nel mistero della Pasqua. Ciò significa che l’ultima parola sul male, sul peccato appunto, l’ha avuta e continua ad averla la Misericordia di Dio.
Malthus, Darwin, Spencer, Galton: sembra proprio che l’eugenismo moderno affondi le proprie radici nell’Inghilterra vittoriana del secolo XIX. È il lato oscuro di una cultura apparentemente lontana dai totalitarismi e dai giacobinismi?
Macrobio: La storia ha l’horror vacui: non procede mai per salti. I totalitarismi del ‘900 affondano inevitabilmente le loro radici in quel travagliato periodo che coincide con la fine del XVIII secolo e tutto l’Ottocento. Anzi, per quanto mi è dato di sapere è un grave errore storico ed ideologico considerare i due totalitarismi dello scorso secolo come ascrivibili alla “follia” di alcune (poche) persone.
Ma questo è il lavoro degli storici e, dunque, a loro lascio la parola. Per quanto riguarda, invece, il nostro discorso è inevitabile notare una sostanziale continuità tra le idee dei quattro pensatori che lei ha nominato e l’eugenetica del ‘900. Quando si parla di “bomba demografica”, con tutte le scelte che ne conseguono, non si può fare a meno di riferirsi alle teorie maltusiane che, per prime hanno lanciato il grido “siamo in troppi sulla terra rispetto alle risorse”.
Quando si parla dell’uomo come parte di un ecosistema non si può non rischiare di cadere nella deriva evoluzionista di Darwin e nel suo analogo, l’evoluzionismo sociale, di Spencer. E quando si designa la scienza positiva come unico “giudice” sulla qualità o sul significato della vita di una persona, sia essa un embrione o un anziano, si deve tenere conto che questa posizione si nutre anche dal lavoro di Galton. Demografia, evoluzionismo e scientismo, dunque, hanno dei padri ben definiti: questi ingredienti hanno dato origine alla “torta” che lo scorso secolo si è trovata servita a mensa.
Chi sono gli eugenisti dei nostri giorni? In quali ambiti di potere operano e con quali tecniche?
Macrobio: Gli eugenisti dei nostri giorni sono coloro che portano avanti i temi che abbiamo visto poco sopra. Ai quali si aggiunge, a partire dal dopoguerra, l’ecologismo. Gli eugenisti di oggi sono quelli che ritengono che la sindrome di Down sia quasi debellata semplicemente perché i feti colpiti da questa malattia vengono scovati durante le batterie di test alle quali le donne vengono sottoposte in gravidanza, e abortiti “terapeuticamente”. Gli eugenisti di oggi sono quelli che, in nome di una sorta di “pietà” – che nulla ha a che vedere con la pietas cristiana – , dichiarano che la vita di quella persona attaccata ad un respiratore non ha più senso perché è solo dolore. Gli eugenisti di oggi, insomma, confondono la malattia con il malato e non esitano a far fuori questo per debellare quella.
Gli eugenisti di oggi sono anche quelli che, nonostante le statistiche dicano esattamente il contrario, sostengono che siamo in troppi e che la Terra non è più in grado di produrre tutte le risorse necessarie, dimenticandosi che ogni risorsa è tale solo in rapporto ad un determinato grado di civilizzazione. Un esempio può rendere meglio l’idea: un paio di secoli fa con la sabbia ci si faceva molto poco; oggi con il silice presente nella sabbia ci si fabbricano i microchip che consentono, tra l’altro, a me di scrivere queste parole ed al lettore di leggerle… Lo stesso si potrebbe dire per il petrolio, il plutonio, l’uranio… l’elenco potrebbe diventare lunghissimo.
Gli eugenisti di oggi sono poi quelli che riconoscono più valore alla vita di un delfino arenato su una spiaggia che al quinto figlio di una famiglia monoreddito. Tanto che per il primo investono migliaia di euro per salvarlo (oltretutto contraddicendo l’idea della sopravvivenza del più forte di Darwin: salvando un delfino ammalato o debole certamente non rendo un buon servizio all’Evoluzione…), mentre per il secondo al massimo si riconosce un aborto a spese del contribuente.
Sono, cioè, coloro che pongono l’uomo allo stesso livello delle altre creature se non, in alcuni casi, al di sotto. Questo non è solo un errore metafisico, parola che oggi è sempre più vuota di significato, ma anche una miopia logica: per quanto mi risulti non esiste altra specie oltre all’uomo che si interroghi – molto spesso litigando – sulla salvaguardia delle altre specie. E questo dovrebbe essere un campanello di allarme nei confronti di questa concezione “piallata” della natura.
Esiste un collegamento organico tra il pensiero eugenetico e quello ambientalista?
Macrobio: Intanto una piccola precisazione. Il problema ecologico non è nato negli anni ’60 dello scorso secolo e nemmeno con Darwin. La prima Commissione Ambientale di cui si abbia notizia risale al 1285, in Inghilterra, sotto il regno di Edoardo I. È evidente che l’uomo si è da sempre reso conto di avere un impatto sull’ecosistema: in questa (auto)coscienza sta la differenza, ad esempio, tra l’uomo e l’elefante, e non sulla quantità di “natura” che il primo distrugge tout court e l’altro userebbe per la propria sopravvivenza.
Per arrivare, però, alla sua domanda, il connubio tra eugenismo ed ambientalismo si consuma a cavallo degli anni ’60-’70 del Novecento. L’eugenismo aveva subito un grosso colpo dal processo di Norimberga (che aveva messo sotto gli occhi di tutti cosa significasse applicare sistematicamente l’eugenetica) ed un altro lo aveva subito dalle scoperte scientifiche relative al DNA (che avevano definitivamente cancellato ogni fondazione scientifica di una razza superiore e di altre inferiori). Doveva, dunque, cambiare abito: vi è un intervento di Frederik Osborne al Galton Institute del 1956 che è estremamente chiaro e, purtroppo, profetico in questo senso.
Il fidanzamento tra eugenetica ed ambiente avviene negli USA, con la creazione del Comitato di Crisi per la Popolazione (1965), al grido “cinque dollari investiti nel controllo delle nascite sono cento dollari di crescita economica”. La promessa di matrimonio tra i due avviene dopo pochi anni, nel 1970, con la celebrazione della Giornata della Terra, in cui riecheggiano slogan come “L’uomo è il cancro del pianeta”.
I frutti di questa promessa sono già evidenti, tanto che il presidente del Population Institute di allora dichiara: “La crescita incontrollata della popolazione causa la scomparsa delle foreste, l’erosione del suolo, la desertificazione, la scomparsa delle specie e l’allargamento del buco nell’ozono”. Vi sono tutti i “mali” del mondo tranne le guerre ma, qualche anno dopo, qualche ambientalista attento le aggiungerà alla lista dei disastri della sovrappopolazione.
Nel frattempo i due nubendi prendevano sempre più piede negli organismi nazionali e soprannazionali (primo fra tutti l’ONU). Il matrimonio venne definitivamente celebrato proprio in sede ONU, dalla ex primo ministro norvegese Gro Harem Bruntland che, nel 1987, pubblica un rapporto nel quale indica una serie di conferenze su varie tematiche legate allo sviluppo ed auspica fortemente la creazione di una “Carta della Terra”.
È fin troppo semplice leggere in quest’ultima un parallelo con la Carta dei Diritti dell’Uomo. Più articolata, invece, appare la lunga serie di Conferenze Internazionali che, per continuare il nostro paragone, suonano un misto tra un lungo viaggio di nozze ed un ampio festeggiamento di estensione mondiale. Le Conferenze hanno inizio negli anni ’90 e, tra le varie, troviamo ad esempio la conferenza di Kyoto sull’ambiente (certamente la più conosciuta e la più citata).
Resta da chiarire non tanto chi abbia pagato, e, purtroppo, stia ancora pagando, il conto di questi festeggiamenti (la risposta è sufficientemente semplice: ciascuno di noi); resta da chiarire soprattutto in che modo continuiamo a contribuire