La Verità Giovedì 18 Maggio 2017
Nel libro in uscita oggi, Ettore Gotti Tedeschi spiega perché la dottrina serve all’uomo. E chi sono i suoi nemici più forti
Può sembrare scontato, ma non lo è del tutto, che chi ha presieduto lo Ior (Istituto per le opere di religione), cioè la banca vaticana, resti convinto dell’esistenza di Dio e della necessità della Chiesa per il bene degli uomini. Ettore Gotti Tedeschi non solo conserva entrambe le certezze, ma le esprime in un libro che La Verità anticipa: Dio è meritocratico (edizioni Giubilei Regnani, 380 pagine). Il testo è un saggio filosofico che prende di petto eternità apparentemente inattuali. L’ex presidente dello Ior, firma del nostro giornale fin dalla fondazione, sconfina con pudore nel campo teologico e dottrinario anzitutto per una passione all’uomo.
Non tragga in inganno il titolo apparentemente «calcolatore»: il volume, prefato da monsignor Nicola Bux, è un inno cattolico contro la protestantizzazione della vita religiosa e soprattutto della cultura economica e filosofica. Viene da una personalità che ha più titoli di altri per parlarne, avendo a lungo collaborato con Benedetto XVI su temi delicatissimi quali la riforma delle finanze vaticane.
La «meritocrazia» divina non c’entra con un meccanismo di do ut des, ma è la presa d’atto cattolica che le opere contano, che le scelte che si fanno in vita, e le motivazioni che le suscitano, cambiano l’uomo e ne determinano la felicità e il giudizio supremo. È, insomma, una rivendicazione di libertà e di moralità contro ogni determinismo, contro ogni giustificazionismo. Detto in termini più teologici, contro la gnosi, grande nemico che insidia non tanto la Chiesa come struttura di potere ma la possibilità per l’uomo di inchinarsi davanti alla Verità. Gotti Tedeschi tratta sicurezza temi complessi. S’intuisce chiara, nella fedeltà totale alla Chiesa, la fatica nell’abbracciare toni e temi del magistero di Francesco, sul quale pone interrogativi anche radicali.
Ma a salvare il libro dal rischio di apparire freddo e dottrinario contribuisce, tra gli altri, il capitolo che offriamo ai lettori: il motivo per cui ha senso appassionarsi alla fede cristiana è che essa risponde alla domanda di senso dell’uomo: alla ricerca del senso della vita. Dio è meritocratico, non è matematico
di Ettore Gotti Tedeschi
Si può fare a meno del senso della vita? Lo si può ancora trovare da soli? La risposta è no, non lo decidiamo noi creature che, come abbiamo dimostrato, non sappiamo sostituirlo con altri sensi. Abbiamo visto che le eresie e il pensiero conseguente (umanesimo, empirismo, idealismo, razionalismo, positivismo ecc.) hanno concorso progressivamente a scardinare il pensiero e la fede religiosa, a metterla in discussione, senza però riuscire a sostituirla con qualcosa di credibile, anzi portando l’uomo alla confusione, all’agnosticismo e spesso alla disperazione. Filosofìa e religioni naturalistiche non sono mai riuscite a proteggere l’uomo dal male morale e fisico.
La scienza medica ha fatto enormi progressi, ma il male morale non ha mai saputo neppure scalfirlo, anzi forse lo ha persino diffuso e confuso, basti pensare all’aborto e all’eutanasia. L’«ignorante» cultura dominante (nichilista, come la chiamava Benedetto XVI), vissuta nella società, insegnata (si fa per dire) a scuola e persino ormai in famiglia (ahimè), spesso con esempi negativi, non permette, o meglio fa di tutto per impedire, all’uomo di avere i fondamenti dottrinali della religione.
E ciò lo ottiene mistificando quella che chiama «concretezza della vita», identificandola con il reale, quando invece questa concretezza è nell’ideale, che si persegue cercando di dare senso alla propria vita. Siamo pertanto «fregati» e dobbiamo rinunciare al senso della vita che ci dà la Rivelazione? No di certo, perché è Dio che ci cerca, e continuerà a farlo.
Se un uomo alla ricerca della verità entrasse in una Chiesa e chiedesse aiuto a un santo confessore, si vedrebbe, forse, fare una proposta consolatoria per una via di salvezza, ma implicitamente condizionata all’accettazione di dogmi, che lui troverebbe subito irragionevoli. Che farebbe allora quest’uomo costretto ad affrontare l’incredibile «storiella» sulla Creazione, sull’incarnazione di Dio, la sua vita sulla terra, la sua crocefissione, morte e resurrezione, sull’inferno, paradiso, ecc.? Fuggirebbe a gambe levate?
Niente affatto. […] Comincerebbe a riflettere sulla prima cosa che viene in mente a uno che decide di farlo: perché si viene al mondo e si vive con tanti problemi, sofferenze, dolori e soprattutto perché si vive una così breve vita. Comincerebbe anche a intuire che il famoso paradiso è la «vita eterna» e a capire che non è più regalato gratuitamente all’uomo come fu all’origine, deve esser voluto, meritato (Dio è meritocratico!), esercitando virtù, e comincia a intuire che questa è la vera «scalata all’Olimpo».
Ma è quando scopre, intuendolo, cosa ha originato questa decisione di Dio, che il nostro amico comincia a innamorarsi. È quando comprende pienamente il mistero dell’incarnazione, morte e resurrezione di Cristo che si innamora realmente, capendo allora (quasi) tutto. Faticherà ancora infatti a capire cosa è la gnosi, come e perché porta l’uomo a negare la Verità. Ma i maggiori dubbi gli potranno venire soprattutto riflettendo sulle conseguenze di tutto ciò e allora potrebbe domandarsi come possa essere stato possibile che siano state così limitate le conseguenze dell’azione redentrice di Cristo.
Non è infatti facile capire che le creature possano ancora decidere di peccare, non riconoscere Dio e Cristo e permanere nel disordine della natura, soffrire, affrontare il dolore, le malattie, la morte. Non è facile capire che la Redenzione ha, infatti, rimesso la colpa del peccato originale, ma ha lasciato il male derivato da questo peccato e ha dato all’uomo la possibilità di espiare la colpa con la pena.
Certo, il nostro amico continuerà a domandarsi perché Dio non abbia impedito il peccato originale e pertanto non abbia goduto da subito della gloria tributatagli dagli uomini. In pratica, Dio avrebbe potuto dare più grazie agli uomini, come fece con Maria di Nazareth, senza influenzare la sua libertà, come fece con Maria che corrispose a questo dono di libertà.
Perché gli uomini non hanno fatto altrettanto? Scopre allora che c’è una sola e unica risposta a questo quesito, che viene fornita da Sant’Agostino: Dio può avere deciso che anziché non fare esistere il male, fosse meglio che dal male potesse essere tratto il bene (felix culpa). In pratica, facendo emergere il merito nell’esercizio delle virtù, imitando Cristo, unico vero esempio, dei santi anzitutto. E scopre che Dio è meritocratico.
Ma, si domanda sempre il nostro amico, è facile o difficile operare con virtù e acquisire i meriti citati? Ebbene, bisogna attrezzarsi per riuscirci, bisogna fare esercizi spirituali e seguire un piano di vita. Un piano per riuscire a esercitare le virtù (quali l’umiltà), combattere i vizi, assumere criteri di prassi ascetica secondo il proprio stato, con la felice coscienza della croce quotidiana seguendo i consigli evangelici, godendo dei Sacramenti e così via.
Bene, abbiamo fatto un esempio, con linguaggio spirituale, riferito a un uomo lontano dalla Verità e dalla fede, vediamo ora di riferirci a chi la Verità dovrebbe conoscerla e la fede averla e praticarla. Cioè noi.