Documento trascritto da L’Osservatore Romano, del 22-1-1997 – dove è comparso con il titolo Liberalizzazione della droga? come riflessione pastorale del Pontificio Consiglio per la Famiglia -, con ritocchi allo stile sulla base di un confronto con la versione in francese e nel modo di annotazione. Titolo redazionale. Sullo stesso argomento, cfr. Il punto di vista della Società Italiana di Farmacologia (SIF) sulla proposta di liberalizzazione delle “droghe leggere”, documento del 3-6-1995, in Cristianità, anno XXIII, n. 247-248, novembre-dicembre 1995, pp. 16-20.
L’opinione pubblica è stata scossa di recente da alcune proposte, presentate in diversi Paesi, volte a far adottare una legislazione che controllerebbe l’uso della droga, permettendo però un accesso più facile alle cosiddette droghe “leggere”. Il Pontifico Consiglio per la Famiglia è stato interrogato al riguardo da famiglie e numerosi educatori e istituzioni che lavorano con i giovani. Dopo aver consultato esperti di diversi Paesi e responsabili di molte comunità terapeutiche, questo Dicastero presenta le seguenti riflessioni.
1. La tossicodipendenza è un fenomeno che si diffonde sempre più. Essa pone gravi problemi psicologici, sociali, spirituali e morali. Desideriamo, in questa nota, metterci principalmente dal punto di vista dell’individuo e della sua famiglia, perché non dimentichiamo che “al centro della tossicodipendenza si trova l’uomo, soggetto unico e irripetibile, con la sua interiorità e specifica personalità” (1).
2. La tossicodipendenza è passata nello spazio di qualche decennio da una diffusione relativamente ristretta, riservata a una classe sociale agiata e indulgente verso se stessa, a un fenomeno di massa, che tocca innanzitutto i giovani, distruggendo vite, troncando molte promesse, e che nessun Paese finora è riuscito a ridurre e neppure semplicemente ad arginare. “Un gran numero di quanti fanno uso di droga è costituito da giovani, e l’età di approccio al problema si abbassa sempre più” (2).
Bambini e adolescenti usano consuetamente la droga perfino nelle scuole, di fronte a educatori impotenti. È il futuro stesso delle nostre società che la droga mette in pericolo. Per questo motivo la nostra preoccupazione va innanzitutto ai giovani – adolescenti e adulti – perché essi sono oggi le prime vittime della droga.
3. Quando vengono presentati argomenti a favore o contro i progetti di legge per la legalizzazione delle droghe “leggere”, bisogna evitare le semplificazioni e le generalizzazioni, ma soprattutto la politicizzazione di una questione che è profondamente umana ed etica.
Alcuni sostengono che il ricorso moderato ad alcuni prodotti, classificati tra le “droghe”, non comporterebbe né dipendenza biochimica, né effetti secondari sull’organismo. Altri dicono che sarebbe meglio conoscere e seguire i tossicodipendenti anziché lasciarli nell’illegalità, sia per poter venire in loro aiuto sia per proteggere la società. Si argomenta, in base a ciò, in favore della legalizzazione della droga.
4. La scienza e la tecnologia hanno sempre cercato di trarre profitto dalle sostanze chimiche per favorire la cura delle patologie, per migliorare le condizioni di vita, per incrementare il piacere della convivenza. Gli utilizzatori hanno constatato che alcune di queste sostanze procurerebbero una sensazione piacevole, euforica, ansiolitica, sedativa, stimolante o allucinogena.
Tali “droghe” creano al tempo stesso perdite di attenzione e un’alterazione del senso della realtà. Il consumo di tali sostanze favorisce anzitutto l’isolamento e poi la dipendenza con il passaggio a prodotti sempre più forti. In alcuni casi il prodotto crea una dipendenza tale che il fruitore non vive che per procurarselo.
5. Gli effetti variano da una droga all’altra, senza che si possa distinguere chiaramente, sul piano farmacologico, una classe di “droghe leggere” e una classe di “droghe pesanti”. Infatti la maggior parte delle droghe attiva meccanismi intracerebrali comuni. Sono la quantità consumata, il modo di assorbimento e le eventuali associazioni che costituiscono i fattori decisivi nella materia (3).
Inoltre nuove droghe arrivano tutti i giorni sul mercato, con nuovi effetti e nuovi problemi. Infine, si dovrebbe ragionevolmente allargare il quadro della tossicodipendenza a molte sostanze (ansiolitiche, sedative, antidepressive, stimolanti) che non sono considerate come “droghe”, compresi il tabacco e l’alcool (4). Infatti, il problema si pone in termini diversi da quelli semplicemente biochimici.
6. Non è la droga che è in questione, ma gli interrogativi umani, psicologici ed esistenziali impliciti in questi comportamenti. Troppo spesso non si vogliono comprendere tali questioni e si dimentica che ciò che fa la tossicodipendenza non è il prodotto, ma la persona che ne proverà il bisogno. I prodotti saranno forse diversi, ma le ragioni di base rimangono le stesse. È per questo motivo che la distinzione tra “droghe pesanti” e “droghe leggere” conduce a un vicolo cieco.
7. Il ricorso alla droga è sintomo di un “malessere” profondo. Come afferma il Pontificio Consiglio per la Famiglia: “La droga non entra nella vita di una persona come un fulmine a ciel sereno, ma come un seme che attecchisce in un terreno da lungo tempo preparato” (5). Dietro a questi fenomeni c’è una richiesta di aiuto da parte dell’individuo, che rimane solo con la propria vita; c’è un desiderio non solo di riconoscimento e di valorizzazione, ma anche di amore. È, pertanto, alla causa del fenomeno che bisogna risalire innanzitutto se si vuole intervenire in modo efficace sulle conseguenze personali e sociali provocate dall’uso della droga.
8. Il problema, in effetti, non è nella droga, ma nella malattia dello spirito che conduce alla droga, come ricorda il Papa Giovanni Paolo II: “Bisogna riconoscere che esiste un nesso fra la patologia letale provocata dall’abuso di droghe e una patologia dello spirito che porta la persona a fuggire da se stessa e a cercare soddisfazioni illusorie in una fuga dalla realtà, al punto di annullare completamente il significato della propria esistenza” (6).
9. Nella tossicodipendenza giovanile, questi problemi umani sono in primo piano. Il giovane tentato dalla droga ha una personalità fragile, immatura, poco strutturata, e ciò è in rapporto diretto con l’educazione che egli non ha ricevuto. La maggior parte degli specialisti nelle scienze umane non smette di dire, da molti anni, che la società abbandona i giovani, che essi non sono attesi e rispettati e che l’ambiente non fornisce tutti gli elementi sociali, culturali e religiosi per permettere lo sviluppo delle loro personalità.
10. Siamo in un mondo in cui il bambino è troppo presto lasciato a se stesso. Si spera di svegliare la sua libertà e di renderlo autonomo mentre, allo stesso tempo, sulla distanza lo si rende fragile, perché non gli si dà la possibilità di appoggiarsi sugli adulti e sulla società per poter maturare. In mancanza di questo appoggio di base, molti giovani arrivano alle soglie dell’adolescenza senza una vera organizzazione e una struttura interiore.
Come reazione di fronte a un mondo che sembra vuoto, considerando il loro avvenire limitato, alcuni cercano, malgrado tutto, di sentirsi vivi. Essi cercano punti di appoggio altrove e coltivano diverse relazioni di dipendenza con altri, con diversi prodotti o con comportamenti incontrollabili rischiosi.
11. I genitori di questi giovani sono legittimamente preoccupati e spesso cercano aiuto quando si trovano di fronte a ciò che sembra loro un grave problema che, come minimo, mette in questione la maturazione psichica, etica e spirituale dei propri figli. Un bambino, come un adolescente, non ha il senso dei limiti, specialmente in un mondo in cui si sostiene l’idea che tutto è possibile e che ognuno può fare ciò che vuole. I genitori cercano di insegnare ai propri figli ciò che si può fare e non, ciò che è bene e ciò che è male. Spesso hanno l’impressione che il loro atteggiamento educativo venga indebolito e perfino svalutato dalle idee e dalle immagini che circolano nella società.
12. Di conseguenza, i genitori si sentono spesso perdenti di fronte ai figli, vinti da ciò che purtroppo sembra più forte di loro nell’agorà mediatica. Essi sono inquieti perché non si sentono sostenuti dalla società. Non vogliono che i loro figli si droghino nel momento stesso in cui alcuni si danno da fare per legalizzare la vendita e l’uso di prodotti che favoriscono la tossicodipendenza.
13. Di fronte a questa escalation di discorsi favorevoli alla legalizzazione, occorre porsi i veri interrogativi. Numerosi tentativi sono stati fatti in tal senso e si sono rivelati essere dei fallimenti. Si sa veramente perché bisognerebbe legalizzare la libera circolazione delle droghe? Si vuole davvero ancora, realmente, lottare contro la droga, o si è già gettata la spugna? Si cede alla facilità e alla demagogia, o si cerca seriamente di prevenire? È accettabile creare una sottoclasse di esseri umani viventi a un livello sub-umano, come si vede, purtroppo, nelle città dove la droga è in vendita liberamente? Si è tenuto sufficientemente in conto ciò che gli esperti non cessano di dire da molti anni, che la tossicodipendenza non si gioca sulla droga ma su ciò che conduce un individuo a drogarsi? Si è dimenticato che, per vivere, ognuno deve poter rispondere ad alcuni interrogativi essenziali dell’esistenza? La legalizzazione del prodotto non servirà invece solo a rafforzare questa dimenticanza?
14. Poiché la tossicodipendenza giovanile dipende da una debolezza del nostro sistema educativo, non si vede in che modo la legalizzazione di questi prodotti favorirebbe un miglior controllo di essi da parte dei giovani, e soprattutto li aiuterebbe a comprendere ciò che cercano attraverso queste sostanze.
15. La legalizzazione delle droghe comporta il rischio di effetti opposti a quelli ricercati. Infatti, si ammette facilmente che ciò che è legale è normale, e quindi morale. Attraverso la legalizzazione della droga, non è il prodotto che si ritrova, da questo fatto, liberalizzato, ma sono le ragioni che conducono a consumare tale prodotto che si trovano convalidate. Ora, nessuno lo contesterà, drogarsi è un male. La droga, che sia acquistata illegalmente o distribuita dallo Stato, è sempre distruttrice dell’uomo.
16. D’altronde, a partire dal momento in cui la legge riconoscesse questo comportamento come normale, ci si può domandare come le autorità pubbliche farebbero fronte al dovere di educazione e di cure alle persone per i rischi che questa legalizzazione implicherebbe. Siamo davanti a una contraddizione supplementare del mondo attuale che banalizza un fenomeno e cerca poi di curarne le conseguenze negative.
17. Si devono anche considerare le ricadute sociali di tale legalizzazione. Si esamineranno senza timore lo sviluppo della criminalità, delle malattie legate alla dipendenza, e l’aumento degli incidenti stradali che comporterà il facile accesso alle droghe? Si è pronti ad affidarsi professionalmente alle persone tossicodipendenti? Si deve assicurare loro la sicurezza del lavoro? Inoltre, lo Stato ha realmente i mezzi finanziari e di personale per far fronte all’accrescimento del problema sanitario che comporterebbe inevitabilmente la liberalizzazione della droga?
18. Davanti a queste questioni, lo Stato ha innanzitutto il dovere di vegliare sul bene comune. Questo esige che esso protegga i diritti, la stabilità e l’unità della famiglia. Distruggendo il giovane, è la famiglia che la droga distrugge, quella di oggi e quella del futuro. Ora, se questa cellula vitale e primordiale della società si trova minacciata, è l’insieme della società che soffre. D’altronde, come sottolinea il Pontificio Consiglio per la Famiglia, la tossicodipendenza è, in parte, la ragione dell’indebolimento della famiglia, della rottura dei focolari (7).
“L’esperienza di quanti operano con speciale competenza nel mondo della tossicodipendenza […] conferma in modo unanime che il modello” della famiglia fondata sull’“amore autentico: unico, fedele, indissolubile dei coniugi” … “resta il punto di riferimento prioritario su cui insistere in ogni azione di prevenzione, recupero e ripresa della vitalità dell’individuo” (8).
19. Assicurando così il bene comune, lo Stato ha anche per compito di vegliare al benessere dei cittadini. L’aiuto dello Stato ai cittadini deve rispondere al principio dell’equità e della sussidiarietà: cioè deve innanzitutto proteggere, fosse anche contro se stesso, il più debole e povero della società.
Non ha dunque il diritto di dimettersi dal suo dovere di tutela di fronte a coloro che ancora non hanno avuto accesso alla maturità e che sono vittime potenziali della droga. Inoltre, se lo Stato adotta o mantiene una posizione coerente e coraggiosa sulla droga, combattendola qualunque ne sia la natura, questo atteggiamento aiuterà contemporaneamente la lotta contro gli abusi dell’alcool e del tabacco.
20. La Chiesa vuole ricordare i risvolti di questo fenomeno. Essa sottolinea il fatto che, nella prospettiva di una legalizzazione della vendita e dell’uso dei prodotti che favoriscono la tossicodipendenza, è il destino delle persone che è in causa. Alcuni avranno la loro vita diminuita, cioè ferita, mentre altri, forse senza cadere nella dipendenza vera e propria, guasteranno i loro anni giovanili senza davvero sviluppare le loro potenzialità. Non si fa esperienza a spese delle persone. Il comportamento che conduce alla tossicodipendenza non ha alcuna possibilità di correggersi se i prodotti che rafforzano tale comportamento stesso sono messi in vendita liberamente.
21. Al contrario, come ha detto il Santo Padre: “la possibilità di recupero e di redenzione dalla pesante schiavitù” della droga con metodi basati sull’accoglienza, la valorizzazione, l’educazione alla libertà, l’amore “è stata concretamente provata […] ed è significativo che questo sia avvenuto con metodi che escludono rigorosamente qualsiasi concessione di droghe, legali o illegali”, che si tratti della droga stessa o di un suo sostituto. E il Papa Giovanni Paolo II aggiungeva, “la droga non si vince con la droga” (9).
22. Diversi atteggiamenti sono possibili, di fronte al problema della droga, e tutti hanno la loro giustificazione. Tuttavia, a una politica di semplice “limitazione” o “riduzione” del danno, ammettendo come un fatto di civiltà che una parte della popolazione si droghi e vada verso la sua perdita, non sarebbe preferibile optare per una politica di vera prevenzione, mirante a costruire (o a ricostruire) una “cultura della vita” in questa “emarginazione” della nostra civiltà dell’efficienza?