“La libertà è schiavitù” – George Orwell
di Federico Soldani
La retorica predominante che si sta sempre più affermando è molto coerente su un punto: fuori ci sarebbe troppa libertà, il mondo sarebbe troppo pericoloso, complesso e interconnesso. Il battito d’ali di una farfalla qui, insegna la teoria del caos, potrebbe scatenare uragani dalla parte opposta del globo. Figurarsi dunque gli effetti dell’azione umana nel suo complesso. Dentro invece ce ne sarebbe troppo poca di libertà, avremmo troppi freni inibitori interiori imposti dalla civilizzazione e che invece andrebbero lasciati liberi, attraverso l’ormai quasi onnipresente discorso della “dissoluzione dell’ego”.
Persino il Santo Padre sembra parlare frequentemente in termini non solo spirituali cattolici ma spesso psicoanalitici, proprio in riferimento all’ “ego”. Il discorso generale è assai problematico, poichè si vorrebbe insistere sulla importanza della libertà interiore proprio in un contesto storico che coarta la libertà esteriore.
E’ stupefacente vedere come la retorica del capitalismo si sia ribaltata nel giro di pochi anni: dalla libertà valore supremo alla libertà come caos e rischio mortale. Il mondo esterno sarebbe dunque troppo pericoloso, complesso, interconnesso per un cervello e dei sensi, quelli umani, che si sono sviluppati per il mondo della foresta e della caverna e non per una società iper-tecnologica, sovrappopolata e affollata, con virus e pandemie, rischio nucleare, inquinamento e l’inarrestabile riscaldamento del pianeta.
Quindi le persone in base a questa retorica andrebbero quantomeno fermate fisicamente, ammesso e non concesso che il digitale non sia inquinante, ça va sans dire, e che i “virus” virtuali siano meno pericolosi di quelli biologici. La trasmissione “Forum Internum” della BBC tramite la sua nobile conduttrice, la baronessa Kennedy, ci informa che senza libertà interiore quella esteriore è solo di facciata, discorso a prima vista ragionevole.
Se non che si colloca nel più ampio contesto storico in cui per esempio i rivenditori online di allucinogeni, invocano la libertà di coscienza (nel senso inglese di “consciousness”, ovvero lo stato cosciente, non di “con science”, ovvero di coscienza morale) e anche una non meglio precisata “libertà cerebrale”.
Gli accounts online di questi rivenditori, che aggirano le leggi nazionali basate sulle costituzioni tramite il Web, non vengono certo chiusi dai colossi di Internet i quali anzi finanziano le campagne per la legalizzazione (ufficialmente i coniugi Zuckerberg hanno appena donato mezzo milione di dollari alla causa) o come dicono loro decriminalizzazione degli allucinogeni, al contrario degli account di cittadini che non rinunciano a fare politica e che vengono censurati.
La libertà esterna quindi, quella fatta prima di tutto di materia, di atomi e molecole, quella che percepiamo e viviamo attraverso i cinque sensi è sempre più rappresentata come il caos, un rischio, una follia, un non senso. Quella interiore invece, alcuni la presentano come prerequisito alla esteriore, per esempio Forum Internum della BBC, senza però mai invocare anche quella per così dire classica, ovvero la libertà di agire nel proprio ambiente entro i limiti della legge morale e della legge codificata.
La libertà interiore sarebbe quindi la nuova frontiera, non però per aumentare quella classica nel mondo degli atomi, ma per muoversi in modo permanente in una sola direzione energeticamente efficiente, quindi come uno scivolo, quella digitale dei bit.
Nel discorso cyber-psichedelico, ovvero del digitale e degli allucinogeni, si invoca la necessità di fare viaggi da fermi, quindi con “trip” allucinogeni, viaggi per l’appunto, e con il virtuale. Il cittadino ormai divenuto spettatore quando non addirittura un paziente, quindi passivo, può ancora esperire mondi potenzialmente del tutto programmabili sulla rete, sul Web, su Internet, tramite la realtà virtuale.
Essendo pieno di bias cognitivi (errori sistematici di pensiero), centinaia di bias in base alla nuova retorica (una affermazione non scientifica, visto il tempo che occorre per studiarne anche solo uno o pochi di questi errori sistematici e per comprenderne le implicazioni, si vedano Tversky e Kahneman), si deve lasciare il mondo esterno alla cosiddetta intelligenza artificiale, mentre quella umana è sempre più rappresentata come idiozia. Idiozia umana, intelligenza artificiale. La retorica del “circondati da idioti”.
Nel discorso cyber-psichedelico inoltre si invoca a gran voce proprio la dissoluzione dell’ego psicoanalitico. Il super-ego, la legge interiore che sorveglia e punisce, si fa esterno e digitale, mentre l’id o es biologico diventa la nuova fonte di energia della economia digitale. L’ego sarebbe dunque un tappo al rilascio della nuova energia.
Il nuovo oro nero del ventunesimo secolo dell’economia digitale è dunque il nostro es o id, la nostra componente più bassa, animale, istintuale, delle cosiddette pulsioni, degli impulsi e delle passioni, del sesso e dell’aggressività. L’ego che rappresenta la parte che integra i cinque sensi, quindi che si mette in relazione con il mondo esterno e ne permette la manipolazione, una caratteristica precipua della civiltà greca, europea e poi occidentale.
Ego che rappresenta l’autonomia, la libertà del singolo di agire nel mondo esterno, la dignità e la capacità di raziocinio autonomo, che filtra esperienze, impulsi e decisioni, è rappresentata dalla retorica corrente come la parte che deve essere dissolta o che deve morire. In inglese “ego dissolution” o “ego death”.
L’ego dà unità, integra la persona e filtra il mondo esterno così come gli impulsi dell’es o id. Questa unità è stata rappresentata come la legge romana o come il monoteismo, mentre dovremmo secondo la retorica cyber-psichedelica, tornare a uno stato pre-diritto romano e politeista, come le voci che lo psicotico sente quando non distingue più i propri pensieri come per l’appunto propri.
I modi per dissolvere questo ego sarebbero diversi, principalmente tre: [1] digitale, [2] “allettamento” e [3] sostanze chimiche che disorganizzano l’integrità psichica, primariamente gli allucinogeni rivenduti come psichedelici, enteogeni, in “micro-dosi” o in versioni “light”, attraverso terapie mediche o psicoterapeutiche, o attraverso prodotti correlati che servano a far passare l’idea degli allucinogeni di massa (per adesso inaccettabile), per esempio prodotti della cannabis come il CBD, che non siano direttamente l’allucinogeno THC.
Dissolvere l’ego dunque con il digitale: lusingarlo prima di tutto, attraendolo nel digitale con la trappola del narcisismo, i cosiddetti social e i selfie, etc. quindi disarticolarlo dal mondo reale e dai rapporti sociali reali e non mediati dal digitale. Il digitale supera la distinzione tra individualismo e collettivismo (si veda la cosiddetta Ideologia Californiana, misto di libertarianismo e marxismo) poichè l’estremo isolamento dal mondo esterno per mezzo del digitale implica una immersione completa nel collettivo digitale, in cui le macchine e gli algoritmi coordinano senza bisogno dello sforzo del singolo, dei corpi intermedi e della legge interiorizzata, morale o codificata.
Non dimentichiamo inoltre che la parte automatica della mente e del cervello è primariamente quella bassa, dei riflessi, più primitiva, non o sub cosciente, e anche quella emotiva. Il bisogno di muoversi sempre meno grazie al digitale e all’automazione, che aiuterebbero contro virus e inquinamento, e che per adesso si svolgono per esempio tramite il pulmino di Amazon e tra poco coi droni, già sperimentati in U.S.A. allo scopo, porta a forme di “allettamento”, si vedano ad esempio gli Hikikomori in Giappone.
Queste forme di “allettamento” di massa modificano tra le altre cose la cenestesi, ovvero la percezione che abbiamo degli organi interni e dello stato di benessere generale, strettamente connessi proprio con il senso di sè e la integrità e non molteplicità di questo.
Infine la marea allucinogena che sta arrivando, attraverso la produzione industriale per le masse di sostanze, in modo per adesso surrettizio e via via più esplicito, serve alla dissoluzione dell’ego per le masse. Dissoluzione di cui si parla in modo aperto e di cui hanno anche scritto autori come Huxley, Evola e più di recente la pletora pubblicistica in materia.
Non è vero come dicono alcuni che la globalizzazione sia finita, siamo invece passati alla ben più radicale globalizzazione digitale. Chi parla di fine della globalizzazione infatti si guarda bene dall’accennare al discorso digitale.
“La nazione e’ un’estensione dell’ego”
Zbigniew Brzezinski
(“Tra due ere: il ruolo dell’America nell’eta’ tecnetronica”, 1969-1970)