La Croce quotidiano 6 dicembre 2017
Riportiamo la relazione (non rivista) dell’intervento di apertura di Padre Giacobbe Elia al primo Seminario Nazionale di formazione storico-politica del Popolo della famiglia (Roma, 2 dicembre 2017). Il bioeticista e teologo francescano ha esposto sul delicato tema: “Chiesa e totalitarismi fra XX e XXI secolo”
di padre Giacobbe Elia
La nostra epoca è segnata dalla frammentarietà e dall’incertezza, ed è abitata, come dice Marcello Veneziani, da “solitudini scontrose”. Ci tiene impegnati in una guerra subdola e feroce che contrappone tutti a tutti. Una guerra che si combatte perfino all’interno delle nostre famiglie, e che non ha vincitori perché lascia tutti più disorientati e vinti. Anche coloro che la scatenano, tra i quali molti non ne comprendono nemmeno l’estensione.
Lo smarrimento attuale della memoria genera apolidi, gente cioè che non ha più una patria né radici. Noi non veniamo forse continuamente convinti di essere apolidi mentre veniamo sradicati con una violenza subdola dalle nostre radici cattoliche? Vogliono negarci la gioia, la forza e la solidarietà che sgorgano dalla consapevolezza di essere un popolo dai caratteri definiti. Non è in corso una guerra sottile volta a disgregarci e renderci perciò più vulnerabili? Pensiamoci, è una questione di drammatica attualità.
L’osservazione di Hanna Arendt, questa interessante filosofa ebrea del XX secolo, sulla condizione degli apolidi, privati della cittadinanza e di ogni diritto, che venivano deportati nei campi di concentramento nazionalsocialisti, ci serve molto oggi. Allora, nei lager e nei gulag, era negata ai prigionieri persino la dignità di esseri umani. La concezione dei diritti dell’uomo, scriveva la Arendt, è naufragata nel momento stesso in cui sono comparsi gli apolidi, appunto come rischiamo di diventare noi.
I deportati durante la seconda guerra mondiale avevano perso tutte le loro qualità e le azioni specifiche attinenti alla condizione umana. E il mondo dominato dal totalitarismo non ha trovato nulla di sacro nell’astratta nudità dell’essere umano. La dignità dell’uomo, così, viene del tutto cancellata e questo, se ci pensiamo bene, continua ad avvenire anche oggi. Per esempio con l’aborto, nei nostri asettici ospedali, è negata ai nascituri la condizione stessa di esseri viventi.
La “trionfale” rottura con il passato e la mancanza di una prospettiva sono così evidenti da inverare la folgorante triste osservazione di Emil Cioran, il filosofo, saggista e aforista rumeno, tra i più influenti del ventesimo secolo: “un tempo ci si definiva – dice questo filosofo – in base ai valori accettati, oggi invece in base ai valori ripudiati”. È avvenuta insomma un’inversione.
L’osservazione di Cioran è traumatica: un tempo la società si costituiva sulla base della condivisione dei valori, che trovavano in Europa nel cristianesimo il loro cemento e anche loro fondamento. Oggi, invece, si fonda sulla lotta a quegli stessi valori. Ma la società per avere un futuro deve pur avere un fondamento. Invece noi lo neghiamo per vivere un tempo segnato dal nichilismo. La solidarietà sociale generata dei valori condivisi dai nostri padri è stata aggredita da un’intelligenza violenta e cieca apportatrice di morte, che tragicamente riesce a coagulare le masse che, tra l’altro, sono controllate e suggestionate continuamente con i mass-media.
Qui voglio fare una piccola digressione: il modo di pensare comunista e la pratica di manipolare le menti con l’ideologia, sono tutt’ora realtà vive e forti. Sembrano essere caduti alcuni partiti marxisti sconfitti dalla storia ma, in effetti, il pensiero radicale di massa, quello di Marco Pannella per intenderci, il più virulento è il più mortale. È l’unico pensiero vincente nella modernità o, se vogliamo, nella post-modernità. E non ha vinto perché è il più compiuto, il più articolato e il più brillante, ma ha vinto perché noi cristiani ci siamo ritirati dall’agone della battaglia. Abbiamo in pratica smesso di pensare e di difendere integralmente il nostro pensiero. Il tempo che noi stiamo vivendo è definito “post-moderno” o, da molti più, rivendicato esplicitamente come mondo non più cristiano o addirittura scristianizzato.
Nell’età moderna l’ideologia totalitaria ha segnato decisamente il suo “trionfo” celebrando la morte di Dio. Ma questo “trionfo” ha trovato il suo esito nella più grande barbarie del XX secolo, che continua nel XXI per diversi aspetti. Una barbarie, ricordiamolo, perpetrata da uomini che hanno ripudiato Cristo. La violenza totalitaria di oggi non è fatta da cristiani ma da uomini che hanno proclamato di non avere più bisogno della legge Verità e di amore di Gesù!
“C’è Auschwitz, dunque non può esserci Dio. Non trovo una soluzione al dilemma e la cerco ma non la trovo”, dichiarò in un’intervista Primo Levi che concluse la sua vita gettandosi dalla tromba delle scale della propria casa di Torino. A nulla valsero le severe obiezioni di un altro ebreo, il filosofo francese di origine lituana Emmanuel Lévinas [(1906-1995)], per il quale proprio dopo Auschwitz – il nome è preso a simbolo delle tante disumanità moderne – l’uomo può e deve rafforzare la fede in Dio visto che rifiuto di lui ad essere responsabile di una così grande umanità, quella che stiamo vivendo.
Osservava Lévinas a coloro che negano Dio riferendosi ad Auschwitz: “ma che demone ottuso, che strano mago avete dunque insediato nel vostro cielo voi che usate definirlo deserto”, cioè privo di Dio? Vi ricordate anche la “gloriosa” esperienza di Gagarin e la propaganda sovietica: questo astronauta è andato sullo spazio ma diceva di non avere visto Dio. E perché, obiettava Lévinas, sotto un cielo vuoto cercate ancora un mondo sensato e buono? Se non c’è Dio, lo diceva già Dostoevskij, perché gli imputiamo il male? Oppure continuiamo a cercare, quasi ad esigere, annaspando, il bene? Non c’è motivo.
La vittoria delle ideologie non è affatto pacifica e rassicurante come ci vogliono far credere. Visto che due insospettabili interpreti della nostra epoca, due eminenti esponenti della “scuola di Francoforte”, quella che voleva coniugare marxismo e psicoanalisi, Max Horkheimer [(1895-1973)] e Theodor Adorno, hanno osservato con amara e sofferta ironia che l’Illuminismo, in parole povere la pretesa della ragione umana di dominare tutto il reale, hanno preteso di perseguire l’obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni della loro esistenza.
Ma la terra, interamente “illuminata” dalla ragione umana, “splende” nei secoli moderni all’insegna di una trionfale sventura. Noi non abbiamo guadagnato niente abbracciando queste ideologie. Il superamento della Parola di Dio e la presunzione dell’uomo di essere lui al centro del Creato hanno coronato la svolta antropologica inaugurata dall’umanesimo molti secoli fa e poi decisamente promossa dall’Illuminismo. E qui mi dovete consentire una nuova digressione: l’Illuminismo stesso trova in Lutero, a mio avviso, il suo padre più “naturale”.
Ma torniamo alla modernità, che ha instillato nell’uomo la convinzione che il procedere della storia, quello che noi viviamo, è sempre e comunque foriero di benessere e di progresso. La visione della storia di Marx e di Engels vede il cammino storico certamente accidentato – abbiamo delle difficoltà, nessuno lo può negare – ma, si afferma, la storia è in perenne movimento verso una tappa ben precisa, quella del Progresso, che culminerà nella società socialista e poi comunista.
La necessità di questo felice esito i progressisti la provano “scientificamente”. Non dimentichiamo che il successo che ha avuto il comunismo nel Novecento è stato anche favorito da una cecità dei cosiddetti democristiani e di molti altri che hanno sostanzialmente assentito nel ritenere “scientifico” quel metodo che di scientifico non ha nulla. Ma loro asserivano di provarlo scientificamente ricorrendo all’analisi economica. Analisi che Marx considerava la “scienza delle scienze” e che, i marxisti, dicono che proverebbe che tutti i lavoratori e, in particolare gli operai, erano destinati ad acquisire un peso sociale sempre maggiore.
Ciò che non è mai avvenuto né nei regimi socialisti né in quelli sovietici o comunisti. E siccome i lavoratori, dice Marx, sono per definizione “progressisti”, siccome poverini non lo sanno hanno perciò bisogno del Partito Comunista (oppure, oggi, del PD o del Movimento 5 Stelle). Ne segue che la direzione progressista della storia è inevitabile. Per questo i comunisti hanno sempre proclamato: “noi vinceremo”. Il fatto che la Cina abbia trovato il proprio benessere sociale seguendo un’altra via è per i nostri cosiddetti progressisti del tutto irrilevante.
Quindi pur di non contraddirsi sono arrivati a teorizzare la sostituzione dei lavoratori con gli immigrati (ius soli), pur di garantirsi oltretutto i loro privilegi perpetuando fra questi ultimi ed i ceti popolari la “lotta di classe”.
I cosiddetti progressisti propagandano la visione di un certo illuminismo “candido”, senza macchia, per cui tutto procederebbe per tappe successive verso nuovi successi. Quindi noi non ci dobbiamo preoccupare perché tutto andrà bene! Anche le banche dicono che non andiamo male, che il PIL sale etc. Tutto perché la storia degli uomini non prevede nulla di diverso e quindi necessariamente deve essere così e tutto non può che procedere per il meglio.
“Vengo dal Comunismo e da ambienti laici”, osservava in un convegno davvero interessante cui l’avevo invitato Giuliano Ferrara ma, continuava, “da un certo punto in poi ho creduto di capire che il secolarismo è diventato l’essenza del mondo moderno. Ebbene io non saprei vivere in un sistema che non sia una liberaldemocrazia, ma non accetto di vivere in un sistema che esclude aprioristicamente la Chiesa dal suo orizzonte e che questo sia il fine ultimo delle ideologie”.
Proudhon diceva che si doveva cacciare Cristo dal palcoscenico della storia per essere liberi. Ma, continuava Ferrara, citando Leo Strauss che insegnava a Chicago e che è stato uno dei miei maestri, diceva: “la modernità è progredita fino al punto di diventare un problema a sé stessa”. Noi non sappiamo più giustificare le scelte che facciamo perciò ci siamo abituati a uno dei peggiori dei mali a cui l’ideologia ci ha fatto approdare, cioè l’accettazione aprioristica delle cose, pur in contraddizione fra di loro.
Accettare, quindi, che un sistema politico o sociale esista pur essendo incoerente con sé stesso. Il mondo moderno che ha appunto realizzato l’invito di Proudhon di cacciare Cristo dal palcoscenico della storia e di escludere il cristianesimo dal suo orizzonte culturale è diventato davvero problematico a sé stesso. Questo perché è caduto così nella tentazione del totalitarismo ideologico. Cioè nella esclusione particolarmente sprezzante, male argomentata e nutrita di conformismi del cattolicesimo che contraddice questo tipo di postmodernità. In tutto questo consiste lo sforzo moderno di oggi che, sembra, essere anche aiutato da molti uomini di Chiesa.
Combattere il mondo secolarizzato è quello che il Popolo della Famiglia si propone a livello politico. Il perseguimento di questo obiettivo, però, non avverrà senza l’aiuto di Dio, questo sia ben chiaro! La storia si muove sempre poggiando su un elemento che sta fuori dalla storia. Se non recuperiamo questo, se il PdF non recupera questo elemento, non andiamo da nessuna parte.
Il mondo secolarizzato è diventato così il mondo più ideologizzato di tutti i tempi, realizzando così una religiosità perversa, capovolta, che fa dell’ideologia la sua religione. Sì, il mondo moderno ha fatto dell’ideologia la sua religione, ha creato i sacerdoti laici, perché l’uomo non sa vivere senza religione. Il mondo secolarizzato ha finito per mettere l’uomo al posto di Dio, la miseria al posto della perfezione. E per fare questo ha dovuto prima convincere l’uomo che Dio è il male, perché Dio è nemico dell’uomo.
Dio tormenta l’uomo con le sue leggi che, perciò, vanno violate e abbattute. Ma è proprio per recuperare quelle leggi di Verità che, mi pare, sia nato il Popolo della Famiglia. E per contrastare quell’intelligenza perversa che ha convinto l’uomo che ogni suo Progresso è una vittoria contro Dio e lo ha costituito arbitro della vita e della morte. L’uomo padrone del bene e del male come nell’Eden. L’uomo “sacerdote laico” dell’ateismo… una contraddizione terribile che noi però viviamo tranquillamente. Perché al di là degli slogan l’uomo non può vivere senza religione e, per questo, crea una religiosità perversa, all’insegna della “liberazione tollerante” da qualsiasi forma di fede, di stabilità, di pensiero, di densità e profondità dottrinale.
All’insegna della “liberazione” di qualsiasi eredità tradizionale il mondo moderno, per ragioni di conformità, costringe di fatto l’umanità ad una forma di schiavitù intellettuale obbligata. Una forma che il politicamente, il religiosamente, l’ideologicamente corretto sta risolvendo in un grande e penoso conformismo planetario. Oggi tutti sono “rivoluzionari” ma, paradossalmente, tutti ripetono sempre le stesse cose, tutti! Tranne qualcuno che ha il coraggio di dire il contrario e viene marchiato di volta in volta come “tradizionalista” o come “conformista”. Anche questo è un falso storico, oltre che un falso linguaggio.
All’insegna della “liberazione tollerante” la modernità ripropone il Pantheon. Ecco perché i cristiani sono disposti a rinunciare alla pretesa di essere loro i portatori di un annuncio salvifico esclusivo. Ma questa impresa, non dimentichiamolo, significa la sconfitta non della Chiesa di Cristo ma della grande tradizione di Roma, che non è l’America di oggi, ma qualcosa di ben più. Roma ha fatto nascere un pensiero…
Concludo con una parola di speranza: il cristianesimo avrà sempre un piccolo gregge che sarà irriducibile ad ogni pretesa mondana. Ce l’avrà sempre malgrado la modernità obblighi le società a declinare il Pensiero Unico e a fingere che chi lo contraddice compia un attentato alla sua libertà e a quella della modernità. Ma questa modernità, cari amici e fratelli, è tirannica, perché vuol far conoscere soltanto sé stessa e nega il diritto di cittadinanza a Cristo. Essa non si confronta con il passato, perché ha paura di confrontarsi. Semplicemente lo demonizza. E così fa con noi.