Il Giornale 16 Novembre 2021
Un suggestivo lavoro di Jost a metà strada tra politica e neuroscienze
di Marco Gervasoni
Il lettore, spossato, protesterà ancora con destra e sinistra, basta, non aveva già detto tutto Gaber?. Si, la canzone Destra-Sinistra, fatta uscire, non si sa se ironicamente, in quel 1994 che diede avvio al bipolarismo, e appunto alla contrapposizione tra (centro) destra e (centro) sinistra, verteva tutta su una diatriba di gusti, «le scarpette da ginnastica», «la minestrina«, «i collant».
Forse il geniale autore non ne era conscio, ma in realtà, come spiega lo psicologo statunitense, docente alla New York University, John T. Jost, nel suo recente Left and Right. The Psychological Significance of a political distinction (Oxford University Press) la differenza tra destra e sinistra, tra conservatori da un lato e liberali (secondo l’accezione americana) e socialisti dall’altro, va cercata nelle diverse strutture cognitive di ognuno di noi: la mente del conservatore funziona in modo altro da quella del progressista, percepisce oggetti diversi ma soprattutto li inquadra in schemi profondamente differenti.
Una tesi molto suggestiva, frutto di anni di ricerche della psicologia sociale e rafforzata negli ultimi tempi dagli studi della neuroscienze, e soprattutto della sua branca applicata alla politica. Jost, che non è un neuroscienziato, si colloca su questa scia, offrendo tuttavia un contributo originale. Prima di tutto perché mostra come la divisione destra / sinistra sia oggi ineliminabile.
Nonostante i tentativi di populisti e di tecnocrati, curiosamene alleati, di negare questa dicotomia in nome di un andare oltre, verso il «popolo» gli uni, verso la «tecnica e la competenza» gli altri, essa è ben strutturata nel mondo occidentale e ne regola tutto sommato ancora la politica. La seconda originalità del libro di Jost sta nel rivendicare l’importanza della ideologia.
I teorici, sia populisti che tecnocratici, della fine della contrapposizione destra / sinistra concordano anche nel ritenere superate le ideologie. Ora se si intende quelle del Novecento, si può essere d’accordo, anche se i loro residui, per dirla con Pareto, sono ancora ben vivi. Se invece si intende che d’ora in poi non ci si dividerà più a partire dalle diverse immagini del mondo, Jost spiega molto bene come il bisogno di ideologia sia radicato nella natura umana, nella sua psicologia, nel funzionamento della sua mente e nell’attività dei centri neuronali: «quello in cui crediamo è un intricato intreccio di quello che vogliamo credere e di quello che sentiamo giustificati a credere».
Insomma l’ideologia è un bisogno emotivo e pensare che la politica possa essere un calcolo freddo tra ipotesi diverse su cui gli elettori si esprimono dopo essersi «documentati», è un’utopia dei Competenti e dei tecnocrati, ma oltre ad essere irrealizzabile, come tutte le utopie, è anche terribilmente deprimente. Ci dividiamo tra destra e sinistra, tra conservatori e progressisti, perché il nostro corpo, quindi il nostro cervello, la nostra mente, reagisce in maniera diversa agli stimoli del mondo esterno.
L’uomo di destra è più attento all’ordine, alla disciplina, preferisce soluzioni più rapide anche se più schematiche: secondo la management terror theory, la nostra cultura è tutto un tentativo di esorcizzare la morte e il suo pericolo. L’uomo di destra ha ben presente che la natura e la società sono luoghi pericolosi, che la natura umana non è intrinsecamente buona, e quindi desidera istituzioni che lo proteggano. Al contrario, il progressista è più aperto al mondo, meno diffidente e sospettoso, caratterizzato da un atteggiamento di speranza e meno di ansia.
Un ritratto in cui si capisce che Jost parteggia per la sinistra, come del resto in modo non ipocrita spiega nel l’introduzione. Alla fine dello studio, estremamente rigoroso, di Jost, l’impressione è che, per dirla con una battuta, la natura umana sia inevitabilmente di destra – specificando tuttavia che non vi necessaria correlazione tra temperamento psicologico e scelta elettorale, per cui il tipo conservatore può ben votare progressista o vice versa.
E proprio perché la natura umana è tendenzialmente conservatrice, il progressismo ha sempre cercato, e con maggiore virulenza oggi, di cambiarla e di raddrizzare il legno storto dell’umanità.