di Juan Vallet de Goytisolo
E’ noto che dobbiamo a Sir Francis Bacon i fondamenti dell’empirismo sperimentale, metodo che ha tanto accellerato i progressi della fisica. L’esperienza ci scopre alcuni fenomeni, sulla base dei quali costruiamo una teoria o ipotesi scientifica, che è come una intelaiatura attorno alla quale avanziamo sperimentalmente, finché non sia esaurita la sua forza per continuare su quel cammino la nostra ricerca.
Quella esperienza dei fatti ci permette di scoprire non solo le leggi della natura, bensì, partendo da queste, di realizzare quello che potremmo chiamare il suo “addomesticamento”, cioè il comandarla purché le si obbedisca. Ma è da notare che il metodo sperimentale non può alzarsi oltre il livello di ciò che può sperimentare. Da ciò il suo rigore in relazione a tutto ciò che si trova alla sua portata e la sua limitatezza di fronte a ciò che eccede ogni possibile sperimentazione.
E’ perciò un metodo perfettamente corretto e di progresso, fino a quando non lo si tolga dal campo adeguato e non si pretenda di dedurre conseguenze su ciò che, essendo su un altro piano, resta al di fuori di esso, nel vuoto non sperimentabile. Se così non avviene l’empirismo ha conseguenze “in negativo”, per le quali si rifiuta tutto ciò che non è suscettibile di sperimentazione, e “in positivo”, che pretendono di costituire un dogma meta-scientifico su una impalcatura immaginaria, sebbene questa poggi su dei dati certi.
In entrambe queste scorrettezze si tenta di razionalizzare la natura umana (come se l’unica realtà fosse il progresso tecnico e prescindendo dai fini che si trovano al di fuori di esso), con l’oblio delle realtà umane non sperimentate e non sperimentabili e di quelle che possono esserle solo con una profonda e vasta conoscenza storica. Conoscenza che, per di più, è rifiutata col pretesto della diversità di mezzi e grado di sviluppo tecnico nella diversità dei periodi considerati.
Ed ecco il quid. Se il progresso tecnico, che permette il metodo sperimentale, è orientato socialmente sotto la direttrice di una idea astratta (la si chiami Libertà, Uguaglianza, Stato, Democrazia, Razza o Progresso, con le iniziali maiuscole), ci troviamo davanti a ideologie nel senso più stretto del termine. Siamo già fuori da ogni elaborazione scientifica, come se dalle incognite scientifiche saltassimo alla fantascienza: come fece Theilard de Chardin, per il quale ciò che ai suoi occhi di antropologo non erano che dei semplici puntini di sospensione si trasformava in dogma quando si lanciava come cosmologo verso il punto omega.
L’ORDINE CHE SUPERA LE ESPERIENZE FISICHE
Se, semplicemente, in nome del metodo sperimentale, si nega la realtà di quanto trascende ciò che è sperimentabile da questo, si commette una incongruenza sulla quale Simone Weil ha richiamato l’attenzione: “Tutto nella creazione è sottomesso a un metodo, compresi i punti di intersezione tra questo mondo e l’altro”. E’ ciò che indica il termine Logos. “Man mano che si alza”, il metodo, “si cresce in rigore e precisione. Sarebbe molto strano che l’ordine delle cose materiali riflettesse meglio la sapienza divina che l’ordine delle cose dell’anima”.
Questa dimenticanza, questo mettere tra parentesi quanto si tratta nella metafisica sociale, equivale di fatto ad accettare la sua negazione. E allora, implacabilmente, si aprirà il passaggio – come ha sottolineato Sciacca in Filosofia e antifilosofia – a una nuova e privilegiata verità puramente tecnica, esclusiva e tirannica, che crescerà disordinata e deforme, portando “il cancro dell’economismo, dello scientismo, del sociologismo, della tecnocrazia, che sono figli della degenerazione della ragione”. E’ il frutto del fatto che la verità venga archiviata tra “i pareri arbitrari” e del dare il “primato dell’efficiente nei programmi di governo.
CONSEGUENZE DEL “PRIMATO DELL’EFFICIENTE NEI PROGRAMMI DI GOVERNO”
Se la religione entra nel campo dell’opinabile e l’ordine naturale non esiste o non è apprensibile, lo Stato non ha più nulla al di sopra di sè e può prendere la totale direzione di un ordine sociale “tecnificato”, che aspiri soltanto all’efficienza. Il nuovo Stato non ha, dunque, difficoltà, bensì ogni genere di giustificazioni, dovendo farsi carico della “razionalizzazione della società”, la quale, una volta “massificata”, può venire manipolata dai suoi tecnocrati.
In questo modo lo Stato diviene totalitario e considera gli schemi dello sviluppo economico e sociale come dogmi che è sua competenza formulare e dirigere. Dal suo seno nasce così una nuova classe, i tecnocrati, “quelli che capiscono” in virtù del Decreto o Ordine che li nomina, che attraverso i mass media illuminano l’altra classe, costituita dal resto della società, “quelli che non capiscono”, la massa spoliticizzata.
Costoro sono quelli che determinano quale é il settore che deve svilupparsi urgentemente, erogano il credito, tassano i prezzi (fissando gli indici di crescita di questi e dei salari), manipolano l’inflazione, disegnano dove si deve costruire un grattacielo o si deve lasciare una zona “verde”, promuovendo così l’arricchimento fantastico di alcuni e la rovina di altri. Dominano i mass media, nei quali tutto è opinabile tranne la ragione di Stato. Questa non ha limiti, posto che non accetta altro ordine se non quello che coloro i quali reggono il suo timone, i nuovi Prometei, costruiscono dall’alto a loro arbitrio.
LA CRISI DEL DIRITTO MONOPOLIZZATO DALLO STATO TECNOCRATICO
Anni fa, davanti a questa prospettiva, Georges Ripert percepì le declin du droit e, un pò più tardi, Carnelutti proclamava con espressione tragica la morte del diritto. Helmut Coing ha scritto che in una società di massa “le condizioni sono naturalmente sfavorevoli per l’insediamento del diritto”. Monopolizzata la sua produzione da parte dello Stato, i suoi organi secernono una eterogenea mescolanza di diritto e anti-diritto che è determinata da ragioni di mera opportunità o convenienza e, anche, di propaganda politica.
In una società materializzata questo risultato è facilitato, poichè si scompone il tessuto naturale, venendo integrata da produttori e consumatori atomizzati, ai quali non si permette di avere vita e struttura proprie, che abdicano alle proprie responsabilità e rischi, posto che tutte le loro necessità -assicurazioni, cultura, informazione, mercati, credito, ecc.- saranno provviste dallo Stato. Così sono nati una nuova ideologia tirannica e un mito ingannevole. Le masse si lasciano trascinare da essi come certa gioventù dalle droghe. E i suoi pontefici accusano tutti coloro che non credono nel nuovo mito di mantenere ideologie pericolanti, inappellabilmente condannate alla scomparsa, lasciate dietro dal vento della Storia.
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