di Piero Sinatti
Si intensifica in Russia la tendenza a ridurre in tele-seriali grandi classici della letteratura russa del XIX e XX secolo, iniziata dopo il grande e imprevisto successo di audience ottenuto sei anni fa dal seriale tratto dal romanzo di Fedor Dostoevskij (1821-1881) “L’Idiota”.
Una pioggia di classici. I puristi sicuramente storceranno la bocca, ma un fatto – positivo – è incontestabile: sono entrati e entrano nelle case di milioni di russi – che leggono ora molto meno che in èra sovietica (ma sempre moltissimo in confronto a noi) – grandi opere letterarie. E , come provano le vendite in libreria dei classici visti in TV, per molti si tratta di un primo, fortunato invito alla loro lettura (o rilettura).
Un notevole progresso rispetto a quando infuriavano sul teleschermi russi le amatissime telenovelas latino-americane e i seriali “criminali” dei secondi Novanta (questi ultimi continuano).
Una pioggia di classici in TV
Nel 2006 era stati proposti dal piccolo schermo “Il Placido Don” di Mikhajl Sholokov (coproduzione, tra l’altro, russo-italiana) e “Il primo cerchio” di Aleksandr Solzhenitsyn.
Nell’anno da poco trascorso, oltre a un rigoroso seriale dedicato ai “Racconti della Kolyma” e alla vita del suo autore, il grande poeta e narratore Varlam Shalamov, sono state trasmesse le riduzioni in seriali tv de “Il Vitello d’oro” di Il’f e Petrov, di grande brillantezza, e quella di “Guerra e pace” di Lev Tolstoj (una coproduzione russo-europea che invece è stata un flop internazionale).
Un altro fenomeno rilevante, per la Russia, è che le versioni tv dei grandi classici della letteratura danno più “immagine” e prestigio a chi li produce, alla rete che li trasmette, agli attori e registi che vi sono stati impegnati. Esse sono anche commercialmente redditizie, per quanto il loro costo sia alto per i livelli russi (attorno ai 300-350 mila dollari per puntata): alto è il loro riscontro pubblicitario, rivelato – ahinoi – dalla frequenza degli spot che interrompono ogni dieci minuti ogni puntata.
Delitto e castigo
Lo scorso dicembre è terminato dopo otto puntate il seriale tratto da “Delitto e castigo” di Fjodor Dostoevskij.
Il suo produttore, Andrej Sigle, ha affermato in un’intervista che il fatto stesso di misurarsi con grandi capolavori letterari dà a registi e attori, sceneggiatori, scenografi e direttori di fotografia, musicisti lo stimolo per dare il meglio di sé: questi seriali diventano “un biglietto da visita” per tutti quelli che partecipano all’impresa.
Portare in Tv un romanzo costruito su più strati narrativi e stilistici, polifonico e sostanzialmente psicologico-filosofico come “Delitto e castigo” era un’impresa da far tremare.
A noi che ne abbiamo seguito su Kanal 1 tutte le otto puntate, l’impresa è apparsa complessivamente riuscita. Grazie a una rigorosa fedeltà al testo.
Un’accorta e abile sceneggiatura ha ridotto all’essenziale, ma con rispetto e intelligibilità del loro contenuto, i lunghissimi dialoghi, le riflessioni e i pensieri dei personaggi – segnatamente quelli del protagonista, lo studente povero Roman Raskol’nikov – cui lo scrittore ha affidato il suo complesso messaggio filosofico e umano.
Sul piccolo schermo ci è apparsa, fedelmente riprodotta, la Pietroburgo dostoevskiana delle bettole, dei cortili scalcinati e sporchi, delle anguste e soffocanti soffitte, delle strade squallide e affollate di venditori ambulanti, mendicanti, ubriachi, prostitute: il mondo del “sottosuolo”.
Infine, si è visto ottimo cinema in alcune sequenze: l’uccisione della vecchia usuraia e di sua sorella; il grottesco banchetto funebre in memoria del declassato funzionario Marmeladov; la notte di tempesta trascorsa dall’avventuriero Svidrigailov in una sordidissima locanda poco prima del suicidio.
Notevoli gli attori: soprattutto il giovane Vladimir Koshevoj che dà grande espressione al tormentato omicida Raskol’nikov.
Il commento musicale ci è parso di grande spessore, con palesi richiami a musiche di Alfred Schnitke e Arvo Part.
E’ davvero un peccato che a prodotti di questo livello siano chiusi i mercati occidentali. Non solo per il valore culturale delle proposte, ma anche perché questo impedisce di vedere all’opera registi e attori di una scuola grande come quella russa, ingiustamente sconosciuti in Occidente, che sono ancora all’altezza delle proprie tradizioni e di quelle europee.