dal blog di Costanza Miriano
30 marzo 2019
di Costanza Miriano
Siccome continuano a tirare in ballo la parola sottomissione, senza prendersi la briga non dico di leggere il mio libro, per carità (che? Vuoi leggere un libro prima di criticarlo?), ma neppure il passo biblico da cui è tratta la citazione, dimostrando ignoranza crassa e incapacità di ragionamento a livello da seconda media diciamo – è più o meno quando capisci l’importanza del contesto nell’approcciarti al testo – occorre fare qualche precisazione, che poi arrivano i primi Cirinnà e D’Urso di passaggio e mi citano a proposito della sottomissione completamente fuori luogo.
Allora, la parola è usata da san Paolo in una logica completamente opposta a quella del mondo, che legge tutto nell’ottica del dominio, del potere, e che per noi cristiani va capovolta completamente (d’altra parte il nostro Re sta in croce). Quindi la proposta di san Paolo è per i battezzati che intendano prendere sul serio la cosa, ciò che non mi sembra di poter dire delle varie Cirinnà and co. Che continuano a citarmi, ma questo lo sa solo Dio.
Comunque, Quando san Paolo dice alle donne di accettare di stare sotto, non pensa affatto che siano inferiori. Anzi, è al cristianesimo che dobbiamo la prima vera grande rivalutazione delle donne… La sottomissione di cui parla Paolo è un regalo, libero come ogni regalo, che sennò sarebbe una tassa.
È un regalo di sé spontaneo, fatto per amore.Comunque, a chi interessa san Paolo e quello che a me sembra di aver capito della faccenda, può leggere un sacco di spiegazioni in merito. Poi c’è un aspetto eminentemente umano della faccenda, visto che la fede si innesta sempre su una sostanza umana con cui non contrasta, ovviamente, visto è stato Dio a pensarci e a disegnarci.
La donna ha una tentazione di controllo sull’uomo, e la sa esercitare benissimo se vuole: nelle relazioni il potere è della donna, checché ne dica la retorica vittimistica femminista. L’uomo può essere violento, ma la donna è, esattamente nella stessa misura, tentata dalla prevaricazione sull’uomo, solo che la esercita non con la violenza fisica e verbale dell’uomo ma in modo manipolatorio, magari suadente, utilizzando vari registri comunicativi, la bambina, la vittima etc.
Quindi noi siamo chiamate a esercitare il nostro potere non in modo manipolatorio, per portare il nostro uomo (e i figli, e tutti quelli al cui affetto teniamo) a essere ciò che noi vogliamo, ma per portare quelli che ci sono affidati a essere sempre più se stessi.
Per compiere la libertà dell’altro, non per tenerlo legato e “obbediente”. Altrimenti spesso il risultato è che l’uomo finisca per sopportare la donna che ha accanto, che non mi pare una grande idea di amore. L’uomo dal canto suo dovrà mettere la sua energia e la sua forza al servizio libero e scelto della sua donna, e della paternità, che non è un istinto per lui – quanto invece lo è la maternità per la donna – ma sempre una scelta e una decisione.
Tutta questa storia quindi non ha molto, anzi proprio niente a che fare con la divisione dei compiti pratici. Anche una donna che lavora, e che lo fa ad alto livello, può essere sottomessa se ascolta il marito, lo rispetta, tiene in gran conto le sue opinioni.
Io invito le donne alla sottomissione, ma nel frattempo scrivo libri, faccio conferenze, lavoro alla Rai, e faccio mille altre cose poco bigotte e oscurantiste, tipo correre maratone senza velo, addirittura in pantaloncini corti (chissà perché se la prendono solo con i cattolici, e mai con certi imam che fanno corsi per insegnare come si picchiano le donne).
Credo comunque che le donne si debbano riappropriare della loro vocazione all’accoglienza della vita, quella che viene dal loro essere morbide, capaci di ricucire i rapporti, di fare spazio, di intessere relazioni, di tirare fuori da tutti il meglio. Che mettano questo loro genio femminile in cima alle priorità.
Non c’entra niente con il trovare un marito ricco da (fingere di ) sopportare in cambio di sicurezza economica. C’entra invece con la lealtà, la dedizione, la dolcezza. Quanto ai ruoli e ai rapporti di forza tra i sessi devo a malincuore ammettere una cosa.
Essere donna mi ha procurato solo vantaggi: da quelli spiccioli come il permettersi di ignorare se la mia auto possegga una ruota di scorta, ed eventualmente dove si nasconda, la subdola, al privilegio incommensurabile di ospitare e sentir muovere quattro bambini nella pancia, anche se, lo ammetto, nei momenti di farli uscire l’aspetto del privilegio non mi è sembrato il più evidente. Non ho mai subito discriminazioni di genere.
Al lavoro capita di non essere apprezzati e valorizzati, ma capita agli uomini e alle donne (molto più alle mamme). E la riuscita professionale è determinante per l’identità di un uomo. Conosco molti, moltissimi uomini demoralizzati, a volte depressi per come vanno le cose nel mondo del lavoro, per la prepotenza, la mancanza diffusa di meritocrazia e professionalità.
Per questo, lo confesso, non ho mai sentito il bisogno di nessuna rivendicazione di genere. Sono molto riconoscente per le libertà che le donne delle generazioni precedenti hanno conquistato per noi, ma proprio perché le ho ricevute, e ne godo con soddisfazione, non riesco a provare nessuna rabbia in merito. Penso invece, certo, con il cuore stretto alle donne di gran parte del nostro pianeta, provando molto sollievo per essere nata dalla parte fortunata del mondo.
Piuttosto, ammetto che delle difficoltà per le donne ci sono: essere mamma e lavorare è una fatica bestiale. Per la legge di non penetrabilità delle ore o si sarà carenti su un fronte, o lo si sarà sull’altro. Ma non è colpa della congiura maschile. E’ la natura: i figli li fanno le femmine della specie. Le quali, poi, se vorranno o dovranno anche lavorare, finiranno inevitabilmente per piegare calzini a mezzanotte; andranno alle conferenze stampa con un rigurgito latteo sul twin set; sbaglieranno l’orario dell’antibiotico; si sforzeranno con grande perizia di non addormentarsi sulla scrivania dopo una notte passata a raccogliere vomiti; si dimenticheranno merende dell’asilo e appuntamenti fondamentali con il nuovo capo.
Quelle che decidono di puntare tutto o quasi sul lavoro spesso ce la fanno ad emergere, anche se pagando un prezzo alto sul piano della vita personale. Fare bene tutto non è possibile, e quando non arrivo non mi arrabbio con le congiure di cui sarei vittima, ma tendo piuttosto a pensare che essere donna sia comunque una meravigliosa ricchissima avventura.
La vera e seria e urgentissima battaglia da fare in un paese come il nostro decisamente volto all’estinzione non è dunque studiare come permettere alle madri di lavorare di più, ma come permettere alle lavoratrici di essere più madri, e casomai, se lo desiderano, anche come permettere loro, SE LO VOGLIONO, di non lavorare, almeno non secondo gli schemi del mondo del lavoro, che sono pensati per i maschi.
Otto ore al giorno da quando inizi a quando vai in pensione, indipendentemente dalle età e dal numero dei figli o dallo stato di salute dei genitori anziani, è una cosa che solo degli uomini potevano pensare, e in cui le donne sono rimaste incastrate, ma senza aver potuto scegliere se e come lavorare.
Vedi il bellissimo saggio “Why Women Still Can’t Have It All” (Perché le donne non possono ancora avere tutto), di Ann-Marie Slaughter, avvocato e analista politica ad altissimi livelli, che si è dimessa da un incarico del governo perché non riusciva più manco a portare i vestiti in lavanderia, non parliamo di andare a vedere le partite dei figli.
Che aspettiamo a ribellarci alla logica maschile che ci vuole fregare così tanto sulla vita personale in cambio di un piatto di lenticchie (certe donne rinunciano alla maternità, o si fermano a un figlio solo, per dei lavori molto ma molto meno gratificanti rispetto a quello a cui chiedono di rinunciare), che ci vuole convincere che rinunciare ai nostri figli, o a vederli crescere, sia una grandissima botta di fortuna, e non una perdita enorme e dolorosissima?
Che aspettiamo a unirci, tutte, comprese le femministe, per dire che fare figli è la cosa più bella del mondo, anche se siamo consigliere personale del presidente Usa, e che vogliamo avere tempo per loro, anche se siamo intelligentissime e bravissime e tra una poppata e l’altra possiamo anche fare bazzecole come telefonare al presidente, perché quello lo può fare chiunque, mentre respirare l’alito di un bambino che si addormenta dopo avere bevuto il nostro latte è un privilegio enorme che nessuno deve poterci portare via, neanche per un mega stipendio, figuriamoci per quelli normali che manco bastano a pagare l’asilo per più di un bambino?