Il libro-verità sul trionfatore della Guerra “civile” in edizione ampliata
di Marco Respinti
«Non miro affatto a introdurre l’eguaglianza sociale e politica fra la razza bianca e la razza nera. Fra le due vi è una differenza fisica che, a mio avviso, impedirà per sempre che esse vivano assieme in condizioni di eguaglianza perfetta; e nella misura in cui diviene una necessità […], sono favorevole al ruolo di superiorità che deve svolgere la razza a cui appartengo.
Non ho mai detto il contrario». Sono parole di Abraham Lincoln, pronunciate in un dibattito a Ottawa, nell’Illinois, il 21 agosto 1858 e raccolte nel volume Abraham Lincoln: His Speeches and Writings (De Capo Press, New York 1990), curato da Roy P. Basler. Lo stesso che ha curato il volume delle 29 traduzioni del Discorso di Gettysburg e i Collected Works del presidente.
È l’immagine tagliente, ma circostanziata e documentata, che emerge da The Real Lincoln: A New Look at Abraham Lincoln, His Agenda, and an Unnecessary War (Forum, New York) pubblicato nel 2002 da Thomas J. DiLorenzo, docente di Economia alla Sellinger School of Business and Management del Loyola College di Baltimora, con introduzione di Walter E. Williams, che, John M. Olin Distinguished Professor di Economia alla George Mason University, è nero. Ma uno di quei neri che il radicalismo razzista nero definisce “traditori della razza” e, addirittura”, “non neri”, dato che l’essere neri è ideologia e non dato fisico.
Il libro, com’è comprensibile, non ha mai smesso di far parlare di sé, anche con toni aspri, sin dalla pubblicazione. Tant’è che il 2 dicembre ne esce una edizione paperback (Three Rivers Press, New York) arricchita di un nuovo capitolo in cui l’autore confuta le critiche.
La pacifica deportazione
Quando, durante la Guerra civile, gli fu chiesto cosa fare degli schiavi un giorno liberati, Lincoln rispose: «Mandateli in Liberia, nella loro terra natìa». Una volta alla Casa Bianca, incontrò alcuni dei capi della comunità nera implorandoli di mettersi alla testa di un movimento di colonizzazione a ritroso verso l’Africa, secondo l’idea lanciata da Henry Clay sin dal 1827. E lo ripetè solennemente nel messaggio annuale al Congresso del 1° dicembre 1862. La si chiamò addirittura “deportazione pacifica”.
Esisteva infatti un’American Colonization Society e l’Amministrazione Lincoln firmò anche un contratto con un uomo di affari, Bernard Knock, per fondare una colonia ad Haiti. Ma non ci fu seguito perché Knock era un ciarlatano. Contro Lincoln si scagliò del resto il massimo abolizionista dell’epoca, William Lloyd Garrison, che non apprezzava la “deportazione pacifica”.
Largo ai bianchi e ai loro voti
Ma perché Lincoln voleva liberarsi dei neri? Anzitutto, il presidente non aveva alcuna intenzione di toccare la schiavitù del Sud. Nel Discorso d’insediamento alla presidenza nel 1860 affermò: «Non ho alcuna intenzione, diretta o indiretta, d’interferire con l’istituzione della schiavitù negli Stati in cui essa esiste». Voleva, infatti, solo impedire che la “peculiare istituzione” venisse estesa ai territori di nuova acquisizione statunitense. Già il 16 ottobre 1854 aveva detto: «L’intera nazione è interessata a fare di quei territori il miglior uso possibile. Vogliamo che essi siano la casa dei bianchi liberi». Nel 1860 era divenuta la posizione ufficiale del Partito Repubblicano.
Al segretario di Stato William Seward, Lincoln disse: «Chi protesta contro l’estensione della schiavitù è sempre stato in realtà spinto dall’obiettivo del benessere dei bianchi, non dall’innaturale simpatia verso i negri». I neri non dovevano mai essere innalzati al rango dei bianchi. E inoltre l’estensione della schiavitù ai nuovi territori avrebbe aumentato il potere congressuale del Partito Democratico. La Costituzione, infatti, regolava la determinazione del numero dei seggi congressuali di ogni singolo Stato affermando che cinque schiavi contavano come tre liberi votanti. Un favore, quindi, ai democratici, schiavisti.
Ne nacque una guerra civile tragica che modificò totalmente il volto degli Stati Uniti e un proclama di emancipazione dei neri deciso solo due anni dopo l’inizio del conflitto, il 1° gennaio 1863. Il Sud sembrava trionfare militarmente e Lincoln aveva bisogno dei Repubblicani radicali e degli abolizionisti, oltre che del supporto morale del mondo.