L’indifferenza contro la pace

Assisi_GPIIArticolo pubblicato su Il Sabato

del 18-24 ottobre 1986

VERSO ASSISI. INTERVIENE DEL NOCE

Pubblichiamo uno stralcio dell’intervento che Augusto Del Noce ha preparato, in vista dell’incontro di Assisi col Papa e gli esponenti di quasi tutte le religioni del mondo sul tema della pace, per il libro La tregua di Assisi che Il Sabato regalerà ai suoi lettori assieme al prossimo numero.

di Agusto Del Noce

Le cose stanno diversamente oggi: non si tratta più della lotta tra fedi religiose, ma di quella contro la religione, contro ogni fede religiosa. Nel senso di esclusione della religione dal mondo storico, preludio alla sua scomparsa.

I termini dicono qualcosa; neppure ateismo ha oggi più circolazione larga; suppone una lotta con Dio in cui l’ateo rischia di soccombere, e di fatto soccombe. L’ateismo è pur sempre la risposta negativa a un problema, e oggi si preferisce la scomparsa del problema. Oppure si dice «Dio è morto»: viveva in altri tempi nel cuore degli uomini; oggi questa sua vita è venuta meno.

Piuttosto che di ateismo, si ripete, si deve parlare di indifferenza. E si dice cosa giustissima, ma che abbisogna di essere rettamente interpretata. Indifferenza, secondo il giudizio corrente, è cosa meno grave di ateismo: quando si sta bene, si pensa poco a Dio; ci si pensa poco ma non lo si nega. Il gusto dei beni sensibili porta a un oblio provvisorio del pensiero di Dio che, col suo allungarsi nel tempo, prende l’aspetto di indifferenza.

Ma l’indifferenza di oggi ha carattere del tutto diverso; significa che Dio non interessa. I problemi sociali, politici, morali, estetici possono essere risolti senza il minimo riferimento a Dio; fare intervenire Dio al loro riguardo è introdurre la dimensione ideologica, è «turbare la pace». Non è questo in fondo anche il pensiero di molti cattolici impegnati nella politica? E ad essi pare che un progresso ci sia stato; all’ateismo virulento del pensiero rivoluzionario si è sostituita l’indifferenza . E qui lo sbaglio è completo.

Ma c’è di più, nei caratteri dell’irreligione contemporanea.

Si direbbe che l’ateismo percorra un circolo: dall’ateismo della fine del Rinascimento e dei secoli XVII e XVIII si era passati all’ateismo rivoluzionario: ora si è tornati all’ateismo di tipo libertino. Si prenda un qualsiasi libro – la letteratura è assai vasta – sul pensiero libertino del ‘600, da quello erudito a quello di costume; e ci si accorge che gli argomenti e il linguaggio della maggior parte della pubblicistica laica e della letteratura corrente ne sono la ripetizione; si è stupiti della quasi identità.

Quasi, perché una differenza c’è, ed è essenziale. Il libertinismo aristocratico di allora considerava la religione «buona per il popolo»; era una scuola di rassegnazione che lo teneva quieto. Nella dimensione odierna, e nel diffuso benessere, il libertinismo è chiamato ad assolvere una funzione analoga a quella che una volta aveva la religione. Si direbbe che per certa coscienza laica, diffusa e ad alto livello, democrazia abbia il significato di estensione del modo di pensare libertino alle masse.

Ma torniamo a quel giudizio relativamente “ottimistico” sul passaggio dall’ateismo all’indifferenza che è condiviso anche da certi sociologi cattolici. Il loro ragionamento è il seguente: è vero che in questo periodo di una trasformazione quale lo storico non ha mai conosciuto e che è dovuto allo sviluppo della tecnica, la gente va meno a messa (a trent’anni, in Italia, dal 69% del 1956 al 24% di oggi), ma in compenso la sensibilità a certi valori morali è cresciuta: solidarietà, giustizia sociale, volontà di pace; avvertimento di quel grande problema che è la fame nel mondo; e dall’altra parte, la maggiore frequenza dei decenni passati era abitudinaria, e Dio era più spesso pensato come un «Dio tappabuchi». Ora l’umanità è cresciuta e ha acquisito il senso della sua autonomia; sa che il problema della pace deve e può risolverlo da sola.

Non si possono ascoltare discorsi di questo genere senza pensare alla loro ispirazione da parte del«padre della menzogna». E’ infatti incontestabile che la persecuzione di qualsiasi movimento che sia guidato da un’intuizione religiosa cada sulla indifferenza occidentale . L’esempio più vistoso è quello della esistenza afgana: sette anni di lotta, parecchie centinaia di migliaia di morti , milioni di profughi, non si sa quale numero di mutilati da piccole bombe sovietiche, perché i mutilati «servono» ai russi più dei morti; praticamente dall’Occidente solo parole che hanno il suono, «indifferente», appunto, delle condoglianze ufficiali.

E quanto rapidamente è stato dimenticato l’esodo che continua, su fragili imbarcazioni dal Vietnam del Sud con la certezza che per uno che si salva, uno almeno ne muore. E non continuiamo con la persecuzione religiosa che viene svolta nel Vietnam del Nord, di cui si è parlato in un numero recente de Il Sabato; non continuiamo in un elenco che è conosciuto, ma di cui si vuole tacere. Il silenzio sulla Chiesa del Signore è praticamente obbligo nel mondo bene.

Come spiegare questa indifferenza, che contraddice alla conclamata volontà di pace? Di nuovo dobbiamo richiamarci alle parole dell’Enciclica (38): «L’analisi del peccato nella sua originaria dimensione indica che, ad opra del “padre della menzogna”, vi sarà lungo la storia dell’umanità una costante pressione al rifiuto di Dio da parte dell’uomo, fino all’odio: “Amore di sé fino al disprezzo di Dio, come si esprime Sant’Agostino”.

L’uomo sarà incline a vedere in Dio prima di tutto una propria limitazione e non la fonte della propria liberazione e la pienezza del bene». Nel sistema dell’indifferenza quest’odio è presente, ancorché celato. La contraddizione di cui sopra dicevamo manifesta la verità dell’antica tesi agostiniana.

Ma ancora rispetto alla pace: si ripete che l’indifferenza religiosa è compresente, almeno nei Paesi a civiltà più evoluta, con una volontà di pace quale mai si era avuta nella storia del mondo. Non si arriva a dichiarare apertamente un nesso di necessità che intercorrerebbe tra pacifismo e agnosticismo religioso.

Lo si lascia però intendere: certezza e dogmi sarebbero legati a intolleranza e a volontà di imporli. La tolleranza, condizione dello spirito di pace, implicherebbe l’abbandono di quella norma oggettiva iscritta nella coscienza, e senza la quale non si può parlare di religione.

Ma rispetto allo spirito di pace, occorre distinguere. C’è quello che è fondato sulla paura. E’ lo spirito di quei “verdi” che hanno scelto a loro slogan il «meglio rossi che morti», o più esattamente «meglio schiavi che morti». D’altra parte una guerra tra superpotenze o tra paesi europei (in ragione del vincolo che li unisce all’uno o all’altro di essi) è del tutto improbabile perché le possibilità di guerra sta nel fatto che uno dei contendenti pensa di trarre dalla vittoria vantaggi che largamente lo compensino dei sacrifici che ha dovuto sopportare.

Ma quel che importa è che questa ripugnanza alla terza guerra mondiale si accompagna a quell’indifferenza per le vittime delle guerre locali o delle persecuzioni di cui, brevemente, ho detto. Per concludere: alla vigilia del Duemila, è giunta all’acme la volontà, prevalente nel mondo moderno, di annientare la dipendenza e i limiti dell’uomo; ha assunto la forma di indifferenza, cioè di esclusione della religione.

Si maschera di tolleranza e di pace, è ora di chiedersi se non sia verso di essa che debba venire oggi indirizzata quella “scuola del sospetto” di cui vengono considerati come maestri Marx , Nietzche e Freud, e che era orientata contro il pensiero religioso.

Sono uscito dall’argomento? Non mi sembra: quel che importa è dissipare l’immagine di un Wojtyla oscillante tra una volontà di intransigenza e un’apertura a cui la realtà di fatto lo costringe; nonché quello di un orientamento verso il sincretismo. Mentre l’essenziale è la riaffermazione del vincolo tra spirito di pace e religione; e tra religione e obbedienza a una norma oggettiva inscritta nella coscienza.